Cari amici italianizzati, l’altro giorno ho viaggiato nel tempo e senza neppure avere bisogno di una DeLorean, un flusso canalizzatore e 1,21 gigawatt di potenza. Mi è bastato passeggiare per caso a Valle di Maddaloni intorno al Monumento ai caduti Garibaldini, un obelisco di forma triangolare dove in cima è posta la stella d’Italia. Ai lati del Monumento ci sono degli altorilievi rappresentanti insieme all’eroe dei due mondi, Nino Bixio, Pilade Bronzetti, Fabrizi, Cairoli, Dezza, Avezzana, Medici, De Martino ed altri ancora e proprio mentre giravo intorno al Monumento che all’improvviso mi sono ritrovato a Roma, giovanissimo e appena “istruito” dalla Patria.
Mi sono risuonati nei timpani “scolarizzati” la storiella dell’Unità d’Italia, che disgraziatamente ci troviamo a dover celebrare, quando gli anniversari, i centenari, sono più funerei dei funerali, sono funerali di funerali. Tra l’altro essendo intelligentemente in buona compagnia sono venute fuori delle riflessioni, pensieri a cui ho subito garibaldinamente risposto «Obbedisco!», e quindi ho raccontato di quando ancora ragazzino visitai il Museo Centrale del Risorgimento di Roma dove credevo di morire, li mortacci loro. Un luogo tristissimo, da suicidio, con una scelta di oggetti di necrofilia fetish più istruttiva di qualsiasi libro di Storia. Ricordo che mi fecero vedere una pagnotta di pane rattrappita con cui i veneziani dovettero nutrirsi durante non so quali giornate di valorosa resistenza contro gli austriaci invasori, la coperta rappezzata dove fu trasportato Garibaldi quando fu ferito a una gamba, e lo stivale di Garibaldi bucato dal pallettone che lo ferì e la cassetta degli attrezzi foderata di velluto contenente gli strumenti medici per curare Garibaldi nostro dalla ferita, e perfino il pallettone stesso. Ricordo i jeans di Garibaldi, minuscoli, e delle due I’una: o i mille partirono con i calzoni alla zuava, o Garibaldi era davvero un nano. Tutto questo tra una quantità di croste celebrative e patetiche cianfrusaglie simili a ex voto che non provocherebbero un’erezione intellettuale neppure a Enzo Biagi se fosse vivo, ma forse ad Alberto Angela ancora si.
E comunque sia e io al Museo del Risorgimento ricordo che volevo solo sentire qualche brivido, sentire qualcosa, una palpitazione d’amore per la Patria mica nausea e tristezza. Ho pensato che magari ricordavo male, sono passati tanti anni da quando odiavo la Storia italiana e gli storici in generale. Invece anche l’altro pomeriggio mi è preso un attacco di soffocamento e nausea, come ogni volta che vedo un Monumento ai caduti in una piazza, un mezzo busto di Mazzini, un Vittorio Emanuele a cavallo. Dopo 20 minuti sono battuto in ritirata, aria, e circumnavigando intorno all’obelisco garibaldino mi sono liberato con qualche fantasia delle mie, per esempio pensando che sarebbe bellissimo se si potesse trasformare il Vittoriano a Roma in un McDonald’s o Starbucks. Ci penso sempre anche tutte le volte che vado a San Pietro, quanto ci starebbe bene una bella M gigante e luminosa di McDonald’s lassù, sulla cupola di Michelangelo. Oh, sempre fantasticando, almeno si fosse riusciti a portarne a termine una giusta che so, e magari da Porta Pia arrivare fino al Vaticano e far piazza pulita, e invece no, neppure di aprire brecce siamo stati capaci noi italiani, ne apriamo una e ci fermiamo prima. Tant’è che se si va a Porta Pia è stato eretto un enorme bersagliere rimasto li, in posa scattante, come se lo avessero freddato e imbalsamato mentre correva pronto a infilzare il Papa con il fucile, e a pensarci bene mi viene da piangere, un’altra occasione mancata.
Quando escono da scuola i giovani non vogliono più sentirne parlare dell’Unità d’Italia, e hanno ragione, penso sia meglio impersonare un soldato americano giocando alla PlayStation. Parliamoci chiaro la Storia d’Italia è noiosa, dall’Ottocento al Novecento è tutta una Storia stracciona che va avanti a singhiozzi e a sospiri e a lacrime tricolori, tante piccole ribellioni poco convinte e sempre morte sul nascere, noiosissime.
