COVID-19: TUTTO QUELLO CHE GLI ALTRI NON POSSONO O NON VOGLIONO DIRVI (e che non vi diranno mai) – VIII PUNTATA

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CASTRONERIE ‘ANTIVIRUS’. IL POPOLO DELLE (PERNICIOSE) MASCHERINE

   –           di Luigi Cobianchi           –           

LUIGI COBIANCHI COVID 19: TUTTO QUELLO CHE GLI ALTRI NON POSSONO O NON VOGLIONO DIRVI (e che non vi diranno mai)   VIII PUNTATAIn questi giorni, siamo stati letteralmente bombardati da messaggi a dir poco contraddittori e perplessi in merito ai presidi e alle ‘buone pratiche’ che dovrebbero prevenire/ridurre il contagio dal «SARS-CoV-2».

Sennonché, stiamo sentendo ca…stronerie davvero di tutti i colori, soprattutto – come più volte detto – grazie a quei subdoli strumenti di imbonimento, coercizione, influenzamento che sono i mezzi storici di comunicazione di massa, televisione in testa, dal cui pulpito un esercito di pseudoscienziati, che ha sposato la causa del terrorismo psicologico e degli interessi economici di parte, continua a diffondere – oltretutto, come verità di fede – notizie quantomeno opinabili. E chi ha un’idea diversa, eppure sostenuta da solide basi scientifiche, viene immediatamente isolato, zittito, privato di quell’ulteriore, fondamentale diritto costituzionale che è la libertà di pensiero e di espressione (cfr. art. 21).

Vogliamo iniziare, oggi, un’attenta disamina, su basi SCIENTIFICHE, biologiche, biochimiche, fisiche, tecnico-ingegneristiche, di detti dispositivi e di dette norme igienicheanti-contagio’, tentando di effettuare una classificazione, in cui distingueremo quelli che potremmo definire, mutuando dal frasario giuridico, ‘inconferenti’ – ovvero che nulla fanno, ma che non hanno effetti collaterali – quindi inutili, ma non dannosi; da quelli nocivi e, infine, dai presidi benefici (ove ve ne siano realmente).

Cominciamo dal dispositivo di maggiore attualità, in quanto se ne prospetta addirittura l’obbligatorietà, incredibilmente proprio quando il contagio si sarebbe sensibilmente ridotto…

Sin da quando si è avuta contezza della diffusione del virus a livello nazionale, abbiamo assistito, con un misto di sentimenti di tristezza e ilarità, alla scena surreale del ‘popolo delle mascherine’, donne e uomini vaganti, come anime purganti, che domandavano supplichevoli di poterle acquistare in farmacia, neanche si trattasse del pane, di più, dell’ossigeno!

Ottenuto l’agognato bene, hanno cominciato a indossarlo, quasi con ostentazione, dappertutto – guardando chi non lo porta sul viso, dapprima, con sufficienza (per la serie io, che sono stato più bravo a procacciarmelo, mi salvo, tu… no!) poi con disdegno (sarà mica quello/a lì l’untore/rice che appesterà l’universo mondo?) – in macchina mentre guidano, addirittura all’aria aperta. Probabilmente – come qualche presule piccolo, piccolo che ha cercato di battere sul tempo i confratelli nell’ordinare la chiusura delle Chiese della propria Diocesi, neanche fossero botteghe di generi minori – questi soggetti, in adolescenza, saranno rimasti impressionati dalla descrizione manzoniana della peste ne I promessi sposi, che resta (ahinoi) per qualcuno l’unico romanzo mai letto (almeno in parte) – ritenendo che «the plague» sia nell’aria, magari portata dal vento…

So che quanto dirò farà soffrire molti, soprattutto coloro che in quel lembo di materiale tessile hanno trovato, psicologicamente parlando, la loro ‘coperta di Linus’ e che hanno speso fortune per acquistarle: non servono a nulla!

Per comprenderne il perché occorre fare qualche brevissima precisazione sui virus (che, ovviamente, non pretende di avere alcuna valenza ‘trattatistica’).

