– di Vincenzo D’Anna* –
Credo di avere le carte in regola per potermi iscrivere nel novero dei “garantisti”, ossia di coloro che, più volte, hanno evidenziato lo strapotere di taluni pubblici ministeri e l’ingerenza, spesso indebita, delle Procure nelle vicende politiche, fino a sovvertire il democratico responso delle urne. In compagnia di pochi altri ho rilevato, con più interventi nelle Aule parlamentari e sulle colonne dei giornali, la necessità di una riforma della giustizia che meglio tuteli la libertà dei cittadini, che dia precisi ambiti di definizione e di applicazione del reato di “concorso esterno” in uno con una diversa gestione dei cosiddetti pentiti. La gestione di questi ultimi ha visto per lo Stato di cui non si conoscono esattamente gli esborsi ma c’è chi giura che sfiorino il miliardo di €. Insomma: ho chiesto ripetutamente che il combinato disposto tra un reato non tipizzato e non previsto dal codice penale (qual è, appunto, il concorso esterno) e la gestione dei cosiddetti collaboratori di giustizia, trattati come degli oracoli, senza alcuna preventiva verifica di attendibilità e spesso lasciati in balia dei pm, la smettesse, una volta e per tutte, di mietere vittime innocenti!! Il governo Meloni ed il Guardasigilli Carlo Nordio hanno annunciato di voler mettere mano a tale intricata materia che si trascina da decenni essendo diventata un discrimine politico prima e morale poi. Uno strumento di lotta condita con l’ipocrisia del moralismo a buon mercato e del giustizialismo, per avocare a se stessi la difesa dell’onestà addebitando agli avversari quella della disonestà. Una lotta sorda e manichea che ha raggiunto il suo culmine allorquando questa è diventata l’unico strumento praticabile per sbarazzarsi di Silvio Berlusconi, l’uomo che le sinistre non riuscivano a battere con il voto. Camera e Senato divennero allora la sede di uno scontro senza riserve che travolse regole, codici comportamentali e buon senso. L’icona a cui votarsi fu Robespierre ed il giacobinismo la pratica più utilizzata. Da questo brodo di cultura venne fuori il Movimento 5 Stelle che fece della maldicenza e del sospetto il tratto distintivo del proprio essere politico e del successo che riscosse da un popolo incarognito e rancoroso. La politica, disarmatasi sull’onda dello scandalo di Tangentopoli – quando aveva rinunciato alle guarentigie parlamentari (ovvero all’immunità prevista in Costituzione) – finì asfaltata e ridotta a tappetino dalle voglie di protagonismo di una parte della magistratura legata a filo doppio con le sinistre. Un vincolo organico e militante, foriero degli intrallazzi da manuale Cencelli, per decidere a chi affidare gli incarichi di vertice nelle Procure, adottato da Palamara & C. Tuttavia, tornando a noi, essere “garantisti” non significa voltarsi dall’altra parte innanzi a fenomeni di malcostume e di delinquenza comune e politica, di mercimonio e di scambio elettorale. Non significa insomma tacere innanzi alle cronache di questi giorni che ci riportano ad arresti eccellenti, a scandali ed intrallazzi vari che sembrano essere un po’ il filo conduttore utilizzato da determinati personaggi per issarsi ai vertici delle istituzioni e degli enti pubblici come, per capirci, il Consorzio Idrico, l’Asi o le aziende partecipate della Regione e della Provincia di Caserta. La cronaca giornalistica ormai quotidianamente ci informa che ovunque il ceto politico abbia le mani in pasta, lo si trova pronto a concordare su concorsi fatti su misura per le anime elette, sanatorie e nepotismo, fino alla collusione elettorale con i ras della malavita organizzata. Il tutto a suon di mazzette per aggiudicarsi appalti in ambito socio sanitario e nel campo ambientale. La regia politica farebbe capo a quei soggetti che del “politicante” hanno fatto il vangelo da seguire per accrescere la propria influenza ed il seguito sui territori, ove si è’ insediata una massa di eletti in liste civiche votati al localismo ed al qualunquismo. Non una voce che si sia finora levata, in queste settimane, per chiedere conto e ragione di andazzi che, laddove paiono legittimi, restano comunque moralmente deprecabili incastonati come sono in quella pratica di “familismo amorale” che flagella il Meridione d’Italia da due secoli. Basta leggere il viaggio elettorale del candidato al Parlamento Francesco De Sanctis, già ministro della Pubblica Istruzione nei governi Cavour e Ricasoli, per rendersene conto. De Sanctis, in ogni borgata visitata, registrò la presenza di notabili latori di richieste clientelari e di prebende statali. Cosa è cambiato da allora? Intendiamoci: il familismo amorale è un concetto del sociologo Edward C. Banfield trattato nel suo libro “Le basi morali delle società arretrate” del 1958 in cui l’autore riscontrava l’assenza di interesse per il bene comune a vantaggio del bene personale e familiare di coloro che esercitano un potere. Un concetto attualissimo!! Pare infatti che in Terra di Lavoro si debba rimanere fermi a quei tempi e, peggio ancora, si debba finire falcidiati dai plurimi interventi della magistratura oppure si debba sopportare, in collusa omertà, le scorribande di una “nouvelle vague” di parvenu ai vertici delle istituzioni politiche ed economiche. La desertificazione della politica e la scomparsa dei partiti hanno lasciato sul campo solo delle mezze calzette, tanto sfrontate quanto ignoranti, a loro volta asservite ai disegni di qualche consigliere regionale o qualche parlamentare di lungo corso. Ahi, serva Caserta di imbrogli ostello!!