OMICIDIO MAURIZIO POZZI: ANALISI DI UNO STRALCIO DELLA TELEFONATA AL 118 DI SUA FIGLIA SIMONA E DI PARTI DI INTERVISTE DA LEI RILASCIATE

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malke OMICIDIO MAURIZIO POZZI: ANALISI DI UNO STRALCIO DELLA TELEFONATA AL 118 DI SUA FIGLIA SIMONA E DI PARTI DI INTERVISTE DA LEI RILASCIATE –          di Ursula Franco       –    

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Maurizio Pozzi, la vittima

I pubblici ministeri della procura di Milano Alberto Nobili e Antonia Pavan ritengono che Simona Pozzi sia la mandante dell’omicidio di suo padre Maurizio, 69 anni, ucciso il 5 febbraio 2016, a Milano, nel suo appartamento di via Gian Rinaldo Carlo. Sul corpo di Maurizio Pozzi, il medico legale ha rinvenuto otto ferite lacero contuse alla testa.

– Trascrizione e analisi di uno stralcio della telefonata al 118 fatta da Simona Pozzi il giorno dell’omicidio:

The Expected versus The Unexpected: Grazie alla casistica in tema di telefonate di soccorso sappiamo cosa aspettarci da chi chiama, per questo motivo il materiale d’analisi vero e proprio è ciò che risulta “inaspettato”. 

Simona Pozzi 1 OMICIDIO MAURIZIO POZZI: ANALISI DI UNO STRALCIO DELLA TELEFONATA AL 118 DI SUA FIGLIA SIMONA E DI PARTI DI INTERVISTE DA LEI RILASCIATE
Simona Pozzi

Expected: ci aspettiamo che chi chiama sia alterato, insistente e che soprattutto chieda aiuto per la vittima. Ci aspettiamo anche che imprechi e dica parolacce, che non attenda la fine della domanda dell’operatore per esplicitare una richiesta d’aiuto.

Unexpected: non ci aspettiamo che chi chiama si perda in superflui convenevoli o che chieda aiuto per sé o che senta il bisogno di collocarsi dalla parte dei “buoni” ovvero di coloro che vogliono il bene per la vittima.

Operatrice: Pronto, numero di emergenza.

Simona Pozzi: Sì, buongiorno, mi può mandare un’ambulanza per favore?

Si noti che la chiamata della Pozzi inizia con un “Sì, buongiorno” e la sua richiesta di un’ambulanza è seguita da un “per favore”.

Durante una chiamata d’emergenza i convenevoli sono inaspettati e sono generalmente presenti nelle chiamate di coloro che intendono ingraziarsi l’operatore.

– Nel caso dell’omicidio di Marco Vannini, Federico Ciontoli, durante la telefonata d’emergenza, non appena l’operatrice del 118 gli rispose, sentì la necessità di ingraziarsela. Riporto il primo scambio verbale tra il Ciontoli e l’operatrice:

Operatrice del 118: 118, Roma.

Federico Ciontoli: Eee… buonasera, mi serve urgentemente un’ambulanza a Ladispoli.

– Nel caso del suicidio di David Rossi, Bernardo Mingrone, il collega che, dopo il ritrovamento del corpo di David, chiamò il 118, non si perse invece in convenevoli:

Operatore: 118?

Bernardo Mingrone: Deve mandare subito a Siena, Rocca Salimbeni… subito un’ambulanza.

Operatrice: Cosa è successo, signora?

Simona Pozzi: Non lo so, mia mamma è tornata a casa e ha trovato mio padre a terra in un mare di sangue.

“Mio padre è a terra in un mare di sangue” è la risposta che ci saremmo aspettati. 

“mia mamma è tornata a casa e ha trovato” è un’affermazione vera ma non necessaria attraverso la quale la Pozzi prende le distanze dai fatti.

La madre della Pozzi, Angela, durante un’intervista, ha dichiarato: Subito sono andata a chiamare la Simona, gli ho detto: “Simo, corri a casa che il papà si è sentito male”, poi nel frattempo che lei… l’ha dì: “Mamma sono già per strada che dovevo andare a prendere ***** a pallavolo”.