Al riguardo, premetto che, per quanto mi riguarda, ritengo che a parlare di virus, se non per gli aspetti terapeutici, debbano essere sempre e solo i Biologi.

Non me ne vogliano i Medici, ma mentre, incredibilmente, nel nostro Ordinamento «nessuna norma reca indicazioni globali sui contenuti e sulle funzioni di tale professionista sanitario [il medico]» (cfr. L. LENTI – E. PALERMO FABRIS – P ZATTI, I diritti in Medicina in Trattato di Biodiritto, diretto da S. RODOTà, P. ZATTI, Giuffrè Editore – 2011) – ciò che rappresenta un vulnus normativo incredibile ed intollerabile, perché determina continui scantonamenti nelle attività riservate e lege , in via esclusiva, ad altre professioni – sin dall’emanazione della Legge Istitutiva dell’Ordine dei Biologi (24 maggio 1967, n°396; cfr. art. 3, comma 1, lettera d), il Legislatore ha costantemente riaffermato come formino oggetto della professione di Biologo (settore A): l’«identificazione di agenti patogeni (infettanti e infestanti) dell’uomo, degli animali e delle piante; identificazione degli organismi dannosi alle derrate alimentari, alla carta, al legno, al patrimonio artistico; indicazione dei relativi mezzi di lotta;» (cfr. DPR 5 giugno 2001, n.328, art. 31, comma 1, lettera d).

Cominciamo col dire che, a dispetto di quanto asserito da taluni pseudodivulgatori scientifici e, incredibilmente, financo su certi testi online, i virus non possono ritenersi propriamente organismi (viventi). Non possono esserlo, essendo costituiti da un solo tipo di acido nucleico (o DNA, o RNA).

Ahinoi, anche alcuni dei fenomeni televisivi cui facevo cenno nelle precedenti puntate li hanno reiteratamente definiti così, dimostrando di non conoscere neanche l’ ‘abc’ della Biologia… Figuriamoci se ci si può fidare dei teoremi terapeutici o di controllo epidemiologico proposti da questi soggetti, che parlano di ciò che non conoscono nemmeno nei fondamenti più elementari, roba da studente medio di un liceo!

Potremmo correttamente definirli come una classe di agenti infettanti, patogeni.

Solo nella fase extracellulare, o infettiva, il virus si presenta nel suo stadio maturo, detto virione, in cui il genoma virale si presenta racchiuso in una capsula proteica, detta capside (virus nudi) che, a sua volta, può essere rivestita da un ulteriore involucro membranoso esterno (virus rivestiti), detto pericapside o peplos, costituito da lipidi, in doppio strato, e da glicoproteine, le quali formano proiezioni sporgenti dalla superficie (spicole), che permettono al virione di aderire ai recettori della cellula ospite.

Quello attualmente alla ribalta mondiale, noto come «SARS-CoV-2», che è in grado di causare la patologia chiamata «COVID-19», seguendo la classificazione linneiana, appartiene alla famiglia Coronaviridae, e, segnatamente, al genere Coronavirus.

E’ un virus a RNA, rivestito di un capside e di un pericapside con strutture glicoproteiche che gli conferiscono il tipico aspetto ‘a corona’.

Mi chiederete: ma che c’entra tutto questo con le mascherine?

Vengo al punto: le dimensioni di un virus variano da circa 30 a 200 nanometri (nm), pari a un miliardesimo di metro (10-9m), ovvero alla milionesima parte del millimetro (10-6mm), ciò che lo rende visibile esclusivamente con il microscopio elettronico, non con quello ottico.

Segnatamente, i Coronavirus hanno una grandezza media che varia da 80 a 160 nm.

Per dare dei riferimenti più concreti, un virus di 50 nm ha dimensioni pari ad 1/20 di un batterio ‘piccolo’ e 4.000 volte inferiori rispetto al diametro di un capello!

Ora, la più ambita (e introvabile) delle mascherine, quella di tipo FFP3 – acronimo di Filtering Face Piece, che, più correttamente andrebbe chiamata ‘respiratore antipolvere facciale filtrante di classe 3’, secondo la norma Europea EN 149 – assicura sì una protezione al 98% (con perdita totale massima ammessa del 5%) ma da particelle con dimensioni fino a 0,6 MICROMETRI (μm), pari a un milionesimo di metro (10-6m), ovvero al millesimo del millimetro (10-3mm). Sotto questa soglia, nessun potere filtrante è assicurato e, comunque, certificato.

