OSPEDALE DI CASERTA, LE RAGIONI DEL CUORE IN UNA BATTAGLIA INFINITA

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11 settembre 2001

Sono trascorsi 23 anni da quel giorno…

La notizia del crollo delle due Torri, arrivò dalla sua Redazione ad una giornalista di Caserta, ricoverata all’Unità coronarica dell’Ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta. Nonostante fosse attaccata al monitor e avesse le cannule dell’ossigeno nel naso, la giornalista aveva un telefono cellulare sotto al lenzuolo, della cui esistenza, in verità erano tutti al corrente, ma per non sentirla o forse per non correre il rischio che le venisse un colpo lì per lì e ci restasse secca, con tutto quello che poi sarebbe successo, facevano finta di niente, nella convinzione che avrebbe potuto dare più fastidio da morta che da viva.  Con la complicità forzata del responsabile dell’Ufficio stampa dell’Ospedale, Franco Tontoli, la giornalista im-paziente riusciva a leggere anche i giornali. Tontoli, quando era apparso di nascosto e glieli aveva portati la prima volta, le aveva detto: tanto so che se non te li porto io, te li fai portare da qualcun altro…tanto vale!…e mò statt nu poco quiet …La giornalista era stata ricoverata d’urgenza, perché non riusciva a respirare…al PS aveva incontrato, per grazia di Dio e per un turno illuminato,  il dottor Paolo Marino, e che ne parlamm affa?, un caso fortunato?, ma no!, all’Ospedale di Caserta l’eccellenza era all’odg a quei tempi, e Paolo Marino era davvero il meglio che potesse capitare ad una che arrivava in PS, con 70 sigarette al giorno nel curriculum, fibrillazione in atto, un ragguardevole scompenso metabolico, modestamente un edema polmonare di un certo rispetto, la pressione che non si comprendeva bene, dove avesse intenzione di arrivare, il respiro corto e la frignatina di prammatica con un picco di isterico terrore al seguito, che la faceva ansimare: voglio andare a casa mia e voglio morire là…“Tu per adesso vai all’Unità coronarica poi ne parliamo”– disse quell’adorabile mostro del dottor Marino, facendo caricare la giornalista su una barella, che partì di corsa alla volta dell’Unità coronarica, la cui sola definizione le fece venire o fridd ncuoll… l’ascensore fu raggiunto con tale velocità, che il braccio drammaticamente penzoloni della giornalista ansimante, praticamente semi seduta sulla barella perché non riusciva a restare sdraiata senza soffocare, rischiò di essere troncato di netto all’ingresso dell’ascensore…il tutto nella dimensione tragicomica, creata da una collaboratrice della giornalista che, piangendo ininterrottamente, non si staccava dalla barella, sperando di raccogliere le ultime volontà e i penultimi segreti del mestiere…Ma…il fatto che la giornalista fosse stata ricoverata all’Ospedale di Caserta era di per sé una garanzia di sopravvivenza, che spegneva sul nascere, le torbide fantasie dei nemici, che avrebbero gradito di ricevere la ferale notizia del decesso dell’odiosa creatura, subito dopo la caduta delle torri..,e la collaboratrice avrebbe dovuto aspettare ancora un bel pò…Accolta con gentilezza e sensibilità la giornalista fu sistemata seduta sul letto e attaccata al monitor e all’ossigeno…Mentre meditava seriamente sull’eventualità che non sarebbe uscita viva da quella stanza, la giornalista nel pieno del suo sconforto, vide emergere dalla confusione dei suoi pensieri l’indimenticabile Caterina Trovello, primaria di Geriatria, grandissima amica ed insuperabile medico, che la incitava a piangere senza scuorno alcuno…e mentre le parole di Caterina blandivano l’ansia e la paura, l’ingresso della dottoressa Franca Cincotti, primaria di Anestesia, oltre che grande amica personale della giornalista, facevano piazza pulita di ogni possibile e duraturo rasserenamento dell’anima. Con quattro parole secche e fugacemente affettuose, ma non troppo, affinché a nessuno pungesse vaghezza di abituarsi al superfluo, rimbrottò la giornalista, evitando di usare le mani soltanto perché impedita dai fili e cose varie,  mettendola dinanzi alle sue precise responsabilità e soprattutto al numero di sigarette che fumava, informandola che di lì a poco, l’avrebbero sottoposta alla conversione cardiaca, ma non prima di averle praticato quella cosa terribile che era l’ecocardiografia transesofagea… Dicono che la giornalista pregasse caldamente di essere portata a morire a casa, ma nessuno volle accontentarla. Pare che minacciasse persino di tagliarsi le vene, ma la dottoressa Cincotti pare le dicesse: fammi vedere come fai!…vedi di finirla e non dare fastidio che qui c’è gente che sta male…”e io? non sto male io?” dicono rispondesse la giornalista…”TU? – troncò imperterrita la Cincotti- e chi t’accide a te?”….L’ecocardiografia transesofagea ancora oggi è l’incubo ricorrente della giornalista, tanto è vero che non ha più toccato una sigaretta…nonostante al momento delle dimissioni dall’Ospedale, un genio della lampada che per sport giocava già allora a fare il cardiologo da operetta, incontrandola le disse: stai tranquilla e non preoccuparti…puoi riprendere tranquillamente la vita di prima…E fu l’eccezione in mezzo a tanta sapienza che confermò la regola…  Intanto, dalla redazione che dirigeva, le arrivò una sorta di preghiera “perentoria”, esattamente trasmessa dal grafico Giovanni Esentato, un altro pazzo furioso, che viveva il ricovero del direttore come un episodio irripetibile e assolutamente glorioso …Giovanni disse alla giornalista che sarebbe stato opportuno che scrivesse o dettasse un articolo per telefono, sul crollo delle due torri…altrimenti il giornale che figura ci faceva? La giornalista convenne che aveva ragione e fu beccata mentre scriveva, da quell’essere meraviglioso che era il primario dell’Unità coronarica, il dottor Romano che, in cinque giorni l’avrebbe rimessa letteralmente in piedi come e meglio di prima. Il dottor Romano tentò soltanto flebilmente di farle capire che forse, sarebbe stato il caso che lasciasse perdere per qualche giorno ma, allo stesso tempo, comprendeva le esigenze della redazione e pertanto… insomma…facesse un pò come voleva ma non esagerasse. La giornalista ovviamente fece esattamente come voleva. Dopo la transesofagea vissuta come le sette torture cinesi, con lo sguardo di Franca Cincotti che avrebbe proibito alla morte di avvicinarsi, fu un gioco da ragazzi riprendere il corso di ogni cosa interrotta. A distanza di 23 anni, la giornalista ricorda l’estrema gentilezza e cortesia di tutto il personale sanitario dell’Unità coronarica, che si è alternato nella sopportazione delle irruzioni improvvise di una marea di gente che, approfittando di una porta laterale, comparivano come dal nulla attorno al letto… Quella giornalista da ventitre anni, non si stanca di augurare a tutti coloro che hanno bisogno di assistenza e di cure, di incontrare un luogo illuminato come illuminato si presentava l’Ospedale di Caserta e tutti coloro che vi lavoravano a quei tempi ed è proprio perché, ostinatamente vogliamo che torni a risplendere nel cuore e nel ricordo di chi ne ha bisogno, negli anni che verranno, che la nostra battaglia continuerà finché accogliendo le preghiere di qualcuno, non ci venga un accidente…

Per allora e per sempre

Grazie

Francesca Nardi