STORIA DELLA DISABILITA’ DALL’ANTICHITA’ AI TEMPI MODERNI: UNO SGUARDO ALL’ASPETTO ARTISTICO DELLA DISABILITA’

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Terza parte

 

C’era addirittura un’accurata distinzione nelle società antiche tra le persone con malformazioni, con infermità, con debolezza, con malattia e/o deficit sensoriali che sembravano meno gravi rispetto alla disabilità fisica, quest’ultime erano spesso considerate malattie dalle quale era possibile guarire grazie a cure mediche o un intervento delle divinità: Iside assunse per esempio nell’epoca ellenistica, le vesti della divinità della salute a cui tutti si rivolgevano per guarire persone con i vari tipi di disabilità o menomazione, in particolare i ciechi che volevano recuperare la vista. Sia l’invocazione che guarigione erano così pratiche rituali che persistevano nelle civiltà pagane e cristiane fino alle epoca romana. Anche Aristotele riteneva che le persone disabili fossero prive di ragione e non potessero insegnare nulla, lo stesso Quinto Pedio, nipote di un console romano affetto da sordomutismo che era stato avviato gli studi, sembrava rappresentare un’importante eccezione alla sorte toccata alle persone colpite da questa disabilità. Infatti sulle persone sordomute pesavano forti pregiudizi legati alla loro mancata possibilità di parlare, erano considerate per questo motivo stolte e da un punto di vista intellettivo anormali più vicine all’animale che all’essere umano. Persino la cecità era considerata una punizione divina e non come maledizione ma una possibilità di vedere cose che non si vedono con la vista ossia prevedere il futuro. Un mondo a parte invece costituito dalle disabilità intellettive considerate in modo meno negativo rispetto a quelle visibili dal punto di vista della deformità: sulla base delle conoscenze psicobiologiche dell’epoca, gli individui con menomazioni intellettive, rientravano nelle didattica speciale e apprendimento per le disabilità sensoriali categorie dei pazzi, figure che erano oggetto di reazioni diverse perché se da un lato ispiravano al timore e al rispetto poiché si considerava la follia come un esito di un intervento soprannaturale, in altre invece sembravano essere depositari di virtù profetiche. La pratica dell’eliminazione e la messa a morte di bambini nati sia con malformazioni fisiche che psichiche, non è un fenomeno circoscritto alle civiltà antiche in quanto in ogni epoca storica, la nascita di un bambino malformato, ha prodotto traumi e drammi che si sono risolti immediatamente nell’eliminazione del neonato. Persino nel settecento, Emanuele Cangiamila, in “Embriologia sacra” testo in cui si parla degli embrioni considerati fin dal principio dotati di anima, afferma che nella sua Sicilia era una pratica corrente battezzare immediatamente i bambini nati deformi per poi ucciderli.