A titolo di esempio si consideri che un globulo rosso ha un diametro medio di 6-9 μm e, in ragione di ciò, a differenza dei virus, è visibile con un banale microscopio ottico.

Quindi, un virus è 1.000 volte più piccolo (ben tre ordini di grandezza!) rispetto al più piccolo corpuscolo che un respiratore FFP3 riesce a filtrare

In buona sostanza, indossare una siffatta ‘mascherina’ convinti di arrestare l’accesso nel nostro organismo di un virus, attraverso le vie aeree, equivale a pretendere, in estate, di impedire l’ingresso nelle nostre case delle zanzare (dimensioni 3-15 mm), applicando alle porte e alle finestre non una zanzariera, bensì una grata, con maglia dell’ordine di grandezza di 1metro x 1metro!

E parliamo della migliore in commercio! Figuriamoci la mascherina cosiddetta ‘chirurgica’, quella del ‘brico’, o, peggio, quelle fatte in casa, oppure da (troppo) zelanti volontari, in semplice tessuto, carta da forno o, addirittura, in stoffa per cravatte [davvero non abbiamo più che sentire] che si possono pure lavare!!

Il dramma è cha la televisione amplifica queste assurdità come ‘buone pratiche’, né più, né meno di come ha fatto, almeno inizialmente, per il cantare a squarciagola da balconcini contigui, magari aggettanti su vicoli o spazi angusti, ciò che rappresenta un veicolo di contagio molto probabile, se la distanza tra ‘cantore’ e ‘cantore’ è inferiore alla soglia di salvaguardia (reale o presunta, come meglio diremo nelle prossime puntate).

Peraltro, quel filtraggio del 98% di particelle micrometriche verrebbe, almeno teoricamente, assicurato se – e soltanto se – il predetto presidio venisse indossato correttamente, ovvero ‘a tenuta’, in perfetta aderenza al viso, senza il benché minimo ‘lasco’, il che è materialmente impossibile (in particolar modo per chi ha un ovale oblungo, o per gli uomini che portano una folta barba), a meno di non sigillarselo al volto con del collante specifico! Diversamente, come è ovvio, le perdite sia in uscita, sia in ingresso aumentano vieppiù, fino a inficiare del tutto l’efficacia del respiratore, anche rispetto a particelle macroscopiche.

Vi è, poi, un altro problema delle mascherine a filtro, o respiratori: dopo qualche ora il potere filtrante si esaurisce del tutto e devono essere sostituite. Ma chi le compra – e, soprattutto, le indossa – viene informato di ciò, né è consapevole?

A questo punto, sorge spontanea una domanda: fermo restando che per i medici, i biologi, il personale sanitario e assistenziale i criteri di ragionamento sono diversi, alla luce dei parametri che ci siamo dati, a quale categoria di presidi anticontagio dobbiamo ascrivere la mascherina, a quelli inconferenti, o a quelli nocivi’ (l’ipotesi che sia benefica essendo già stata abbondantemente confutata, con buona pace di chi ha redatto il piano lombardo di comunicazione per la prevenzione del contagio)?

Ebbene, l’uso indiscriminato e prolungato di mascherine e respiratori può determinare un vero e proprio effetto boomerang’: la nostra bocca, o meglio, utilizzando termini più propri, il nostro cavo orale è una vera e propria ‘fogna’, pullulante di batteri, protozoi, miceti e anche virus. L’insieme dei primi tre viene comunemente definito ‘microbiota orale’.

Al di là delle loro interazioni, questi agenti – tra i quali vi è anche lo Staphylococco e lo Streptococco, eziologicamente legati a patologie serie, quali l’endocardite e la meningite batterica – finché rimangono in situ, vengonotenuti a bada’, in termini quantitativi, di ‘carica’, prevenendo fenomeni di colonizzazione, dai sistemi di difesa del nostro organismo contenuti nella saliva, costituiti, fondamentalmente, da enzimi proteolitici, in particolare, il lisozima; dalla lattoferrina; dallo ione tiocianato, ecc., oltre che da anticorpi (immunoglobuline della classe IgA).

