– di Luigi Cobianchi – Chi mi conosce bene sa che, tra le regole auree ereditate da mio padre – cui mi ispiro costantemente – vi è quella di non replicare mai.
L’informazione – che, assieme alla tripartizione delle funzioni fondamentali dello Stato, rappresenta la quarta gamba del tavolo delle regulae contenute nella nostra Carta fondante, con buona pace del retaggio fascista dei ‘reati di opinione’ – è sacra, così come la libertà del pensiero e della sua espressione (cfr. Cost., art. 21, commi 1 e 2).
In ragione di ciò ho imparato (sempre da mio padre) che un vero politico non trascina mai un giornalista in sede giurisdizionale, così come un collega (sia della propria parte, sia, a maggior ragione, di quella opposta), per avere pubblicamente esternato un giudizio, un commento, una critica, che magari può essere stata irritante, se non offensiva, sempre che si resti sul piano della buona fede, che non vi sia dolo o scopi reconditi, che non si esca dalla sfera della vita pubblica per intromettersi in quella privata, umana, professionale, o, comunque, in fatti e attività esulanti da quella istituzionale e privi di attinenza con essa.
Com’è ben noto, tuttavia, ogni regola ha le sue eccezioni, soprattutto quando inesattezze, imprecisioni, fatti non veritieri vengono espressi a mezzo stampa (o assimilabili), danneggiando l’immagine, l’onorabilità, la professionalità non di un singolo, ma di un intero gruppo, di una squadra, vieppiù se si è avuto l’onore di rappresentare o di guidare quel consesso.
Ed è nella duplice veste di Capogruppo in Consiglio Comunale di Futuro e Libertà nella penultima Consiliatura e di candidato sindaco di Caserta Libera, per le recenti elezioni amministrative del nostro Capoluogo, che ho l’onere, l’obbligo di non lasciare privo di replica l’articolo ospitato (uso questo termine atteso che non è opera della Redazione) su questa autorevolissima Testata qualche giorno fa, dal titolo «Prevedibile, scontato, incerto…Il dopo Carlo Marino?».
Preciso subito che non mi lascerò andare alla tentazione di rompere (non è ancora giunto il momento) il silenzio sull’amministrazione in carica a Caserta, che mi sono imposto affinché nessuno potesse dire che io, proprio io non rispettassi la volontà espressa, attraverso le urne, dal Popolo Sovrano – nella fattispecie dai Cittadini casertani – ma anche nella più piena convinzione che il tempo, galantuomo come nessun’altro, avrebbe fatto tutto da sé, disvelando trame, intrecci, giochi di potere, cambiali elettorali, inadeguatezze, ecc. ecc..
Vero è che, con riferimento al primo motivo della mia ‘autocensura’, l’attuale sindaco è stato eletto da una sparutissima minoranza di Casertani, atteso che, al ballottaggio, egli riportò all’incirca il 60% di una percentuale di votanti pari al 30%, ovvero, se la matematica non è un’opinione, il 20% dei consensi degli aventi diritto al voto, il che significa che, sin da allora, l’80% dei Casertani gli disse (saggiamente) di no, o attraverso lo strumento assolutamente censurabile dell’astensionismo (è una terapia dagli effetti collaterali talora esiziali), oppure preferendogli (e come dare Loro torto?) l’on. Presidente Riccardo VENTRE.
D’altra parte, il buongiorno di questa amministrazione si vide (immediatamente) proprio dal MA…RINO, allorquando aizzò letteralmente la Forza Pubblica contro inermi imprenditori del commercio che, nel pieno rispetto del dettato costituzionale e delle Leggi di P.S., si erano radunati, «pacificamente e senz’armi», sotto la Casa Comunale, domandando un incontro al primo cittadino per supplicarlo (alla lettera) di sospendere temporaneamente la ZTL, sul corso Trieste, al solo scopo di SOPRAVVIVERE, di continuare a poter portare, congiuntamente ai propri dipendenti, pane onesto a casa, per sé e i propri familiari.
