– di Erika Castiello – (1° classificato Premio “Anna Castelli” – 2016)Nel corso della mia vita ho sempre pensato che schivare un ostacolo fosse il mezzo più veloce per andare avanti, dopotutto ogni volta che lo evitavo mi trovavo sempre di un passo più avanti rispetto a quella massa di stolti che puntualmente lo saltava, cadeva, si faceva male e o perdeva del tempo prezioso per correre o addirittura era costretta a fermarsi ed arrendersi.
Arrivai poi, nel luglio 2010, ad una conclusione: avevo sbagliato la tattica di una vita, avevo perseverato nell’errore e non avevo mai imparato nulla. Io, che per tanto tempo avevo insegnato, non ero realmente consapevole di quanto dicevo.
Sono un professore di 48 anni che al pomeriggio torna a casa senza un piatto caldo ad aspettarlo, senza il bacio di una moglie pronto ad accoglierlo.
Ai miei allievi racconto della storia, della geografia, delle regole rigorose alle quali attenersi per svolgere al meglio un esercizio, ma delle esperienze di vita, dei successi, delle soddisfazioni personali, dell’amore, io, non posso raccontare proprio nulla.
Mi trovo a vivere costantemente una routine, la giornata-tipo che comincia alle 6 e termina alle 23:00, della quale ho smesso anche di stancarmi.
Da piccolo mi domandavo spesso cosa avrei fatto da grande, quanti figli avrei avuto, a quale bellissima donna avrei chiesto la mano.
Mi chiedevo ogni giorno, dinanzi alla solita cioccolata delle 17:30: “Ma tu chi sei? Chi speri sarai?”. Un’astronauta, un chirurgo, un calciatore, mi dicevo. Porterò i miei figli alle partite e tiferanno la stessa squadra del padre. Porterò le mie bambine a comprare tutti i vestiti più belli e tutte le caramelle più dolci. Poi, alla sera, le spoglierò dei loro abiti e delle loro paure e, con la storia della vita del suo padre supereroe, le metterò a letto, augurando loro i sogni più belli, mi ripetevo.
Ma, nulla di tutto ciò è capitato, e me ne assumo tutte le responsabilità.
Se oggi non sono quello che speravo di essere, è solo ed esclusivamente per colpa mia, non di una forza intrinseca che ha causato il contrario.
Non mi sono mai sforzato abbastanza, non mai saltato quell’ostacolo del quale ti parlavo inizialmente per comprenderne la lezione, la tattica, il modo in cui saltarlo correttamente per non cadere le volte successive.
Quando eviti tanto un ostacolo e poi subentra nella tua vita qualcosa di TROPPO grande, come se tu fossi la Tour Eiffel in miniatura nel centro di New York, non sai come reagire né come comportarti.
A me è successo proprio questo.
Per anni e anni ho buttato all’aria opportunità, lavorative e non. Ho gettato via occasioni che avrebbero potuto cambiare il colore della mia vita; Ho allontanato amori che pregavano per essermi vicini, ho rotto bruscamente delle amicizie per evitare che, rompendosi da sole, mi lacerassero l’anima e mi facessero star male.
Ho stirato camicie sempre allo stesso modo, anche se puntualmente la spalla sinistra aveva delle pieghette, per paura che cambiando metodo avrei peggiorato la situazione.
Ho addetto “addio” controvoglia e non ho curato me stesso e la mia salute.
Del resto cosa vuoi che ti accada, pensavo.
Ho deciso di essere un fallito fino alla fine dei miei giorni, proprio perché avevo paura di un cambiamento, anche se poi esso avesse poi apportato delle conseguenze positive.
Ho chiuso in un cassetto i miei più grandi sogni e poi ne ho gettato via la chiave.
Ho rifiutato qualsiasi tipo di aiuto. Nasci solo e solo andrai, dicevano.
Ecco, vedi?
Ho lasciato che la mia vita prendesse una via sbagliata, che non fossi padrone dei miei desideri e delle mie azioni.
Se avessi voluto la vita di un altro, sarebbe stato lo stesso, perché mi sarei sentito comunque di troppo, come se la mia presenza lì no avesse valore.
Sono diventato un professore non perché volessi io, ma perché in una cosa, forse, non ho sbagliato: infrangere il sogno di un altro.