A me la storia del Risorgimento fa schifo, e anche il concetto del Risorgimento fa schifo, e anche la letteratura del Risorgimento fa schifo, una letteratura edificante strappalacrime e mortuaria e terribilmente kitsch mentre altrove Melville, Flaubert, Dostoevskij sfornavano capolavori. Basti pensare a Edmondo De Amicis nostro e a quella cagata di bestseller istituzionale intitolato Cuore, che doveva o dovrebbe inculcare il valore dell’obbedienza ai bambini dandogli come modelli piccole vedette lombarde e piccoli patrioti padovani e piccoli scrivani fiorentini, tutto destinato a restare piccolo anche da grandi, occorreva chiamare il Telefono Azzurro per violenza psicologica sui minori.
E quando, dopo tutta quella fatica e giornate violente e sangue versato e «Obbedisco!» arriva un certo Massimo D’Azeglio, per dire «Abbiamo fatto l’italia. Ora si tratta di fare gli italiani. Prego? Altra frase rimasta lì, surgelata come un bastoncino Findus, come un quattro salti in padella, come il bersagliere di Porta Pia. O forse D’Azeglio voleva dire «si tratta di farsi gli italiani»? In tal caso ha pienamente ragione la giornalista e scrittrice Francesca Nardi che l’imbroglio dell’Unità d’Italia lo racconta in maniera più reale e veritiera dando voce ud una nobile piemontese del 1800, nella sua opera “Matilda, parole ribelli”, Cavour, i Savoia, i Borboni, Garibaldi, le trame, i complotti, gli avvenimenti che cambiarono il destino italiano si, ma non come viene raccontato nelle scuole dagli insegnanti, ancora fermi al pippone su Garibaldi “eroe” e il Risorgimento quando a risorgere dovrebbe essere solo il loro cervello.
Infatti non fa in tempo a iniziare l’Unità d’Italia che passiamo alla Storia per il “trasformismo, il parlamentarismo truffaldino, la partitocrazia, gli accordi sottobanco, i doppi giochi, le furbizie, i ribaltoni, tutto come oggi insomma.
E riguardo ai Savoia lasciamo perdere, ricordo che ci restavo male a vederli alla tivvù quando non potevano rientrare in Italia e mi sembrava ingiusto che le colpe dei padri ricadessero sui figli, poi però ho visto bene Emanuele Filiberto in televisione, dove per anni ha fatto di tutto, oltre a parlare, l’ho abbiamo visto ballare, e perfino sentito cantare – Italia Amore mio- a Sanremo e mi sono dunque ricreduto, è giustissimo, nel caso dei Savoia, che le colpe ricadano sui figli, e anche sui nipoti di Emanuele Filiberto, esiliateli.
E poi ma quale Unità d’Italia, siamo seri: gli italiani non si sentono uniti su niente, neppure sul 25 aprile, quando a voler essere pignoli dovrebbero far sventolare anche le bandiere americane e ringraziare più la Quinta Armata del generale Clark che gli eroi della Resistenza, altra bufala.
La vera Unità d’Italia l’hanno creata due guerre mondiali e soprattutto Mussolini, e bisogna ammettere, anche Berlusconi perché politicamente fino a qualche anno fa o si era berlusconiano o antiberlusconiano, e ancor prima televisivamente gli italiani sono stati uniti nel tempo più dalla Finivest, Dallas, Dynasty, Drive In, il Costanzo Show, Casa Vianello, Striscia la Notizia, C’è Posta per Te, Barbara D’urso, che dai Savoia o Cavour o D’Azeglio o la DC, e quindi poche storie, poca Storia, grazie a Silvio Berlusconi più uniti di cosi si muore e io ho più nostalgia di Silvio che amor patrio Grillino e Leghista, che se non vi è ancora chiaro, vogliono rilegittimare il fascismo come sistema di smaltimento della complessità del pensiero. Rendervi tutti uguali insomma ma questo è un’altra storia.
Comunque e purtroppo molti sono morti di Risorgimento senza sapere che per unirsi sarebbero bastate le tette di Mara Venier, quelle si da “Obbedisco!”.
Ora e sempre Resistenza.
Peppe Rock