Aronofsky si è misurato più volte con la psichiatria nei suoi film. Anche ne “Il cigno nero” mette al centro dell’attenzione il corpo del singolo e la sua visione distorta del mondo. Natalie Portman interpreta Nina, una ballerina che fa della danza la sua unica ragione di vita. Massima dedizione, regole ferree, nessuna interferenza: nel mondo di Nina c’è spazio solo per la danza. È totalmente ossessionata dalla ricerca della perfezione; subisce le critiche della madre prevaricatrice, e del suo esigente maestro di danza. Nina sogna di interpretare il Cigno Nero in un’inquietante versione de “Il lago dei cigni”; per poterlo fare, però, deve permettere alla parte oscura di se stessa di emergere. Per una ballerina -fin troppo- perfetta, la discesa agli inferi può essere pericolosa.
La pellicola di Aronofsky, segue la stessa linea delle altre e si rivela, dunque, potente, disturbante e perversamente affascinante. Lo spettatore deve essere preparato: pellicole come “Il cigno nero” possono scardinare ogni difesa e rendere fragili e vulnerabili. Ci si deve dimenticare immediatamente il mondo della danza in cui svolazzano dolci tutù bianchi: la pellicola di Aronofksy è sporca e ogni strumento utilizzato per ballare diventa una fonte di tortura. Il regista mostra la danza come una brutale lotta per la sopravvivenza. La ricerca ossessiva della perfezione porta Nina al delirio più totale; la sua attitudine ad essere controllata in ogni suo aspetto la porta anche ad evitare ogni contatto sociale sia amichevole che amorevole, l’allenamento è la sua unica missione, fino a quando però si renderà conto che pur facendo uno sforzo disumano non potrà raggiungere la completezza tanto agognata. È condannata, dunque, a pagare un prezzo: i suoi disturbi la renderanno prima aggressiva con se stessa e poi con gli altri. Per Nina, chiunque intralci la sua carriera può diventare un nemico, quando però si confronterà con la verità si renderà conto di non avere nemici all’infuori di se stessa.Il film oscilla tra fantasia delirante e realtà concreta dei fatti, in perfetto stile Aronofsky. “Il cigno nero” può offrire, però, se interpretati in maniera meno accentuata, ottimi spunti per comprendere alcune problematiche legate al mondo della danza. Alcune fragilità, infatti, possono aggravarsi in un contesto in cui c’è forte competizione e spesso non si ha un supporto psicologico nella preparazione. L’esasperazione della pressione può portare a conseguenze talvolta irreparabili. Lo spettatore, come Nina, è costretto a portare a galla il proprio lato oscuro per poter discendere nell’inferno che Aronofsky ha abilmente realizzato. “Il cigno nero” è una pellicola pericolosa, fortemente adrenalina ma indubbiamente tragica, che scuote e disturba.
Mariantonietta Losanno