Mio padre, facoltoso avvocato denominato “Bianco neve” per la sua folta chioma bianca, aveva sempre visto in me qualcosa che io proprio non riuscivo a notare.
Voleva che diventassi un professore per seguire la strada che, a sua volta da suo padre, gli fu barrata con un netto:” Non è questo qual che ti spetta”.
Oggi mio padre non c’è più e non può vedermi andare ogni mattina con una valigetta all’università, pronto ad insegnare quello che chiunque può leggere e sapere preventivamente grazie ai libri.
Non può darmi direttive, e forse questo è un bene.
Sarebbe un dolore per me dimostrargli che solo per un piccolo fattore il figlio non è un totale fallimento.
Mia madre invece…
Lei era bella come il sole, più luminosa dei suoi raggi, più romantica della luna.
Riponeva in me una grande, immensa fiducia.
Pensava che qualsiasi cosa avessi fatto, sarebbe stata la migliore in assoluto e che se avessi preso una strada sbagliata, con le mie capacità avrei trovato sicuramente il modo per uscirne.
Amavo i suoi occhi più di ogni altra cosa al mondo ed è un peccato che oggi (ed anche tu) non possa più vederli.
Se fosse qui, la mattina alle sei mi sveglierei con mezzo cucchiaino di serenità in più e la sera, quando tornerei da lei, il dolce sarebbe forse più buono e gustoso.
Se lei fosse qui, oggi, mi sentirei meno un fallito perché a 48 anni sarei ancora in grado di amare.
Dunque, alla luce dell’ombra dei miei giorni, vani erano i motivi per i quali andare avanti… Cercavo disperatamente una ragione valida per sorridere un po’ di più, per dire:”Oggi andrà meglio, sarà meglio di ieri”.
Ma puntualmente questo non accadeva perché ero oramai schiavo di me stesso e della monotonia dei miei giorni…
Successe però, poco prima di giugno, nel grigiore del cielo, mentre ero intento a leggere parte di un libro di Osho con i miei alunni, che sussultai alla lettura di una sua magnifica sentenza:”Possiedi tante cose, ma non possiedi te stesso. Hai tutto ciò che può renderti felice, ma non sei felice, perché la felicità non può mai essere frutto dei possessi. La felicità è un tuo affiorare interiore, è un risveglio delle tue energie, è un risveglio della tua anima.” In quel momento, lo studente più scapestrato della classe mi domandò quale fosse il mio ideale di felicità e come, secondo me questa potesse e dovesse essere conquistata.
Fui fortunato.
Suonò la campana che segnava la fine dell’ora e raccomandai ai miei alunni di pensare intensamente alla domanda postami dal loro compagno, perché avrebbero dovuto darmene risposta successivamente, ed io avrei fatto lo stesso per la prima volta nella mia vita.
Decisi di rientrare a casa a piedi, lasciando l’auto nel parcheggio di un supermercato, incurante delle regole.
Ragionai a lungo cercando il motivo per il quale la mia anima, contrariamente a quanto affermato da Osho, non riuscisse a svegliarsi.
Da cosa era causato questo mio lungo letargo? Da quanti inverni era composta la mia vita?
Arrivai, dunque, ad un punto decisivo: riprendere in mano la mia vita, fissare un obiettivo, svegliarmi con tutti i mezzi disponibili, ma farlo.
Fu per questo che il giorno seguente mi alzai sorridendo ed arrivai dai miei alunni continuandolo a fare: fuori dalla mia persona poteva piovere, accadere di tutto, crollare il mondo, ma io avrei continuato ad essere il sole della mia vita.
Feci sedere i ragazzi, allibiti ma piacevolmente incuriositi, intorno a me e dissi loro:”Cari, Democrito affermava che la verità risiede nel profondo. Ecco, è lo stesso discorso con la felicità: abbiamo, tutti, un granello di gioia dentro di noi… Dobbiamo scavare, buttar via massi di pietre, ma lo troveremo e, trovarlo, sarà talmente tanto soddisfacente ed appagante che tutto il tempo sprecato a rimpiangere di essere nati verrà, come le pietre, gettato via tra i cumuli di macerie e rottame.”
La mia vita era cambiata, noti?
Volevo ad ogni costo prendere e custodire quel mio granello di gioia come se fosse la cosa più grande e cara al mondo. E, sopratutto, volevo condividerlo con qualcuno.