Contro un ex-consigliere comunale – lo scrivente – venne inviata addirittura la Polizia, come se, nonostante le proprie credenziali personali e familiari, d’improvviso fosse diventato un delinquente, un facinoroso, e solo perché si era visto costretto a intervenire in merito (perché se credi in quello che fai, non basta certo a fermarti una mancata rielezione, dovuta all’assurdità dell’interpretazione (peraltro contingente) di certe Leggi, o le oscure manovre di accerchiamento compiute a danno tuo e dei tuoi), vista anche l’assoluta inconferenza di una minoranza che non più essere chiamata ‘opposizione’, perché non sa, o non vuole farla o è collusa (con la maggioranza, s’intende), o è in altre faccende affaccendata.
L’esito di quella pagina – una delle più buie e meschine della storia del Capoluogo, dalla sua istituzione a oggi – è sotto gli occhi di tutti, con il tristo spettacolo di un corso Trieste (che in realtà dovrebbe, già da lunga pezza, essere tornato a chiamarsi corso Ferdinando II, giusta delibera di Consiglio Comunale n°88 del 12/11/2014 – mai revocata – che impegnava a tanto la Giunta, votata da consiglieri, sia di maggioranza, sia di minoranza, anche attualmente in carica) desertificato, abbandonato, reietto, mortificato dalle oscene pedane volute dalla precedente amministrazione, a mo’ di mancia elettorale, né più né meno che dalle improvvide scelte di piantumazione e dai continui sprofondamenti che si creano tanto nel manto stradale, che nei marciapiedi, senza che NESSUNO abbia citato in giudizio le imprese edili che realizzarono quelle opere o, quantomeno, abbia escusso le polizze fideiussorie a garanzia delle stesse, obbligatorie per Legge (sempre che siano mai state stipulate…). Il tutto nell’inspiegabile silenzio della Corte dei Conti.
Un’ingiustizia intollerabile, che grida alle Leggi di Dio – non solo a quelle degli uomini – una miopia cieca che rasenta il sadismo, a causa della quale tanti padri di famiglia, in un momento già di per sé difficilissimo dal punto di vista congiunturale, hanno ricevuto il colpo di grazia proprio da chi, per contro, è istituzionalmente chiamato a tutelare, a proteggere, a valorizzare la Comunità di cui è esponenziale.
Decine e decine di esercizi commerciali, anche storici, con tradizioni plurigenerazionali – che in ogni donde vengono addirittura sottoposti a tutela – a Caserta sono stati costretti ad abbassare le saracinesche una volta e per sempre. E, purtroppo, non è finita ancora…
Tornando all’articolo che (ahinoi) ci occupa, esso prende le mosse da una ricostruzione fantasiosa, se non farsesca delle vicende che portarono alla fine prematura della Consiliatura di cui anche lo scrivente fece parte, allorquando vi si afferma: «Le elezioni avvennero anticipatamente alla [sic!] naturale scadenza per le tristi note vicende accadute al sindaco…».
Niente di più lontano dalla realtà! La Consiliatura terminò ben prima che i fatti citati avvenissero e per le dimissioni contestuali presentate, nelle forme di Legge, all’allora Segretario Generale dell’Ente, dalla metà più uno dei consiglieri comunali in carica.
Un fatto, quindi, squisitamente politico-amministrativo – attestante, in re ipsa, l’evidente fallimento (nel senso etimologico del termine) di un’esperienza – non di altra natura, per così dire ‘eterologa’: se si dimettono la metà più uno dei consiglieri (in realtà il numero fu più alto del limite minimo di Legge, ma…parce sepultis!) di tutta evidenza appare che, tra di essi, dovessero esservene – e in gran copia – anche quelli dell’originaria maggioranza (tra i quali, peraltro, spiccavano nomi di non secondaria rilevanza, nella formazione della stessa).