Operatrice: Da dove perde sangue, signora?

Simona Pozzi: Dalla testa.

Simona Pozzi mostra di sapere con precisione da dove suo padre perda sangue, la sua risposta induce a ritenere che la donna si trovi a poca distanza da lui e che risponda in base a ciò che vede. 

Operatrice: E’ sveglio?

L’operatrice si informa sulle condizioni di Maurizio Pozzi.

Simona Pozzi: Non ci risponde.

Simona Pozzi, con la risposta “Non ci risponde”, lascia intendere che lei e quantomeno un’altra persona, presumibilmente sua madre, si trovino vicino a Maurizio Pozzi.

Operatrice: Respira, però?

Simona Pozzi: Sembra di sì.

Questa risposta è un’ulteriore conferma del fatto che Simona Pozzi si trova vicino a suo padre Maurizio.

Operatrice: Ok, sta arrivando un’ambulanza. Quanti anni ha il papà, signora?

Simona Pozzi: 67!? È del 46, oddio, 60.

Operatrice: Va beh, del 46.

Simona Pozzi: No il telefono, l’età… mamma.

Simona Pozzi dice alla madre, che con tutta probabilità ha creduto che la donna non ricordasse un numero di telefono, che si sta riferendo all’età del padre e non al numero di telefono. La madre l’ha sentita dare i numeri, “67”, “46”, “60”, ed è comprensibile che abbia creduto che la figlia non ricordasse un numero di telefono.

– Vediamo che cosa ha detto Simona Pozzi durante un’intervista in merito a questo punto:

Gianluigi Nuzzi: C’era o no il lago di sangue?

Le domande chiuse sono da evitare, Nuzzi avrebbe dovuto chiedere alla Pozzi di descrivergli la scena del crimine. 

Simona Pozzi: Allora… la telefonata è stata fatta da mia mamma ma io non ero presente in casa, quindi ovviamente quando ho ricevuto la telefonata ho… ho chiamato l’ambulanza e ho ripetuto a grandi linee quello che mia mamma mi aveva detto per telefono, quando poi sono arrivata a casa sicuramente la… lo scenario era ben diverso, in quanto, è vero che di sangue in giro non ce n’era, mio papà aveva una chiazza di sangue, era sulla tenda dietro alla testa, però, ripeto, respirava, non aveva tagli, non aveva questo ematoma sotto l’occhio che probabilmente poi sarà arrivato dopo non… cioè non sono un medico per poterlo sapere… però era veramente tutto….

Simona Pozzi, invece di rispondere semplicemente “No, non c’era un lago di sangue”, si esibisce in una lunga tirata oratoria, lo fa per portare a casa il punto, ovvero per convincere il suo interlocutore di aver chiamato il 118 dall’auto dopo essere stata avvisata telefonicamente dalla madre e di essere giunta a casa solo in seguito, l’analisi del contenuto della telefonata al 118 ci racconta invece un’altra storia, la Pozzi sta mentendo. 

Si notino sia la ripetizione di “ho” che la posizione della pausa in questa frase: “quando ho ricevuto la telefonata ho… ho chiamato l’ambulanza”.

Gianluigi Nuzzi: Simona.

Simona Pozzi: Sì.

Gianluigi Nuzzi: Lei riceve la telefonata dalla sua mamma, è in automobile con la figliola per delle attività sportive e rientra… chiama subito il 118 dall’auto, giusto?

Troppi suggerimenti, la domanda giusta sarebbe stata: “Mi racconta cosa è successo quella sera?”.

Simona Pozzi: No, sono in auto… no, io ero in macchina da sola, mia figlia era già in palestra a fare gli allenamenti di pallavolo e io, quando c’erano gli allenamenti alla sera, chiudevo il negozio e la andavo a prendere, ero già in macchina perché avevo già chiuso il negozio e stavo andando a prendere mia figlia, ho ricevuto la telefonata di mia mamma, ero da sola.

La Pozzi, nel rispondere alla precisa domanda di Nuzzi, non solo non prende possesso di ciò che dice in quanto parla al presente di un fatto accaduto nel passato “No, sono in auto…” ma si autocensura. 