Sennonché, quando i predetti agenti vengono a contatto/si depositano su di una superficie inerte, abiotica, come accade per esempio sulla faccia interna delle famigerate mascherine, attraverso la respirazione e/o gocce di saliva eiettate con il parlare, la tosse, o uno starnuto, essi sono liberi di proliferare, mutando gli originari equilibri tra di loro, anche sfruttando le più favorevoli condizioni di temperatura e igrometriche che si determinano nella camera (più o meno a tenuta) che il respiratore forma con il nostro viso, fino ad acquisire una concentrazione e, quindi, un potere patogeno, semmai non sussistente ab origine. Dopodiché, per banale inalazione, trovano una via privilegiata di accesso al nostro organismo… Anche per questo, chi sta (o è stato) davvero in un laboratorio – quindi non gli ‘svarioni’ o i ‘crisantemi’ televisivi de quibus – e, per motivi di opportunità o di norma, ha dovuto indossare mascherine sa bene che esse vanno cambiate molto frequentemente, che non possono IN NESSUN CASO ESSERE RIUTILIZZATE e che vanno smaltite come rifiuto ‘speciale’.

è un po’ lo stesso meccanismo per il quale, i batteri e gli altri potenziali patogeni presenti nella nostra urina vengono tenuti a bada, in condizioni normali, fino a quando questa rimane all’interno della vescica, con le sue pareti ‘attive’ – attraverso le quali si realizza un controllo costante, da parte dei sistemi di difesa naturali del nostro organismo – mentre possono proliferare indiscriminatamente all’interno delle sacche di raccolta dei pazienti cateterizzati. Ciononostante la cateterizzazione vescicale, per un certo periodo, era divenuta quasi una moda, nei pazienti ospedalizzati, soprattutto a seguito di un intervento chirurgico, a prescindere dalle loro capacità motorie, addirittura a seguito di piccoli interventi, anche in soggetti molto giovani. Qualche nefrologo, poi, nei cateterizzati a permanenza, anziché raccomandare l’utilizzo di presidi in silicone con nervature, per diminuire la superficie di contatto con l’uretra, e una loro sostituzione a intervalli di tempo opportuni, suggeriva l’instaurazione di terapie antibiotiche sine die (con tutte le nefaste conseguenze del caso). Un obbrobrio biomedico!

In ragione di tutto ciò possiamo serenamente dire che l’uso indiscriminato di mascherine/respiratori, non solo è inutile, ma potenzialmente NOCIVO.

Ciò in disparte, i respiratori FFP2 o 3 sono fortemente sconsigliati in soggetti che presentano problemi respiratori – quali asma o enfisema – o cardiaci. Ma qualcuno, nel vendere liberamente detti presidi, informa in tal senso l’acquirente?

Sempre attraverso i mass media, anche chi, in apparenza, sembrerebbe maggiormente informato, su un piano tecnico-scientifico – e, quindi, più vicino alle posizioni sopra esposte – ha poi, però, sostenuto che potrebbe essere opportuno farle indossare a chi ha contratto il patogeno, soprattutto se è in casa, in quarantena, a contatto con altri familiari.

Chi sostiene questa tesi evidentemente ignora che la saliva – principale veicolo organico di diffusione del virus de quo – è composta per il 98,7% di acqua.