Ma, ben più surreale, superficiale, raffazzonata, destituita di fondamento, lontana dalla verità appare la ricostruzione operata dall’improvvido autore in merito al ‘dopo’, a ciò che seguì alla prematura fine della penultima Consiliatura, allorquando afferma: «Elezioni anticipate con 8 candidati a sindaco sostenuti da 22 liste, solo tre riconducibili a partiti nazionali, F.I., P.D. e F.d.I.. Le altre cosiddette civiche, composte da politici di lungo corso, esperti trasformisti, arrampicatori sociali, ambiziosi carrieristi, nostalgici del passato non pentiti, cultori dell’1/6, amici del bar-sport, associazioni di condomini, di quartiere e disoccupati in cerca di sbarcare il lunario. Tutti con un comune denominatore ‘AMORE per CASERTA. Risultato? AMMINISTRAZIONE MARINO.».
Il nostro, quindi, non fa eccezioni di sorta: per lui TUTTE le liste presentate avevano la medesima ‘caratura’.
Orbene, non v’è dubbio che tra quelle liste c’era davvero di tutto, tra chi ardiva, senza un giorno, dico uno, di gavetta, privo di qualsivoglia esperienza politica, a fare il sindaco (ovviamente sperando di entrare almeno in Consiglio Comunale); chi auspicava di diventare quantomeno consigliere per poter ottenere varianti al PUC, di modo da rendere edificabili alcuni terreni, allo scopo di risollevare le proprie finanze; chi, candidandosi, tradiva il proprio elettorato ab origine, sottacendo di avere carichi pendenti, oltretutto per reati odiosi, il cui eventuale accertamento avrebbe definitivamente sancito – Leggi vigenti in disparte – l’assoluta inadeguatezza, quantomeno morale, ad assumere certi ruoli; chi, ancora, puerilmente, fino alla sera prima di ufficializzare la propria candidatura negava addirittura di conoscere chi fosse il candidato sindaco della coalizione di cui era parte, portandosi per sempre sulla coscienza il peso di aver scompaginato fecondi assetti creatisi nella precedente Consiliatura, tra i banchi dell’Opposizione, assetti che, qualora fossero rimasti tali, avrebbero potuto certamente assicurare un futuro alla Città ben diverso da quello attuale, così meschino, convergendo su un candidato alla carica di primo cittadino terzo e imparziale, rispetto ai gruppi politici proponenti, magari proveniente dalla Società civile; chi, ancora, si prestò, per puro narcisismo, a uno squallido gioco, avente il sapore di una vera e propria faida, tutto interno al principale partito di maggioranza, accettando di far convergere sulla propria persona, nell’ambito di un oscuro patto istituzionalizzato, il voto disgiunto derivante dal dissenso verso la scelta di MARINO come candidato sindaco del PD, in ciò drogando drammaticamente il risultato elettorale; una vera e propria tresca, squallidamente conclusasi con una sorta di pax universalis, in cui ‘Cesare’ si è stretto in un unico abbraccio mortale (per la Città) proprio con i suoi coniurates e, tramite loro, con quell’adversarius (o presunto tale). Poi ci si chiede perché l’ ‘opposizione’ taccia, interrompendo, di tanto in tanto, il proprio silenzio per presentare qualche interrogazione, interpellanza o mozione sul ‘sesso degli angeli’, tanto cara a certi nostalgici della sinistra estrema, extraparlamentare) dividendosi le spolia di ciò che (ancora) resta a Caserta.
Ciononostante, «non si può fare d’ogni erba un fascio»! Non è etico, non è….lecito.
Francamente ritengo che, difficilmente, un qualunque Cittadino Casertano di «buona volontà» e di minima conoscenza dei fatti politici locali, quand’anche nutrisse antipatie personali nei miei confronti, pur sforzandosi, potrebbe intravvedere in me, quale candidato a sindaco di Caserta Libera, un ‘politico di lungo corso’, un ‘esperto trasformista’, un ‘arrampicatore sociale’, un ‘ambizioso carrierista’, né, tantomeno un ‘nostalgico del passato non pentito’.
