“C’ERAVAMO TANTO AMATI”: SOGNI, ILLUSIONI, VIZI E VIRTÙ DI UN POPOLO

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di Mariantonietta Losanno

%name “C’ERAVAMO TANTO AMATI”: SOGNI, ILLUSIONI, VIZI E VIRTÙ DI UN POPOLO“Il cinema è dubitativo, non affermativo. Un film non deve dare soluzioni. Però porre interrogativi, sottolineare certi dubbi, avvertire domande che sono nell’aria e riproporle. Credo sia questo uno dei compiti del cinema. Ma non solo del cinema, di ogni altra forma d’arte”: questo è il senso del cinema di Ettore Scola, un regista difficile da collocare in un particolare genere. Sicuramente, tra gli autori indiscussi, e tra i grandi della commedia all’italiana. Ma è comunque un giudizio riduttivo. Ettore Scola, a parte la voglia di raccontare delle storie e di far conoscere dei personaggi, ha una particolare inclinazione per la rappresentazione del reale. Più che l’immaginazione e il sogno, ciò che lo contraddistingue è il gusto per la realtà.

E “C’eravamo tanto amati” è una realtà particolarmente importante per Scola, cresciuto durante la guerra (era infatti del 1931). Siamo nel secondo dopoguerra: iniziano le lotte partigiane, il popolo italiano può e deve rialzarsi. Il film è un vero e proprio viaggio di trent’anni (1944-1974) in Italia, attraverso le figure di tre personaggi storicamente “minori”, ma socialmente e culturalmente rappresentativi di diversi modi di essere. Tre protagonisti che racchiuderanno una generazione disillusa e che sentirà di aver fallito : Gianni (Vittorio Gassman), Antonio (Nino Manfredi) e Nicola (Stefano Satta Flores) sono tre ex partigiani, che hanno combattuto durante la Resistenza e hanno maturato insieme ferventi ideali. Dopo la guerra hanno preso strade diverse :Antonio, rispettoso idealista, il più semplice e meno pretenzioso dei tre, è un portantino all’Ospedale San Camillo di Roma; Gianni, forse il personaggio più drammatico, laureatosi in giurisprudenza, fa pratica di avvocato a Milano; e Nicola, grande appassionato di cinema, è uno stimato ma non troppo convinto professore di liceo. Qualche anno dopo, Gianni, trasferitosi a Roma per ragioni di lavoro, ritrova Antonio, che ora è fidanzato con Luciana (Stefania Sandrelli), un’aspirante attrice. Troverà facilmente il modo di soffiargli la ragazza, che poi lascerà per sposare Elide (Giovanna Ralli), la figlia di un nostalgico fascista, diventato un ricco palazzinaro (interpretato dal magistrale Aldo Fabrizi), con cui entrerà in società. Proprio per questo, nel personaggio di Gianni è racchiusa la più forte drammaticità : il personaggio di Vittorio Gassman è un’opportunista incattivito che tradisce l’amore, l’amicizia e tutti i suoi ideali, per scendere a patti con il potere e accettarne la corruzione e gli imbrogli pur di condurre una vita agiata.

Nel frattempo, anche Nicola si è trasferito nella capitale, dopo aver lasciato la famiglia. E anche lui si mette a corteggiare Luciana, che nonostante tutto Antonio continua ad amare. Passa ancora qualche anno: Gianni ormai si è impossessato della società del suocero, ma Elide, frustrata, infelice e continuamente oppressa dal marito, entra in crisi e si suicida. I tre amici tornano ad incontrarsi : una rimpatriata all’osteria, nel corso della quale ognuno deve fare i conti con i propri fallimenti. Emerge il rimpianto dei tempi della Resistenza, quando tutto era più semplice e si sapeva contro quale nemico e per quali valori lottare. La rimpatriata termina all’alba, davanti ad una scuola dove Luciana, ora moglie di Antonio, è in coda per poter iscrivere il figlio. Gianni senza dire nulla si allontana, gli amici si rendono conto della sua assenza solo quando Nicola controlla la sua patente e si accorge che è invece quella di Gianni. Decidono allora di restituirgliela il giorno seguente, recandosi all’indirizzo scritto sulla patente. Ed è proprio quando saranno giunti davanti alla lussuosa villa dove vive Gianni che si renderanno conto della sua grande agiatezza, che l’amico non aveva avuto il coraggio di rivelare.

%name “C’ERAVAMO TANTO AMATI”: SOGNI, ILLUSIONI, VIZI E VIRTÙ DI UN POPOLOQuesta pellicola dedicata non a caso a Vittorio De Sica, scomparso poco prima dell’uscita del film, è la rappresentazione fedele e drammatica di una fase storica complessa, e anche un excursus del cinema italiano (con gli inserti del vero Fellini e del vero Mastroianni intenti a provare la famosa scena de “La dolce vita” a Fontana di Trevi), con continui riferimenti anche alla rappresentazione teatrale. È un film che dipinge uno stereotipo senza diventarlo mai. “C’eravamo tanto amati” ha la capacità di equilibrare insieme motivi storici, politici, esistenziali, culturali e cinematografici, armonizzandoli con un malinconico ma efficace umorismo critico. In più, aiuta a riflettere sul concetto di “come eravamo” e “come siamo diventati”, attraverso le varie fasi della vita dei protagonisti. È una commedia che stempera la voglia di ridere, proprio per la tragicità che emerge: l’insoddisfazione, il fallimento, la scelta di vivere di espedienti, la perdita degli ideali. Credevamo di cambiare il mondo, invece il mondo ha cambiato noi”, dice Nicola, esprimendo l’essenza e lo stato d’animo di quella generazione. “C’eravamo tanto amati”, un capolavoro del cinema italiano, un film che ha saputo raccontare sogni, illusioni, vizi e virtù di un popolo, e in cui ancora oggi riusciamo a rispecchiarci. Un film in cui la Storia e i personaggi sono coprotagonisti, e che mantiene intatta la sua necessità e la sua forza.

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