Ora, una delle caratteristiche fondamentali dell’acqua è la sua tensione superficiale, pari, a 20°C, a 0,073 N/m, responsabile della caratteristica formazione di gocce. Quando indossiamo una mascherina, nel parlare, tossire o starnutire, emettiamo gocce di saliva e anche microgocce – dette anche «goccioline di Flügge» (nota per i ministri dello «smart worki» o del «CoronavAIrus» e per gli ‘svarioni’ televisivi: si dice Flügge [’fly:ggǝ] – dal cognome del batteriologo e igienista tedesco che, per primo, teorizzò la veicolazione di patogeni nelle microgocce di saliva, capaci di rimanere in sospensione nell’aria – e non flug [fluːk], ‘volo’ in tedesco, quello che farei fare loro) che progressivamente imbibiscono, da parte a parte, il tessuto di cui è composta. A imbibizione avvenuta, se nella nostra saliva erano presenti virus, la loro concentrazione sulla mascherina, nel tempo, aumenta vieppiù. A quel punto, eventuali, successivi colpi di tosse o starnuti, per l’effetto dello spostamento di un volume d’aria che si creerebbe, determinerebbero una sorta – se mi si passa l’iperbole – di effetto deflagrante’, che sospingerebbe i virioni presenti sulla superfice della mascherina, passati dalla faccia interna a quella esterna, direttamente sul malcapitato che si trova nelle immediate vicinanze del paziente infetto, piuttosto che sulle superfici che lo circondano.

In realtà, stanti le dimensioni nanometriche dei virus, essi sarebbero rinvenibili non solo nelle predette goccioline, ma anche nel vapore acqueo che emettiamo attraverso l’espirazione: è un’esperienza nota a tutti – credo – che se espiriamo contro uno specchio, questo (salvo condizioni di temperatura/umidità estreme) si opacizza temporaneamente, il che dimostra che quanto emettiamo dal nostro apparato respiratorio è anche vapore acqueo, non esclusivamente gas. Bene, la capacità di trattenere il vapore d’acqua da parte delle mascherine è assai limitata, soprattutto con un uso prolungato. Ergo

Anche in ragione di ciò il mantra che prende corpo sempre più, in ossequio al quale si indossa la mascherina sapendo che non protegge se stessi dai virus, ma per tutelare gli altri – in un improvviso, ritrovato riflusso di uno spirito «peace and love» – è una castroneria enorme! Anzi, trasformatesi in un serbatoio di batteri, miceti, protozoi (per rimanere nell’ambito esclusivo dei patogeni, non entrando in quello degli allergeni) – e, eventualmente, anche di virusesse divengono una fonte di potenziale rischio per sé e per gli altri, mentre si portano e perfino a fine uso, se non smaltite correttamente, come rifiuto speciale.

Assolutamente da evitarsi, per soggetti affetti dal SARS-CoV-2, i respiratori FFP2 o 3 dotati di valvola di esalazione: questa, invero, se rende indubbiamente più confortevole il presidio, ha l’effetto di determinare un flusso concentrato, non filtrato, unidirezionale, in sola uscita dell’espirato del paziente infetto, che rappresenterebbe una vera e propria ‘arma virale’ per tutte le persone che si trovassero a ‘tiro di fiato’ di quest’ultimo. Nel dubbio di potersi trovare in presenza di un numero di ‘portatori sani’ ben maggiore rispetto a quanto ipotizzabile, l’uso indiscriminato che se ne sta facendo andrebbe perseguito e sanzionato ex art. 438 cp..

Giova osservare, ancora, come mascherine e respiratori, di qualsivoglia tipologia, possano trasformarsi in altrettanti veicoli di auto-contagio, qualora – come puntualmente accade, visto il senso di fastidio che arrecano – si stia ad aggiustarseli sul viso in continuazione, con le mani, magari inguantate, eventualmente venute a contatto con il virus!!

Veniamo a un altro aspetto della vicenda: se sia opportuno – o meno – indossare questi presidi all’aria aperta.

Bene, per tutti i motivi sopra esposti, nelle aree geografiche dove la possibilità di contagio è ai limiti dell’impossibilità, come nella nostra Città, ASSOLUTAMENTE NO, anche avuto riguardo al naturale effetto sterilizzante dovuto all’aumento stagionale delle temperature e alla maggiore esposizione alla radiazione solare ultravioletta, tenendo conto dell’angolo di incidenza e del numero di ore di luce proprio dei mesi primaverili e, soprattutto, estivi.

In dette zone del nostro Paese i rischi derivanti dall’indossare mascherine all’aperto superano di gran lunga i benefici, a maggior ragione se si rispetta la cosiddetta ‘distanza di sicurezza’ (di cui parleremo nelle prossime puntate).