Con riferimento ai primi due aspetti (‘politico di lungo corso’ ed ‘esperto trasformista’) beh, avendo, a differenza di altri, solo e sempre servito la nostra Comunità, nei lunghi anni del volontariato e dell’azionariato cattolico, non approfittando mai di rendite di posizione a vantaggio di parenti, affini e amici; avendo conquistato uno scranno in Consiglio Comunale esclusivamente con la forza di chi mi ha sostenuto – credendo in me e nelle battaglie di principio e di valori che ho costantemente portato avanti – non certo attraverso comode nomine, maturate nelle oscure stanze delle segreterie di Partito; da ultimo ma non per ultimo, avendo svolto un unico mandato elettorale in assoluto, penso che sarebbe assai ardimentoso appiopparmi simile etichette, per quanta fantasia si possa/voglia avere.
Sul trasformismo, pur non sentendomi minimamente sfiorato da una simile accusa, colgo l’occasione per fare una puntualizzazione, una volta e per tutte.
C’è chi cambia Partito per scelta opportunistica – desuetudine meschina che, a Caserta, ha una vera e propria enclave, con ‘fulgidi’ esempi, anche nell’attualità – e chi si vede costretto a farlo, per questioni morali, etiche, di coscienza, per mantenere fede all’unico ‘patto’ che davvero ha un valore sacrale in politica, quello tra eletto ed elettore, con buona pace di chi, per portare a compimento le proprie oscure trame di smantellamento del modello dello Stato di Diritto basato sulla democrazia rappresentativa, elettiva, intenderebbe introdurre il vincolo di mandato, contro il quale quei monumenti viventi dei nostri Padri Costituenti si schierarono tutti, concordemente, senza esitazioni.
E’ esattamente quanto accadde a sir Winston Churchill, politico – spero l’ ‘autore’ converrà con me – di spessore ben maggiore del nostro, il quale, ‘osando’ cambiare Partito in un rigidissimo sistema bipolare qual è quello anglosassone, ebbe a dire (più o meno, vado a memoria): voi siete usi a cambiare spesso idea; io sono fedele alle mie idee e quindi mi costringete a cambiare Partito!
I Partiti politici non sono chiese confessionali. L’adesione a uno di essi non può essere confusa con una fede religiosa, né mi pare comporti ‘patti di sangue’. Diversamente, si generano mostri, soprattutto qualora si praticassero sillogismi la cui premessa maggiore fosse errata. Proprio in virtù di uno di questi – in un Paese che troppo spesso non fa differenza tra lo schierarsi pro Coppi o pro Bartali e il farlo per questioni serie – ci ritroviamo eletto, a Caserta, l’attuale sindaco: tutti coloro che sono del PD votano MARINO. Io sono del PD. Io voto MARINO….
Giusto a titolo di esempio, accademicamente, poniamo il caso del rappresentante locale di un Partito politico che si ritrovi il proprio riferimento, gerarchicamente sovraordinato, plurindagato per reati gravissimi e che il vertice nazionale, venuto a conoscenza della situazione, nicchi. Se l’anzidetto, piccolo delegato del luogo, sdegnato, rinunciando a tutto quello che aveva costruito in seno a quel consesso, decidesse di andare via, va biasimato per opportunismo politico, o, piuttosto, apprezzato per la propria coerenza?