Ricordi quando, inizialmente, ti parlavo del luglio 2010. Ecco, mio figlio, quel mese cambiò letteralmente l’andare dei miei giorni. Mi passò davanti la salvezza, la bellezza, la purezza, il sole che poteva essere costantemente ammirato senza dover usare occhiali, che picchiava sulla pelle ma non la bruciava…
In un attimo avevo visto l’eternità.
Tornai a casa con il cuore che mi batteva a mille, mi sentivo più piccolo dei miei alunni.
Decisi che quel secondo avrebbe costituito le ore di ogni mio giorno, costasse quel che costasse.
Tornai per una settimana nel posto in cui avevo scorto quella fantastica fanciulla, ma non la vidi, non la trovai, ma non mi arrendevo: c’erano ancora tanti massi da spostare.
Il 27 luglio 2010 la rividi e corsi da lei, affannato e anche un po’ sudato.
Le strinsi la mano e lei sorrise, forse dall’imbarazzo, forse dal piacevole incontro fatto.
Immediatamente la invitai a prendere un caffè con l’uomo che fino a una settimana prima era un fallito e che, solo grazie a lei, aveva portato la sua eternità a scorrere nuovamente nel tempo.
Le raccontai della mia vita, sebbene non ci fosse nulla da dire, e lei la trovò interessante al punto tale da chiedermi dei miei interessi, del mio rapporto con gli alunni, delle mie aspirazioni future e delle mie gioie passate.
Non ne avevo, ma sai… era oramai inutile ripercorrere un cammino sbagliato e passato: avevo trovato la via d’uscita del labirinto, ormai ero sveglio e non ero più tanto sciocco da tornare indietro e perdermi ancora una volta.
La donna della quale ti sto parlando è proprio quella che, forse, ti sta attualmente stringendo le mani mentre leggi queste mie parole. E’ quella che dal 2010 fino all’ultimo dei miei giorni mi ha fatto trovare un piatto caldo dopo il lavoro ed un bacio lento e passionale ad ogni mio rientro.
E’ quella che oggi ti porta a scuola, che ti compra le caramelle e ti spoglia prima di andare a letto.
Sai, Marco, la gioia più grande della mia vita, dopo lo straordinario incontro con tua madre, è stato l’annuncio della tua venuta: tu.
Quel piccolo granello che, assemblato alla felicità causata da tua madre, avrebbe completato la spiaggia della mia vita, la più bella di tutte… Nulla a che fare con quelle dei Caraibi, ma…
Ma all’improvviso, come un tornado, come un vortice al ciel sereno, un blackout inaspettato, è entrata Donna dentro di me, vi ha costruito la sua casa a piani più alti ed ha deciso di abitarvi, per sempre.
Ha allargato sempre di più l’ampiezza delle camere fino ad occupare tutto lo spazio possibile e ecco, come quando riempi una bottiglia d’acqua fino ed oltre l’orlo, essa comincia a fuoriuscire, che il tuo supereroe non è più riuscito a combattere.
La Donna Cancro mi ha battuto, buttato a terra dopo una lunga serie di colpi. KO. 20 – 0 per lei.
Oggi, dunque, non posso essere con te né tantomeno vederti crescere ma spero con tutta la mia anima di averti inculcato, a distanza, i grandi valori morali acquisiti dal luglio 2010.
Confido pienamente nella speranza che tu possa realizzare ogni tuo singolo desiderio ed ambizione e che riesca, dopo queste mie parole, ad immaginarmi come l’uomo – esempio, come il tuo supereroe.
Ogni volta, prima di andare a letto, dì alla mamma che l’ami, che è la donna più bella di tutte e che sarà protetta, da te laggiù e da me quassù, per l’eternità che solo lei ha saputo regalarmi.
Ti voglio bene e ti stringo da lontano, figlio mio.
Non ti far abbattere e sopratutto, credi sempre in te stesso, tralasciando il giudizio degli altri.
Voglio infatti lasciarti con un’altra grande sentenza di Osho, come tipico di un gran professore, fiero di sé, della sua vita e della sua professione: “La mente è uno splendido meccanismo, usalo, ma non farti usare. E’ al servizio dei sentimenti: se il pensiero serve i sentimenti, tutto è in equilibrio; nel tuo essere sorgono profonda quiete e gioia.”
TI sorveglio dall’alto, piccolo granello di gioia. BABBO