di DIANA RUSCONI
Vive immersa nell’arte e la sua vita, nella somma dei giorni, è racchiusa totalmente nell’artisticità che sa esprimere attraverso la sua sensibile essenza di pittrice, decoratrice, restauratrice e disegnatrice.
É Carmen Pomella e il suo nome risuona in questi giorni su diversi organi di stampa per aver conquistato il premio internazionale “Stampa estera” all’evento I edizione Biennale Belvedere di Caserta, ma l’interesse per questa originale artista casertana risale dall’incontro diretto avuto con “Lei”: un aggancio filtrato esclusivamente dal suo dipinto – Mater – esposto al Quartiere Militare Borbonico di Casagiove. Tra le tante opere in mostra, pur non essendo centrale, è stato forte il richiamo di quello sguardo caratterizzato da una forza dominante, non solo per le proporzioni, e penetrante al punto di catturare prepotentemente l’attenzione dello spettatore. Ne è derivata una fisiologica curiosità personale, che non ha trovato terreno fertile durante il periodo dell’intera kermesse, in cui poco si è detto delle vere protagoniste, le opere (ndr).
Dietro un’opera c’è sempre un racconto, così tra i toni caldi e ambrati di una tela vissuta e portatrice dei segni del tempo, è stato naturale domandarsi chi fosse l’autrice che ha concepito quel volto dannatamente femminile. Carmen Pomella, artista dalla personalità eclettica e sorprendente, ci ha aperto le porte del suo studio, luogo simbolo della sua esistenza, e ci ha parlato delle sue ispirazioni e di quel mondo interiore che lascia respirare nelle sue opere. Come tutti i creativi, la sua indole si è manifestata in tenera età, quando tra le prime produzioni ritornava di volta in volta l’immagine di un cimitero, approdando poi ai primi concorsi di pittura. Durante il suo percorso artistico, suggellato dagli studi all’Accademia di Belle Arti a Napoli, Carmen Pomella sentiva crescere il suo amore per la storia che l’ha portata ad approfondire lo studio sulle diverse metodologie e tecniche di restauro. Ci racconta di lei, dei suoi anni formativi e delle esperienze che hanno segnato i passaggi della sua arte, dando voce alle protagoniste dei dipinti che affollano la stanza. Si fa fatica a incasellarla come artista “emergente”, lei che soltanto poche volte nel corso del tempo ha messo da parte la sua energia creativa e che non ha mai smesso di alimentare la sua visione artistica arrivando anche ad imparare direttamente dal grande maestro burattinaio, il napoletano Bruno Leone l’arte delle “guarratelle” o, addirittura, a costruire maschere secondo il canovaccio del tradizionale stile veneziano. Tuttavia, tra un’esperienza formativa e l’altra, Carmen Pomella inizia la sua carriera di restauratrice collaborando per diversi anni con Silvia Cerio, presso il suo studio di restauro di Roma, specializzandosi soprattutto nel Settecento, periodo che influenzerà successivamente la sua produzione pittorica.
All’attività di restauratrice affianca per diversi anni il ruolo di docente di disegno presso il Centro Orafo Tarì e annovera tra le sue migliori sperimentazioni anche la riproposizione di schemi sia tradizionali che innovativi su seta di San Leucio per la famosa azienda Alois, riuscendo a conquistare un pubblico privato cinese e, soprattutto arabo proponendo manufatti intessuti con cristalli e filamenti d’oro. Non è una ragazzina alle prime armi, e di certo non sono mancate nel suo dossier esposizioni in alcune delle location più suggestive della Campania come per esempio Castel dell’Ovo, Villa Bruno a Napoli, Museo Campano di Capua e Reggia di Caserta. La pittura di Carmen Pomella risente significativamente del suo vissuto, come un dialogo con se stessa per poi trasmetterlo a noi con quelle forti sensazioni sancite in volti accattivanti che lei oggi definisce “fantasmi dell’anima”.
Il Leit motiv della sua creatività è la presenza costante di donne intrise di rabbia e dolore, malinconia e nostalgia. Ci incantano i contrasti cromatici delle sue prime produzioni personali come l’Urlo – opera su un fondo nero – ricca di impeto, per poi arrivare al secondo capitolo pittorico, espressione di una seconda parte della sua vita dopo un incidente, declinato attraverso le “Mater” di cui fa parte la “Potenza dell’inconscio” opera inedita e vincitrice a San Leucio. L’unicità di questi quadri viene dettata da un’ispirazione atipica. L’artista, infatti, riabilita sapientemente le vecchie tele ricavate dalla sua attività di restauro reinterpretando le macchie di questi supporti preziosissimi consunti dal tempo e lasciandosi “guidare” dalle tracce secolari fatte di bitume, muffe, colle e depositi di varia natura. Nascono così i suoi soggetti femminili, rappresentazioni della sua identità, opere di grande formato in cui emerge da esse la capacità di comunicare a grandi pennellate in modo sintetico e diretto l’originalità della sua impostazione psicologica, una matrice determinante e determinata che si allaccia all’io della psicologia analitica di Carl G. Jung.
Alla domanda “dopo aver riscosso notevoli consensi per le prime Mater, quali progetti ha in cantiere?”, l’artista casertana non esita a confessarci che tra le prossime iniziative immagina una sua exhibition personale, come momento intimo e attento col suo pubblico, lasciando un po’ da parte le esposizioni collettive, magari dopo uno dei suoi viaggi.
Avevo visto già alcune sue tele, nel suo studio, quasi sbirciando, in quanto con grande modestia evitava di soffermarsi troppo su delle descrizioni. Difficilmente trovo affascinanti i dipinti di artisti contemporanei. Sono felice per i suo successo, costruito tra la sensibilità e la competenza di restauratrice ed amante del bello. Un nostro amico comune ne sarebbe felice. Complimenti Carmen.
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