Né, al riguardo, eventuali sentenze postume possono far mutare la valutazione in precedenza maturata. Se, infatti, è vero – come è vero – che le sentenze (passate in cosa giudicata) si applicano, si eseguono, si rispettano, soprattutto se non piacciono, perché esse rappresentano la testata d’angolo, l’archivolto che assicura la tenuta stessa dello Stato di Diritto, parimenti esiste la Verità – che appartiene solo a Dio, che è Dio – e una verità giudiziaria e, ahinoi, grazie anche all’intelligenza posta al servizio del male di alcuni patrocinanti, ai mille cavilli, sotterfugi, tranelli procedurali, a esigenze contingenti, non sempre queste due verità coincidono…
Peraltro, fermo restando che nessun Magistrato della Repubblica, neanche il Primo Presidente della Corte di Cassazione, può dichiarare qualcuno ‘innocente’ – ma, al più, ‘non colpevole’ (che è ben diverso) – altra cosa è una sentenza di assoluzione; altra una mera richiesta di archiviazione (che, non avendo affatto il valore e i caratteri della prima, giusto a titolo di esempio, non è assistita dalla tutela del «ne bis in idem»).
Nell’ambito delle sentenze di assoluzione, vi è, poi, tutta una gradazione, che differenzia le une dalle altre non poco. Solo due tipi scagionano veramente, pienamente l’imputato, quelle cosiddette ‘con formula piena’, ovvero quelle che il Giudice pronuncia «se il fatto non sussiste », ovvero «se l’imputato non lo ha commesso» (cfr. art. 530, comma 1 cp). Ben diverso valore ha una sentenza di assoluzione perché «il fatto non costituisce reato» (ibidem, tipicamente perché manca il c.d. ‘elemento soggettivo’) o «non è previsto dalla legge come reato» (ibidem, magari solo perché non è stato (ancora) tipizzato, ovvero se la fattispecie non costituisce ‘fatto tipico’; si pensi giusto a titolo di esempio al ‘mobbing sul posto di lavoro’: pur essendo universalmente riconosciuto come una grave compressione di diritti, nel nostro Ordinamento, non costituendo reato, non può essere perseguito, a dispetto della risoluzione del Parlamento europeo A5-0283/2001 (2001/2339 (INI)), non esecutiva per la mancanza di una cogente Direttiva europea, che obbligasse gli Stati membri a legiferare sul tema). Altro, ancora, è il caso della ‘non imputabilità’ ex art. 85 cp, o «per un’altra ragione» (cfr. art. 530, comma 1 cp). Situazione ancora diversa è quella in cui «Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile.» (cfr. art. 530, comma 2 cp). Si comprenderà bene che quest’ultima formula – purtroppo sempre meno usata dai Giudici, mutuata dal principio contenuto nel Digesto giustinianeo (D.50.17.125) «in dubio pro reo», che rappresenta un caposaldo del ‘Garantismo’, in ossequio al quale è meglio avere un colpevole in più in libertà, che un innocente in carcere (cfr. anche Voltaire, Zadig ou la Destinée. Histoire orientale) – è per l’imputato una ‘vittoria di Pirro’, atteso che l’alea di indeterminatezza che accompagna una siffatta sentenza getta su di lui, per sempre, un’ombra sinistra. Vi è, infine, l’assoluzione in presenza di un fatto «commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità», anche quando «vi è dubbio sull’esistenza delle stesse» (cfr. art. 530, comma 3 cp). E mi fermo qui, non intendendo certo proporre trattatelli di dubbio rigore.
Tornando, invece, ai ‘complimenti’ riservati dall’autore dell’articolo che ci occupa a TUTTI i candidati delle Liste civiche presentate a Caserta per le Amministrative del 2016, segnatamente quelli di ‘arrampicatore sociale’ e ‘ambizioso carrierista’, faccio presente al nostro che chi ha una certa stratificazione ‘genealogica’ difficilmente può essere esposto a questi rischi, perché se è vero che ogni Cristiano deve fare propria l’esortazione di San Paolo «Aspirate ai carismi più grandi» (1 Cor 12,31), non mi risulta che esista altro, oltre la vetta…
Venendo più specificatamente a me, chi mi conosce davvero sa bene che ho sempre anteposto a tutto gli affetti – l’unica cosa che, probabilmente, ci porteremo dall’attuale dimensione nel mondo della Luce – e sono stato ben lieto di compiere le più grandi rinunce nell’ambito della carriera, per mantenere fede a questa scelta.
