Il primo giorno dell’anno viene inaugurato dall’uscita di uno dei film più attesi dai cinefili in generale e in particolare dagli appassionati dell’horror: “Suspiria”. Il film, diretto da Luca Guadagnino, è il remake di una delle pellicole iconiche dell’horror anni Settanta, “Suspiria” di Dario Argento del 1977. Guadagnino, regista di “Chiamami col tuo nome”, film acclamatissimo, tratto dall’omonimo romanzo di André Aciman; ha deciso di imbarcarsi in un progetto forse troppo ambizioso, rischiando così di snaturare l’opera di Dario Argento. Non è assolutamente atipica la realizzazione di rifacimenti nel cinema, in più aveva creato molte aspettative l’accostamento tra la delicatezza e l’intimità del cinema di Guadagnino e il cinema simbolico e visionario di Dario Argento. Un progetto,
possiamo anticiparlo, che non ha dato i risultati sperati.
La pellicola di Guadagnino si divide in sei atti e un epilogo, ed è ambientata nella Berlino ancora divisa del 1977 (l’anno è la prima connessione con l’originale) e sconvolta dalle rivolte studentesche e dalla Banda Baader-Meinhof, uno dei gruppi terroristici di estrema sinistra più importanti e violenti del periodo successivo alla seconda guerra mondiale. La ballerina americana Susie Bannion arriva in città per un’audizione presso la prestigiosa compagnia di danza Helena Markos. La famosa coreografa Madame Blanc, idolo indiscusso di Susie, resta ammirata dal suo talento quasi soprannaturale. Susie conquista così il ruolo di prima ballerina.
Le prove si intensificano e tra Madame Blanc e Susie si instaura un rapporto che va al di là della danza, un legame pericoloso e inspiegabile. Dopo una serie di omicidi ed eventi paranormali, si scopre che la scuola di danza è in realtà controllata da una congrega di streghe intenzionate ad evocare una divinità dai poteri misteriosi.
L’opera di Dario Argento utilizza in chiave apertamente horror elementi del mondo delle favole, a partire dalla stessa protagonista, Susie, una sorta di “cappuccetto rosso”, ingenua ed innocente che deve sfuggire da personaggi misteriosi e minacciosi (i cosiddetti “cattivi” della favola) che incontra nel suo percorso. L’Accademia di danza (internamente) non ha tratti macabri tipici dei film horror (non c’è l’atmosfera tesa e l’inquietudine dell’ “Overlook Hotel”, per intenderci), anzi, è un luogo in cui si celebra la danza, il che rende i colpi di scena più credibili. Dario Argento riesce a presentarci un ambiente enigmatico e surreale, mantenendo la linearità della trama, non tralasciando l’uso dei colori, i giochi di luce, gli episodi minori (come quello delle larve), realizzando ogni delitto con grande cura come se fosse un quadro, stando attento alla musica: trova il suo equilibrio. Guadagnino, nelle sue due ore e trenta minuti, mette in scena una miriade di temi: la femminilità (in particolare la maternità), l’ossessione dell’arte, l’aspetto storico, il delirio, la follia. Non si tratta, per il pubblico, di non riuscire a seguire la trama, sembra piuttosto che una trama ben studiata non ci sia. Lo spazio dedicato alla danza è minimo. Ci sono, poi, una serie di eccessi che concorrono a creare un’atmosfera disturbante: rumori irritanti che si ripetono, smembramenti di corpi, (presunti) poteri magici. Quello che manca è un vero obiettivo riconoscibile. Non c’è nessun mistero che possa creare fascino, nessun tema sufficientemente sviluppato e approfondito. La musica di Thom Yorke, voce dei Radiohead, lega con la sensazione generale di disturbo che Guadagnino tiene tanto a creare.
Manca la curiosità di conoscere la verità, o di aspettare un colpo di scena. Manca lo stile, l’eleganza che aveva contraddistinto Guadagnino in “Chiamami col tuo nome”. L’aspetto macabro è così sfacciatamente amplificato da sembrare una presa in giro per lo spettatore. “Suspiria”, dunque, più che affascinare stordisce.