Nelle aree, invece, ove tutt’ora sussiste una più elevata percentuale di contagiati (anche solo teoricamente presumibile, tenendo conto degli asintomatici) il ragionamento da fare è un po’ diverso. Nelle ultime settimane, invero, qualcuno ha fatto l’ennesima ‘scoperta dell’acqua calda’, con riferimento al SARS-CoV-2, ovvero che il particolato rappresenterebbe un veicolo per la sua diffusione. Orbene, sin dal 2012, nell’ambito della mia attività di consigliere comunale, segnalai – come fanno prova diversi atti consiliari da me prodotti e alcuni verbali di stenotipia delle adunanze del Consiglio comunale – che il particolato PM20, PM10, PM2,5 funge da carrier’, da vettore per allergeni e patogeni, stante la sua peculiare struttura – agevolmente visibile al microscopio elettronico – fortemente porosa, paragonabile, a livello macroscopico, a quella di una pietra pomice. La sua particolare leggerezza lo rende trasportabile molto facilmente dal vento, mentre le dimensioni micrometriche fanno sì che, soprattutto il PM2,5 (l’indice numerico sta a indicare, per l’appunto, le dimensioni in μm) si deposita irreversibilmente negli alveoli polmonari, avendo comprovati effetti cancerogeni e teratogeni.

Rispetto al particolato è indubbia l’efficacia dei respiratori FFP2 e 3, che trattengono particelle fino a 0,6 μm, ovvero oltre quattro volte più piccole del PM2,5 (sempre a condizione di portarle in perfetta aderenza al viso, ecc., ecc.). Tuttavia, per avere un corretto quadro scientifico del rapporto effetti positivi vs negativi, derivanti dall’indossare respiratori di tal fatta in zone a elevata probabilità di contagio, occorre tener conto che, in assoluto, la via principale di trasmissione di tutti i virus è quella uomo-uomo (seguita immediatamente dal contatto accidentale con superfici contaminate), in percentuali – se mi si passa il termine – ‘bulgare’!

In ragione di ciò, avuto riguardo ai gravissimi effetti indesiderati, sopra esposti, derivanti dall’indossare questi presidi indiscriminatamente, da parte del cittadino comune, appare fortemente sconsigliabile suggerirne o, addirittura, imporne l’uso.

Ovviamente tutte le normali mascherine, non avendo nessun effetto filtrante sul particolato, neanche sotto questo aspetto possono servire a prevenire contagi e, quindi, tenuto conto degli effetti negativi, sono ASSOLUTAMENTE da EVITARSI.

Qualche ultima considerazione.

L’utilizzo di detti presidi durante la pratica sportivaincredibilmente imposto in Regione Campania – in ragione dell’iperventilazione e della sudorazione amplifica tutti gli effetti nefasti che abbiamo descritto in precedenza e rischia di fare andare l’atleta in deficit di ossigeno, con tutte le conseguenze del caso. Una follia, insomma, dal punto di vista medico-scientifico, cui porre riparo immediatamente, a mezzo di una nuova ordinanza che cassi questa prescrizione. Ovviamente il principio vale per ogni altra regione che dovesse aver compiuto una simile scelta.

Ancora, nel ribadire che questi dispositivi non sono riutilizzabili e vanno cambiati frequentemente, non ci si può esimere dal commentare uno sconcertante articolo, apparso su «La Repubblica» del 24 Marzo 2020, nel quale si sostiene che si potrebbe ‘sanificare’ una mascherina usata, spruzzandovi una «…soluzione idroalcoolica al 70% su tutta la superficie compresi gli elastici…» (sic!), per di più lasciando «…agire la soluzione fino a completa evaporazione in un luogo protetto (almeno 30 minuti…)».

Sarà il clima di follia generalizzata che stiamo vivendo, ma chi propone queste corbellerie ha anche solo una minima idea dei composti chimici tossici – per di più, altamente volatili – che l’alcool (oltretutto in una concentrazione così elevata) può formare, reagendo con le molecole che compongono alcuni materiali sintetici, con cui si fabbricano certi tipi di mascherine?