Quanto all’epiteto di ‘nostalgico del passato non pentito’ (che viene espresso sempre per tutti i candidati, quindi anche per me!) chiedo al nostro autore: e di cosa dovrei avere nostalgie, di un passato di cui lui – non certo io – ha fatto parte, i cui nefasti effetti ricadranno, come una mannaia, su intere generazioni di Casertani, compromettendone drammaticamente il futuro? Io quel ‘passato’ l’ho sempre combattuto – quando me ne è stata data la possibilità istituzionale – senza infingimenti, con le unghie e con i denti, a dispetto di minacce e tentativi di intimidazione, con ogni strumento che la Legge mi metteva a disposizione, ivi compreso quello più estremo – falliti i tentativi ‘politici’ – della denuncia, debitamente sottoscritta, alle Autorità competenti.
Ma, tralasciando la mia povera persona, ciò che mi preme fondamentalmente tutelare è l’onorabilità e la professionalità di tutte le amiche e gli amici che accettarono il mio invito, che raccolsero la mia sfida a candidarsi nella Lista Caserta Libera, da me approntata, con la speranza di dare un futuro diverso alla città.
Il nostro ‘autore’ definisce, ancora una volta senza esclusioni o eccezioni, TUTTI i candidati, tra le varie contumelie superficialmente distribuite a piene mani (non si sa, oltretutto, con quale autorità, né dall’alto di quale pulpito) «disoccupati in cerca di sbarcare il lunario».
Ora, non sta certo a me prendere le difese di chi si è proposto in altri schieramenti. Certo, mi meraviglia non poco che chi ha guidato quelle compagini non si sia rinzelato, come me, e non abbia sentito l’obbligo di difendere i suoi. Evidentemente, delle due l’una, o questi improvvidi capicordata hanno considerato i componenti la propria squadra come meri strumenti, traghetti per arrivare in Consiglio comunale, oppure, evidentemente, non avendo una grande considerazione dei membri del proprio gruppo, tacciono, acconsentendo alla valutazione che ne dà il ‘nostro’.
Per quel che attiene alla lista che ho guidato, l’organigramma è il seguente: un architetto; un avvocato (ben nota, oltre che per il suo impegno professionale, anche per la sua attività nel volontariato e come catechista); una biologa, funzionaria di una Casa farmaceutica di rilievo internazionale; una funzionaria civile della Prefettura; un funzionario di Banca (peraltro con consolidata tradizione politica, essendo nipote di uno degli ultimi Sindaci galantuomini della nostra Città); sei imprenditori (dei quali, quattro del commercio, di cui uno, in preziosi, un giovane, coraggioso libraio, e una nel settore alberghiero); tre ingegneri; cinque medici (di cui una dirigente ospedaliera, due dell’ASL, una ‘di base’, e un dirigente veterinario, sempre dell’ASL, assurto più volte alle cronache per aver sequestrato, senza alcun infingimento, allevamenti in condizioni igienico sanitarie inidonee, riconducibili ai clan); una professoressa nei Licei, esempio assoluto di impegno nel volontariato d’azione e di strada; un sottufficiale dell’Arma dei Carabinieri; la titolare e docente di una Scuole privata di Lingue, tra le più accorsate a Caserta, oltre che funzionario presso la NATO; un ufficiale di P.G., appartenente alla Polizia di Stato, che contribuì (appena, appena) all’arresto di Francesco Schiavone, detto Sandokan, ecc. ecc..
Queste personalità appaiono al nostro improvvido autore «disoccupati in cerca di sbarcare il lunario»?
Ovviamente egli comprenderà bene che, qualora ciascuno di loro intendesse chiedere conto, nelle Sedi competenti, di affermazioni così ingiuriose, calunniose e diffamatorie, tanto apodittiche, quanto totalizzanti, chiunque si potrebbe trovare spiazzato, quantomeno sul piano patrimoniale!
