di Mariantonietta Losanno
“Se desideri vedere le valli, sali sulla cima della montagna. Se vuoi vedere la cima della montagna, sollevati fin sopra la nuvola. Ma se cerchi di capire la nuvola, chiudi gli occhi e pensa”, ha scritto il poeta Khalil Gibran.
Tim Burton è un regista che ha fatto della visionarietà la sua cifra espressiva. Le narrazioni devono molto al suo passato di disegnatore -tutto il suo mondo, infatti, prende forma attraverso il disegno- e sono la rappresentazione di un universo “capovolto”, in cui non soltanto la realtà viene plasmata dalla fantasia, ma viene fornita una prospettiva alternativa, diversa, che dia spazio a tutto quello che è “fuori dal comune”. Le pellicole di Tim Burton -e il suo stile dark e visionario- sono parte dell’immaginario collettivo e sono caratterizzate da una particolare attenzione verso il Diverso: vengono rappresentati mondi da fiaba, in alcuni casi meravigliosi e incantati, come in “Alice nel Paese delle Meraviglie” e “La fabbrica di cioccolato”; e paesaggi gotici e cupi, quasi “mostruosi”, come ne “Il mistero di Sleepy Hollow”. Tim Burton sceglie la prospettiva dei “diversi”, quella dei sognatori, degli introversi, di tutti quelli che vengono emarginati dalla società per le loro qualità inusuali; creando, in questo modo, un legame empatico con il suo pubblico, che viene affascinato dagli scenari fantastici e dalle rocambolesche avventure dei personaggi. Anche le ambientazioni macabre assumono una connotazione diversa, mai deprimente; anzi, molto spesso sono proprio i morti ad essere “più vivi”. Tim Burton esorcizza la morte e analizza la società realizzando immagini legate a sensazioni e all’idea che anche in un mondo in bianco e nero c’è una vasta gamma di colori.
La sua indagine non vuole mai essere retorica, moralista o ricattatrice. In “Big Fish” l’elemento centrale -seppure sia inserito all’interno di un contesto fiabesco- è il rapporto padre-figlio. Edward è un personaggio eccentrico che ama raccontare storie, ma non storie qualsiasi: racconta la sua vita colorandola di incontri, peripezie e personalità altrettanto eccentriche come se stesso. Suo figlio William subisce il fascino di questi racconti, fino a quando però, dopo essere cresciuto, si rende conto di quanto il padre viva solo ed esclusivamente nella realtà da lui creata, non riuscendo più a distinguere la finzione dalla concretezza, e finendo per concentrarsi solo su stesso. Agli occhi di William, suo padre non sa vivere di altro se non delle sue strampalate storie di finzione; nascono da qui, di conseguenza, le loro incomprensioni. Tim Burton con “Big Fish” realizza una storia di formazione e al tempo stesso un road movie: Edward non è succube del suo egocentrismo, è interessato a lasciare un’eredità al figlio, che gli dia modo di guardare il modo con occhi diversi. Quello che vuole che resti, dunque, è il suo sguardo sognatore, forse anche fin troppo “strambo”, ma che riesce a far diventare reale il proprio immaginario. William apprende dal padre il suo senso dello stare al mondo. Quello che per lui è sempre stato un modo di sfuggire e di non affrontare la realtà se non attraverso il ricorso alla fiabe, è invece un tentativo di vivere non perdendo la creatività, ma non per questo rifiutando tutto il resto. William inizia, allora, a decifrare la vita del padre partendo proprio da quei racconti: la sua razionalità scettica viene conquistata dalla passione fantastica. Scopre che c’è verità nella finzione, anzi, ce n’è probabilmente anche di più che nella realtà. È come se Tim Burton in “Big Fish” avesse compiuto un processo di evoluzione (infatti, è il suo film meno “gotico”, ma che non perde comunque il tocco magico), ed è lo stesso che ha voluto mettere in scena attraverso il rapporto tra Edward e William.
Tim Burton intreccia vite, aneddoti, paesaggi incantati, gesta incredibili: dal racconto fantastico nasce una verità ancora più autentica. “Big Fish” insegna come sia possibile (e talvolta salvifico) modificare la realtà attraverso il potere dell’immaginazione, una risorsa indispensabile per costruire il proprio mondo a misura dei propri sogni. È una pellicola magica, piena di idee, insegnamenti e suggestioni, nella quale convivono tenerezza e coraggio, vita e morte.
IN RISPOSTA A UN LETTORE – Grazie a lei per le sue parole e per la sua sensibilità. Sono felice che riesca a trasmetterle queste sensazioni e spero che continuerà a seguirmi con la stessa partecipazione. È una grande soddisfazione per me che riesca a farle arrivare il mio punto di vista e mi gratifica ancora di più poterlo condividere.
Grazie ancora e a presto 🙂
Gente. Le dott.ssa Losanno, farle le congratulazioni per le sue splendide recensioni é dir poco. Leggo spesso le recensione di suoi colleghi sull’Espresso, Repubblica o altre riviste ma, purtroppo non riescono a coglierne gli aspetti psicologici o per mia mancanza perché scrivono in modo ‘”difficile”, la loro interpretazione non é comprensibile. Le sue interpretazioni dei film da me letti è reale, con un tocco di immaginifico. Con Big Fish ho pianto perché rispecchia il rapporto tra i genitori e l’adolescenza dei figli e il genitore cerca di inculcare al figlio la realtà vista in un’altra ottica, mentre nella “Migliore offerta” il rapporto falsato della vita, un uomo freddo che impazzisce per amore e viene tradito dall’amore. Scriva sempre cose belle, io la seguo con ammirazione. Grazie… Un suo lettore.
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