ANNI ’50 E ’60, BOOM ECONOMICO: LA RICHIESTA DI ACCIAIO

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   –   di Nicolò Antonio Cuscunà   –

italsider ilva anni 60 ANNI 50 E 60, BOOM ECONOMICO: LA RICHIESTA DI ACCIAIOA Cornigliano (GE) era in opera dal ’48 il centro siderurgico, quando scoppiò la diatriba politica tra i sostenitori di nuovi insediamenti al Nord, mentre i cosiddetti meridionalisti, sostenevano Taranto per lanciare l’economia del Sud. Le acciaierie di Taranto vennero edificate come vera ” cattedrale nel deserto”, da cui far nascere la “fede industriale” del Sud. Il complesso siderurgico dell’IRI era in studio-progetto dal 1957, considerato urgente, avversato dalla presidenza delle Partecipazioni Statali indirizzate a potenziare Cornigliano. A differenza di oggi, con Di Maio, Conte, Zingaretti, Calenda e Renzi, i politici di quei tempi non si cimentavano con le emergenze a garanzia dei soli posti di lavoro ma ragionavano da statisti per l’effettivo bene, in prospettiva futura, del Paese. Le previsioni di studio – IRI, Mondo Economico- definirono la necessità d’aumentare la produzione d’acciaio, atteso il pericolo di trovarsi in carenza produttiva, a partire dagli anni ’60 e, calcolando anche l’ipotesi di recessione produttiva mondiale con la possibilità di acquisto dall’estero. Prevalsero le tesi meridionaliste dell’insediamento al Sud, in Puglia o in Sicilia di un grande impianto a ciclo integrale utile a superare lo stallo industriale del Mezzogiorno. Restava, comunque, nel calcolo dei “costi benefici” più utile il potenziamento di Cornigliano che il nuovo impianto in area non votata all’industria per motivi logistici, trasporti, energia, ambiente, ecc.. I motivi erano anche riscontrati nella lontananza dei mercati di consumo, vendita e trasformazione dell’acciaio, comunque, da avviarsi al Nord; unitamente alla non giustifica del costo dell’impianto (130 mld £) rispetto ai posti di lavoro da crearsi. Al Sud non conveniva investire per il lavoro con l’industria pesante e di trasformazione ma conveniva puntare sull’Agricoltura, trasformazione e commercializzazione della stessa, oltre al turismo. L’occupazione ne avrebbe beneficiato di più, con minori costi per ogni occupato. Questi i fatti della nascita, non voluta, delle acciaierie di Taranto. Così è stato, tutti lo sappiamo, se questi dovevano essere i calcoli-convenienza, il Sud sarebbe rimasto terra depressa e di immigrazioni verso le città: Urbanesimo e sue conseguenze. La risposta venne fornita dalla politica e non dall’utile in economia. Il governo decise per l’investimento a Taranto finalizzato nell’immediato alla produzione, nel futuro con le industrie di trasformazione.

NASCE L’OASI INDUSTRIALE IN UN DESERTOILVA Altiforni ANNI 50 E 60, BOOM ECONOMICO: LA RICHIESTA DI ACCIAIO

Quel distretto industriale che avrebbe dovuto nascere intorno alla struttura, per creare l’economia moderna non è mai sorto. L’acciaio di Taranto nasceva con cattivi auspici, facili promesse, piani di sviluppo traditi e, tutti i nodi si sapeva sarebbero arrivati, prima o dopo, al pettine. Così è stato. Il fallimento del 5° centro siderurgico a Gioia Tauro (RC), mai sorto anche con l’impiego di decine di miliardi di soldi pubblici, dall’effetto devastante rispetto alla ‘ndrangheta, divenuta da locale ad internazionale. Il depotenziamento del 3° centro siderurgico di Bagnoli(NA), con la dismissione e svendita ai CINESI nel 1994, hanno fatto diventare l’acciaio di Taranto indispensabile e strategico per l’economia italiana. Le acciaierie di Taranto sono questione nazionale ed europea, dal mantenimento in produzione dipende il lavoro al Sud ma anche al Nord per l’ampio indotto delle industrie di trasformazione. Il governo italiano, le parti sociali, la politica tutta, mettendo da parte gli interessi di bottega, devono appellarsi ai partner europei per fare fronte comune nel salvataggio dell’acciaio di Taranto, oggi più di ieri, acciaio europeo rispetto ai mercati invasori d’oriente.  L’occasione per stanare i veri sostenitori dei valori dell’Europa Unita nei fatti e non nelle chiacchiere. Questa la prova a cui sottoporre l’Europa, oggi o mai più. La politica italiana dimostri d’essere degna della propria cultura millenaria rivendicando il diritto a rimanere tra i grandi produttori a pari diritto e dignità. L’Italia nell’acciaio di Taranto si gioca il futuro immediato e prossimo dei suoi figli. Non sono ammessi errori, l’Italsider di Taranto non deve chiudere.