In seguito la donna conferma di aver ricevuto una telefonata di sua mamma mentre era in auto da sola. Nessuno lo ha mai messo in dubbio. La telefonata al 118 invece lei non la fece mentre si trovava in auto da sola, ma mentre si trovava in casa, in compagnia di sua madre Angela, di fronte a suo padre morente.

Gianluigi Nuzzi“No il telefono, l’età… mamma”, sembra che lei signora stia parlando con sua mamma in questa telefonata.

Simona Pozzi: No, è il mio modo di fare quando non riesco a ricordare una cosa che dico: “Mamma mia”, ma perché non mi ricordo, assolutamente, assolutamente, ero in macchina da sola… lo posso confermare.

Dopo il “No” la Pozzi indebolisce la negazione aggiungendo 32 parole, tra queste due “assolutamente” e “lo posso confermare” che sottolineano il suo bisogno di convincere.

La Pozzi mostra di essere capace di falsificare, quando dice “ero in macchina da sola…” mente.

Gianluigi Nuzzi: Quindi non è un “mamma” rivolto ad un’altra persona?

Simona Pozzi: No, no, perché di telefono ne ho uno, quindi quello era e da quello ho chiamato l’autoambulanza.

Prima nega e poi indebolisce la sua negazione con 16 parole superflue, che usa, peraltro, non per negare di aver fatto la chiamata da casa in compagnia di sua madre, ma per affermare un qualcosa che Nuzzi non le stava contestando, ovvero di aver chiamato dal suo telefono.

Giornalista: (…) questa è la porta di casa, da qui, diciamo, sono partite in parte le accuse contro di te, questa porta era chiusa quando è arrivata tua madre, era chiusa a chiave, solo tre persone, una era tuo padre e altre due, tua madre e tu, avevate le chiavi, per questo le indagini sono arrivate a te all’inizio.

Simona Pozzi: Sì, proprio così, in quanto sostengono che sicuramente sono stata io a dare le chiavi al… a questo sicario che doveva eseguire questo lavoro, però le chiavi io le avevo e le ho consegnate spontaneamente in questura quella notte e loro non me le stavano neanche chiedendo, copie non ne ho fatte, mi risulta che siano andati ovunque a chiedere quindi…

Simona Pozzi non riesce a negare di aver consegnato le chiavi all’omicida, anzi, senza ripetere a pappagallo le parole della giornalista, afferma spontaneamente “sicuramente sono stata io a dare le chiavi al… a questo sicario che doveva eseguire questo lavoro”.

La Pozzi ha riferito alla giornalista di aver consegnato spontaneamente a chi indagava le chiavi di casa la notte stessa dell’omicidio. Il fatto che Simona Pozzi fosse in possesso delle chiavi dopo l’omicidio non permette di escludere che le possa aver consegnate a qualcuno poco prima del delitto e che questo soggetto gliele abbia lasciate da qualche parte subito dopo, peraltro, quella sera, dopo l’uscita del padre, anche Simona Pozzi uscì dal negozio per circa 15 minuti.

In sintesi, Simona Pozzi ha provato a convincere la sua interlocutrice ma non è riuscita a negare in modo credibile di aver consegnato le chiavi all’omicida.

Giornalista: Qua era tuo padre (…) C’era sangue in questa stanza?

Simona Pozzi: Allora… il sangue era limitato dietro alla testa, perché quando io sono arrivata mia madre era in questa posizione, io mi sono avvicinata al corpo di mio papà e sinceramente il sangue era limitato dietro alla testa, non aveva nessun tipo di ferita sul viso.

La Pozzi avrebbe potuto limitarsi a dire “il sangue era limitato dietro alla testa” e invece ha aggiunto “perché quando io sono arrivata mia madre era in questa posizione” informazioni superflue che ci ha preannunciato con un “Allora” e che le servono ancora una volta per portare a casa il solito punto

“io mi sono avvicinata al corpo di mio papà” è una frase inaspettata per la presenza della parola “corpo”, un termine generalmente usato per descrivere un cadavere, vi ricordo che la Pozzi ha riferito all’operatrice del 118 che le sembrava che il padre respirasse.