Altri ‘autorevoli’ canali suggerivano l’esposizione (più o meno prolungata) alle alte temperature, per esempio ponendo le mascherine / i respiratori in forno. Orbene, chi fa simili proposte sa quali molecole cancerogene, teratogene possono svilupparsi dal surriscaldamento di alcuni dei materiali sintetici con cui sono realizzati questi presidi? Evidentemente, ahinoi, no! Eppure parlano, parlano, parlano…

Ci domandiamo, infine, come si concilia l’indossare mascherine con le Leggi di Pubblica Sicurezza? Può sembrare un aspetto minore, rispetto alla salute, ma non lo è! Ci si è posto il problema, nelle alte sfere – meteore e asteroidi compresi – di cosa potrebbe accadere, in una grande città ad alto tasso di microcriminalità, non appena torneremo alla vita normale, se inizieranno a girare indiscriminatamente persone con casco, mascherina e occhiali da sole specchiati, magari pretendendo di accedere, in tal guisa, anche in banca, o negli uffici postali?

In ragione di tutto quanto sopra esposto, di tutta evidenza appare l’assoluta inopportunitàse non l’illegittimità – da parte dello Stato o delle Regioni di imporre – o anche solo di suggerire – ai cittadini comuni, che non svolgano professioni sanitarie, di indossare mascherine o respiratori, fermo restando che quelli con valvola andrebbero PROIBITI.

Dei medici, dei biologi, del personale sanitario e assistenziale e dei presidi che concretamente possono impedire il loro contagio, mentre operano al servizio della collettività, ci occuperemo nelle prossime puntate.

Per ora una sola cosa è certa: il Governo per primo deve ben sapere che mascherine e respiratori non servono a nulla rispetto ai virus, tant’è che nel protocollo di certificazione imposto dall’Istituto Superiore di Sanità alle aziende che intendono produrre detti presidi si prevedono esclusivamente i seguenti test, in ossequio alla norma UNI 14683:

– efficienza di filtrazione batterica (BFE),

– traspirabilità (Breathability),

– pulizia microbica (Bioburden),

– resistenza agli schizzi;

mentre, in ottemperanza alla norma ISO 10993, vanno condotte le seguenti verifiche:

– citotossicità,

– irritazione cutanea,

– sensibilizzazione allergica.

In disparte la procedura, tutta ‘italica’, di consentire al controllato di scegliersi il controllore, i virus non vengono neanche meramente nominati.

Viene spontaneo, allora, a conclusione di questa puntata chiedersi: se così stanno realmente le cose, a chi giovano mascherine e respiratori?

Qui una certezza perfino una persona piccola, piccola come me è in grado di darvela: a chi le produce, tra i quali vi sarebbero anche i soliti ‘amici degli amici, degli amici’! Ma su questo ci soffermeremo nelle prossime puntate.

Non mi resta che rivolgere un accorato appello a chi ci governa: dopo averci tolto financo la libertà di muoverci, dopo che avete affamato famiglie e imprese, lasciateci almeno la possibilità… di respirare!

Nella prossima puntata ci occuperemo di altre ‘castronerie antivirus’ e, in particolar modo, di gel disinfettanti e guanti. Ci chiederemo, come abbiamo fatto per i presidi esaminati oggi: sono benefici, inconferenti o nocivi?

Non mancate!

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LEGGI LE PUNTATE PRECEDENTI:

VII PUNTATA: LA ‘CHIUSURA ALL’ITALIANA’

VI PUNTATA: GLI AGGHIACCIANTI PERCHÉ DI TANTE VITE UMANE SPEZZATE

PUNTATA: PERCHÉ CI HANNO RECLUSI

IV PUNTATA: IL MODELLO ANGLOSASSONE E LA “TERZA VIA”

III PUNTATA: EFFETTI INDESIDERATI E COLLATERALI DELLA CLAUSURA FORZOSA (SOPRATTUTTO PER CHI NON VIVE AL GRAND HOTEL)

II PUNTATA: EFFICACIA DELLA CLAUSURA FORZOSA

I PUNTATA: EFFICACIA GIURIDICA DELLE RECENTI RESTRIZIONI GOVERNATIVE

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