Da qualche anno si parla sempre di più dei cosiddetti “neurodiversi” e di “neurodiversità”. Ma di cosa si tratta? A spiegarlo, con chiarezza e in sintesi, ci pensano le dottoresse Marianna Martino (psicologa esperta in disturbi evolutivi e disturbi specifici dell’apprendimento) e Grazia Munciguerra (psicologa, terapista ABA e specializzanda in psicoterapia sistemico relazionale) della neonata Organizzazione di Volonariato “Diversa-Mente”.
“Il termine di neurodiversità – spiegano le esperte – fu introdotto alla fine degli anni novanta, dalla sociologa Judy Singer all’interno di un articolo. È un termine introdotto relativamente da poco che vuole indicare lo sviluppo neurologico atipico (rispetto al “normale” statistico) come una variante naturale del cervello umano. La “diversità neurologica” viene così considerata “diversamente” normale. Le condizioni neurodiverse non sono condizioni da curare in toto, ma rappresentano più una specificità umana che può non essere totalmente e necessariamente svantaggiosa. Infatti il cervello neurodiverso possiede una struttura cerebrale atipica che implica un modo diverso di elaborare le informazioni. In tale costrutto, rientrano tutte quelle condizioni caratterizzate da diversità cognitiva (con base neurologica) rispetto allo sviluppo neurotipico. In esse troviamo il disturbo dello spettro autistico e la sindrome di asperger, il deficit di attenzione e iperattività, le difficoltà di apprendimento e la sindrome di Tourette”.
“Ciò che sottolinea il termine neurodiversità, contrapposto al concetto di neurotipicità, è proprio il superamento della discriminazione e dell’esclusione sociale di chi presenta un funzionamento mentale diverso, ma non meno efficace! Infatti, come molti grandi della storia ci hanno mostrato, le neurodiversità possono rappresentare una grande risorsa, poiché permettono di guardare il mondo “da un’altra prospettiva”, meno statica e rigida di quella a cui siamo normalmente abituati. I neurodiversi presentano una diversa modalità di percezione, elaborazione e definizione dei dati della realtà. Talvolta scoprono cose che i nostri occhi di “neurotipici” non guarderebbero nemmeno.”
Ma le dottoresse portano alla luce anche un problema con cui i neurodiversi, soprattutto a scuola, si ritrovano a convivere: “Questa diversa modalità comporta anche la non visibilità della neurodiversità, soprattutto nei contesti scolastici i ragazzi neurodiversi vivono nell’ombra e la scarsa informazione non permette loro di emergere, per mostrare il loro enorme potenziale. Diversamente da altri disturbi visibili, come la sindrome di Down o alcune menomazioni, i soggetti con neurodiversità non sono riconoscibili dall’esterno, né vengono legittimati nelle loro potenzialità, ma si evince una difficoltà generale nell’adattamento sociale o scolastico, scambiato spesso per pigrizia o svogliatezza”.
“Ma perché – continuano le dottoresse – DIVERSO ha un’accezione così negativa pur avendo ricerche e studi con risultati cosi contrapposti? Diversità fa sospetto. Diversità fa paura. Diversità fa estraneo. Perché la diversità ci fa pensare a qualcosa che non conosciamo e di cui non abbiamo esperienza. Per questo è importante parlare di diversità e neurodiversità, per arrivare alle orecchie del mondo e agli occhi della gente. Ciò che è importante – concludono con fermezza – è la sensibilizzazione e la conoscenza di queste condizioni”.