(f.n.) – Il carcere al tempo del coronavirus è un luogo perduto che sprofonda nelle viscere della paura…il carcere è il luogo perduto di ieri, di sempre…del domani che verrà… e la disperazione sale lungo le pareti fredde della lontananza e si fonde nell’eco metallico della solitudine che percuote le sbarre…e soffoca il vuoto circostante e lo pervade e si consuma nel tempo…Talvolta ci si chiede se la pena di morte non sia qualcosa di diverso dall’inaccettabile arbitrio, disumano ed ingiusto, del potere…da quella definizione che presuppone una pena detentiva che sia civile e non disumana, una reclusione che rieduchi e non favorisca, l’acuirsi dei peggiori istinti, che riproponga alla società, chi ha scontato il suo debito con la giustizia, una persona nel pieno possesso dei suoi diritti…Ed è alla luce della negazione assoluta ed evidente, di tutti i succitati presupposti, che ci si chiede se la pena di morte non sia un atto di pietà e di perdono e non abbiamo violentato noi stessi, la verità, quando siamo insorti per condannarla come inaudita violenza. Il detenuto è la persona che non c’è. La sua storia si ferma all’ingresso di un carcere qualsiasi…varcata la soglia, si scioglierà nel riassunto breve dell’unica storia possibile che si snoda tra le celle, lungo i corridoi e che sintetizza il passato, il presente ed il futuro di quelle ombre, che si muovono indistinte oltre le sbarre. Lo scriba virtuale che siede a gambe incrociate, al centro del “nulla legittimato” incide sulla tavoletta che, prima del coronavirus, una volta alla settimana i familiari portavano cibo ed abiti puliti ai detenuti…nel carcere di Santa Maria C.V. non c’è un servizio di lavanderia interno ed i detenuti lavano gli indumenti intimi nei lavandini e li mettono ad asciugare all’interno delle celle…un giorno, due giorni, un giorno dopo l’altro, mesi…anni di sbarre e di calzini appesi e l’aria greve, calda, umida e quell’odore di panni bagnati che tardano ad asciugare…caldo umido d’estate ed il freddo dell’inverno, che resta a gelare addosso gli indumenti per giorni e giorni… A Santa Maria C.V. l’acqua arriva dal pozzo e chi si fa la doccia, se gli è rimasta nella testa una frangia di umorismo, può sognare di essere alle terme a fare i fanghi…Il cibo è praticamente immangiabile…e i detenuti cucinano sui fornellini da campeggio, ma il coronavirus ha impedito alle famiglie di portare cibo dall’esterno e se non si deposita il denaro a loro favore, i detenuti non potranno acquistarne allo spaccio…dove peraltro il cibo ha costi superiori dei supermercati… un giorno, due giorni, una settimana, un mese dopo l’altro, un anno…l’infinito che smonta ogni concetto razionale e sfibra i silenzi fino a renderli essenziali e quindi feroci…l’ora d’aria è una incognita…le distanze previste dal decreto potrebbero rappresentare un vincolo doppio, triplo per l’ambiente ristretto…una volta al giorno passa l’infermiere di turno per le medicine… aperte senza involucro…le celle sono piccoli spazi comuni, che la fantasia disperata, ha diviso in mille oasi colorate…la legge non prevede che vi siano letti a castello ma in alcune celle ve ne sono persino cinque… uno sull’altro…la legge della stanza non è soltanto l’obbligo di portare il caffè all’uomo di rispetto…ma è anche riservare i letti bassi agli anziani…prevedere che agli anziani siano risparmiati i lavori…ma capita che anche i più giovani, abbiano difficoltà a salire sui piani a castello e capita che qualcuno cada e si rompa una spalla… I detenuti non ci sono…varcato quel portone, escono dal mondo ed entrano in un realtà parallela ed estranea, che lavorerà per renderli invisibili…ed ogni segno di esistenza in vita domani, sarà annientato sul nascere… non c’è pena che tenga dinanzi al giustizialismo della “gente perbene” ma soprattutto di chi è riuscito a farla franca, che sarà il giudice di ritorno più spietato… Oggi il coronavirus incombe, come un predatore assassino…se scoppia il contagio in un carcere…non ci sarà alcuna differenza con un lazzareto…Sarebbe forse opportuno che si adottassero misure preventive, laddove fosse possibile…Vi sono detenuti ai quali, mancano pochi mesi per la fine della reclusione prevista…rilasciarli consentirebbe di acquisire spazi e quindi allentare il rischio di contagio. Se il regime e la struttura carceraria non offrono garanzie nei confronti di un probabile dilagarsi del contagio, forse qualcuno dovrebbe cominciare a porsi il problema della differenza, tra reato contro la persona e reato contro il patrimonio, nell’ottica del diritto alla tutela personale comune a tutti, indistintamente. Ma a quanto pare, il problema relativo al rischio generato dal sovraffollamento, non è stato ancora affrontato nelle sedi competenti…l’unica cosa interessante e degna di nota, sembra essere sempre e soltanto la notizia della rivolta all’interno di un carcere. Sedata la rivolta, si chiudono i cancelli e il tutto e il niente, tornano a scommettere con il silenzio.