Giornalista: Schizzi in giro?

Simona Pozzi: Non c’era nulla.

Simona Pozzi: Respirava aveva su gli occhiali da vista integri e non aveva un minimo segno sul viso, né labbro spaccato, né occhi tumefatto, nulla di ciò che invece ho letto nell’autopsia e questo, mi dispiace, ma non posso negarlo perché è l’immagine che ho di mio papà impressa davanti agli occhi da quasi tre anni.

E’ inaspettato che un soggetto che si dichiara vittima di un errore della procura dica “mi dispiace”, parole che si trovano di frequente nelle dichiarazioni di soggetti che si sentono in colpa.

Se il Pozzi fosse caduto da solo si sarebbe procurato un’unica lesione alla testa e non otto. 

Gianluigi Nuzzi: Lei è accusata del peggiore dei delitti, cioè quello di aver ucciso il proprio padre, è un’accusa Simona pesantissima questa.

Simona Pozzi: Sì, sicuramente pesantissima maa… come ho ripetuto diverse volte… eee… mai ho pensato di voler vedere mio padre morto, diciamo che nelle discussioni di parole se ne dicono tante ma da lì poi ad eseguire un omicidio ne passa. E tengo anche a precisare che di questo… stavo dicendo, di questo discorso ne stiamo parlando ormai da quasi tre anni e preciso… eee… quello che è stato richiesto non è il carcere perché io sono l’omicida ma un carcere cautelativo con indagini chiuse… eee… io che sono indagata da giugno.

Simona Pozzi non nega in modo credibile. Dopo essere stata messa di fronte alle accuse, non dice “io non ho ucciso mio padre, sto dicendo la verità”, si esibisce invece in una lunga tirata oratoria durante la quale prova a convincere il giornalista di un qualcosa che è incapace di negare in modo credibile. Peraltro, nella sua tirata oratoria, la Pozzi inserisce spontaneamente la frase “perché io sono l’omicida”, un’ammissione.

Gianluigi Nuzzi: Simona però una cosa… lei che rapporto aveva… aveva un rapporto molto burrascoso con suo padre?

Simona Pozzi: Un rapporto burrascoso, come credo il 90% delle persone ha quando vive a stretto contatto con la propria famiglia, ci lavora insieme, età diverse, visioni diverse di quello che è il commercio oggi e quindi spesso si litigava però… mmm… da lì a pensare che una persona abbia ammazzato suo papà ne passa, cioè credo che le famiglie del Mulino Bianco le vediamo solo nelle pubblicità, mi viene anche un po’ da sdrammatizzare perché la situazione sta diventando pesante, cioè io per gli occhi della gente sono una omicida (incomprensibile).

Si noti che anche “sono una omicida” è una frase che la Pozzi pronuncia spontaneamente.

Ancora una volta Nuzzi non ha interrotto la Pozzi, ma ha lasciato che parlasse, ed è stato ripagato.

Gianluigi Nuzzi: Simona ma forse sugli occhi della gente, sull’opinione anche dei nostri social pesa quel precedente, cioè quando secondo gli inquirenti lei avrebbe tentato in precedenza di, come dire, far morire il padre a colpi di bastonate prima e col veleno dopo.

Simona Pozzi: Sì, questo è emerso dopo, perché c’è un teste, come dicono loro, affidabile, che sarebbe andato di sua spontanea volontà e non è tale Pasquale Talarico ma un’altra persona e da lì è nata tutta questa cosa, però sinceramente, ripeto, anche in quell’occasione io mi sento tranquilla perché non… mmm… eee… questa persona non la conosco quindi…

Si noti la frase “questo è emerso”. Emergono solo le cose accadute e poi sommerse. 

Simona Pozzi non nega di aver tentato di uccidere suo padre in precedenza, dice semplicemente di non conoscere il teste, poi definisce questa accusa “quell’occasione”.

