“BLACK KNIGHT”: IL BINOMIO NETFLIX-DISTOPIA

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di Mariantonietta Losanno

%name “BLACK KNIGHT”: IL BINOMIO NETFLIX DISTOPIASembra che Netflix e la distopia siano un binomio inscindibile. Oltre alla serie cult Black Mirror (che regge il colpo nonostante le sei stagioni), la piattaforma vanta, nel suo catalogo, Il Buco, “affamato” horror distopico; ma anche, per fare altri esempi, V per Vendetta, Akira, Io sono leggenda. Se è vero che il binomio pare funzionare, c’è, però, il rischio che se ne abusi. Black Knight è un k-drama post apocalittico ambientato nel 2071, diviso in sei capitoli (della durata di neppure un’ora) ed ispirato ad un fumetto (nello specifico al webtoon di Lee Yun-gyun intitolato Taekbaegisa (Delivery Knight). È strutturato come una vera e propria lotta di classe, in cui le diverse categorie – distinguibili da codici QR – in seguito alla caduta di un asteroide sulla Terra, scendono in campo con le risorse di cui dispongono, e per i valori che ritengono validi. C’è chi sogna di diventare un corriere, così da aiutare i rifugiati; chi si trasforma in cacciatore, dandosi a furti e saccheggi. E poi ci sono i corrieri: coloro i quali detengono il potere. Sono loro, infatti, a consegnare l’ossigeno e tutto il necessario per mantenere la gente in vita. Assumere quel ruolo, allora, significa avere una speranza.

“Resta vivo e basta”: questo è il monito ripetuto costantemente, tanto da sfiancare. Black Knight,  scritta e diretta dal regista e sceneggiatore sudcoreano Cho Ui-Seok, sembra conoscere – e manovrare – i meccanismi di assuefazione. Almeno in partenza. Questo, come altri prodotti, creano un (preoccupante) attaccamento morboso. Tutti ne parlano, tutti ne rimangono ipnotizzati. Esempio eclatante è stato Squid Game, il “parco giochi” horror dai colori pastello (anche se, non ha nulla a che vedere con Battle Royale di Fukasaku), che ha scatenato il fascino dell’immedesimazione – in negativo – in qualcosa che è “altro da noi”. Black Knighttenta di percorrere la stessa strada, perdendosi, però, lungo il tragitto. Interessante l’intuizione della lotta alla sopravvivenza a causa dell’inquinamento (e non sembra, poi, un futuro così distopico), che ha permesso soltanto all’1% della popolazione di sopravvivere; incuriosisce, ancora, l’idea dei “cavalieri delle consegne” che decidono chi – e in che modo – sopravvive. Ma qualcosa, in questo piano, va storto; la sovrabbondanza di scene d’azione (spettacolari!) surclassa – per restare in tema – la componente psicologica. Il conflitto è tra corpi, non vengono caratterizzati a pieno i personaggi (a parte il leggendario 5-8 e un ingenuo e innamorato rifugiato), né vengono esposti in modo chiaro i termini del combattimento. È sconfiggere la miseria (in due declinazioni possibili del concetto, da una parte c’è chi vuole l’annientamento totale della “specie” e dall’altra chi vuole spezzare lo stereotipo) la causa che spinge a combattere?

%name “BLACK KNIGHT”: IL BINOMIO NETFLIX DISTOPIAInsistere sul valore differente attribuito ai ruoli sociali avrebbe assicurato un altro risultato. Definendo, ad esempio, perché diventano eroici i gesti e quali personaggi possono essere definiti eroi. Chi fornisce ossigeno, salvando gli altri, come viene visto? Come salvatore o, proprio perché dispone di un potere che può assicurare la sopravvivenza o la morte di altri, un despota? “Sognare” di diventare corrieri (di Amazon?!) significa assurgere ad un ruolo superiore, o porsi nella condizione di salvare i più deboli? Restano parecchi  interrogativi irrisolti, accompagnati da un senso di insoddisfazione e di stanchezza (si combatte troppo!). Se Black Knight avesse sviluppato le intuizioni di partenza seguendo una strada alternativa, avrebbe dimostrato – ribadiamo – una capacità di sapersi distinguere da prodotti di (questo) genere e avrebbe permesso un’acquisizione di status al pari di quella di Squid Game, ma senza bare “infiocchettate” o giochi da bambini rivisitati.