Il mio amato Shakespeare, fa dire alla sua Portia nel suo The Merchant of Venice (Atto IV, scena I): «The quality of mercy is not strained. / It droppeth as the gentle rain from heaven / Upon the place beneath. It is twice blest: / It blesseth him that gives and him that takes. / ‘Tis mightiest in the mightiest; it becomes / The thronèd monarch better than his crown. …».
Parole sante, e, però, non si può pretendere ‘grazia’, senza quantomeno presentare formalmente le proprie scuse.
Eh, sì, a volte faremmo proprio bene a far compiere ai nostri indici, prima di puntarli verso gli altri, una vera e propria ‘inversione ad u’; a guardarci allo specchio, prima di dirigere il nostro sguardo su chi ci circonda.
Quanto a me, sono orgoglioso di aver proposto alla Città di Caserta una squadra che davvero ne avrebbe potuto cambiare le sorti, nella quale mi sono guardato bene dell’«Imbarcare marinai, mozzi, nostromi e ufficiali di coperta per salpare velocemente e senza vagliare il libretto d’imbarco…» o di «Accettare marittimi provenienti da altri natanti», a differenza di quanto sostenuto, sempre universalmente, dal nostro ‘autore’.
Sapesse a quanti ‘grandi (?) vecchi’ della politica (?) casertana ho detto di no, anche se con il tesoretto di voti che portavano in dote, oggi certamente siederei in Consiglio Comunale e, con me, qualcuno dei ‘miei’. E la storia di questa Consiliatura – mi si consenta di dire, sfacciatamente, una volta tanto – sarebbe stata ben altra, perché nuovamente la Maggioranza avrebbe avuto un Opposizione!
Mi si permetta anche di rivendicare, ora per allora, con altrettanto orgoglio, che la Lista che guidavo fu tra le poche a passare indenne il vaglio della Prefettura, rispetto ai controlli sull’incandidabilità ex Lege SEVERINO: neanche alcuni raggruppamenti dell’odierna minoranza consiliare, incredibilmente proprio quelli che si (auto)definiscono ‘duri e puri’, risultarono immuni dall’aver imbarcato soggetti che avevano riportato condanne definitive e per reati gravi!
Un’ultima puntualizzazione merita un’altra affermazione del nostro, ovvero: «Caserta elegge in Parlamento un senatore proveniente da Roma, nominato a mezzadria tra sovranisti e leghisti-tricolori.».
Ora io posso comprendere che le mancate ricandidature (pur affannosamente ricercate) facciano male (la non rielezione è cosa diversa: fa parte del gioco elettorale), ma io giudicherei un parlamentare sulla propria azione politica, sui risultati che è in grado di ottenere, non sul suo ‘certificato d’origine’.
D’altra parte un Parlamentare, un vero Parlamentare sa (o dovrebbe sapere) che egli, a tenore dell’art. 67 della Costituzione, rappresenta l’intera Nazione, non questo o quel territorio, a prescindere da dove è eletto; dovrebbe rinzelarsi quando negli occhielli, nei titoli viene affiancato, al suo, il nome (o il simbolo) di un Partito politico, perché l’unica appartenenza che egli ha è alla Repubblica; l’unico cui deve dar conto è il Popolo Sovrano, non certo a questo o quel capetto, o a oscure trame di segreteria.
Al nostro autore-censore erga omnes, «Che d’ognun disse mal, fuorché di Cristo, scusandosi col dir: “Non lo conosco”!» faccio sommessamente osservare, a prescindere da qualsivoglia appartenenza politica, che, talora, può essere mille volte meglio una figura di spicco calata da Roma, a livello locale, piuttosto che tante nullità ‘oriunde’!
Ritornando da dove siamo partiti, ovvero alla nostra Città, la vera domanda da porsi – che il nostro, neanche a dirlo, non si pone – è: Caserta vuole davvero cambiare?
Perché il vero problema per il «dopo Carlo MARINO» – che potrebbe essere domani, se solo certi consiglieri avessero uno scatto di dignità e d’orgoglio – sta tutto qui.