Gianluigi Nuzzi: Ecco lei ha introdotto questa persona, Talarico, si tratterebbe della persona… insomma… che lei avrebbe incaricato di, come dire, di far fuori suo padre prima della tragica e misteriosa… ancora… morte di papà Maurizio, è corretto?

Simona Pozzi: Sì, 3 anni prima, 4 anni prima, questa persona sostiene che per 1000 euro è andato in montagna a compiere questo pestaggio, chiamiamolo così, eee sinceramente io mi sono letta tutte le carte e penso che è una logica molto meccani… meccanica molto… molto contorta, pensare che una persona di quel calibro, chiamiamolo così, possa, per 1000 euro, aver fatto quello che ha fatto.

La Pozzi non nega in modo credibile di essere la mandante del pestaggio del padre né di conoscere Talarico ma si esibisce nell’ennesima tirata oratoria durante la quale parla di carte e di logica e con la frase “aver fatto quello che ha fatto” ci conferma di credere che sia stato Pasquale Talarico ad aggredire suo padre in montagna. 

Ancora una volta Nuzzi non ha interrotto la Pozzi, ma ha lasciato che parlasse, ed è stato ripagato.

Giornalista: È un pluripregiudicato.

Simona Pozzi: Ecco, per l’appunto, eee… sostiene di essere anche venuto in negozio a viso scoperto.

La Pozzi, invece di negare in modo credibile, prova ancora a convincere. 

Gianluigi Nuzzi: E lei non lo conosce?

Purtroppo Nuzzi invita la Pozzi a negare.

Simona Pozzi: No, io non lo conosco, ma, a questo punto, dal momento che nega di aver aggredito anche mia mamma e mia mamma invece è stata aggredita e sostiene che indossava un cappellino, quindi a viso scoperto, se è vero che è tornato in negozio a chiedermi i soldi per il lavoro e mia mamma sostiene che era in negozio, meglio di un confronto fra lui e mia mamma non ce n’è perché, a questo punto, se… se è tutto così… è tutto assurdo, non si è mai visto pluri(pre)giudicato venga in negozio.

“No, io non lo conosco” non è una negazione credibile perché la Pozzi ripete a pappagallo le parole di Nuzzi, che peraltro le ha suggerito di negare, e poi indebolisce la sua negazione con una tirata oratoria di 88 parole. 

Una negazione credibile è una negazione spontanea; una negazione costruita ripetendo a pappagallo le parole di un interlocutore non è una negazione credibile. 

Una negazione credibile è composta da tre componenti:

  1. il pronome personale “io”;
  2. l’avverbio di negazione “non” e il verbo al passato “ho”, “non ho”;
  3. l’accusa “ucciso x”, “rubato il y”, “violentato x”, “rapito x”, etc.

Se una negazione ha più o meno di tre componenti non è una negazione credibile.

La frase “io non ho ucciso x”, seguita dalla frase “io ho detto la verità”, riferita a “io non ho ucciso x”, nel 99% dei casi è la verità.

Dicendo “a chiedermi i soldi per il lavoro”, la Pozzi fa ricorso ad una terminologia inaspettata, da ambiente criminale.

“a questo punto, se… se è tutto così… è tutto assurdo” è un’affermazione interessante il cui contenuto andrebbe approfondito con ulteriori domande.

In questi stralci d’intervista, Simona Pozzi ha mostrato di non potersi avvalere della protezione del cosiddetto “muro della verità” che è una potente ed impenetrabile barriera psicologica che posseggono coloro che dicono il vero e che gli permette di rispondere con poche parole perché non sentono il bisogno di convincere nessuno. 

Perché Simona Pozzi nega l’evidenza? Perché nega di aver fatto la telefonata al 118 da casa in compagnia di sua madre? Perché, dopo essere stata avvisata telefonicamente dalla madre che il padre stava male, prima di chiamare il 118, andò a casa dei genitori per accertarsi delle sue condizioni.

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ursula franco 1 OMICIDIO MAURIZIO POZZI: ANALISI DI UNO STRALCIO DELLA TELEFONATA AL 118 DI SUA FIGLIA SIMONA E DI PARTI DI INTERVISTE DA LEI RILASCIATE* Medico chirurgo e criminologo, allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari