I RACCONTI DEL MELOGRANO

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   –   di Sara Mastroianni   –     

LEGGI QUI LA PRIMA PARTE

UN INSOLITO MISTERO

Capitolo II

In commissariato, ovviamente, doveva dichiarare di aver riconosciuto la vittima e, in particolare, che quella era la sua ex moglie. Tutto. Anche i dettagli che avrebbe preferito tenere per sé. Il paese è piccolo, la gente chiacchiera e i pettegolezzi galoppano sbizzarriti, al punto di saltare da orecchio a orecchio ogni volta con l’aggiunta di un nuovo dettaglio. Si era sempre stupito di quanto quelle menti, sterili di buon senno, fossero così fertili di inventiva. Come quella volta in cui il povero Gaspare “’u spazzinu” stava svolgendo il suo umile ma onesto lavoro, quando una bella e bionda turista svedese gli si era avvicinata. Apriti cielo. “Gaspare u traditore la conteggiò e insieme se ne andarono nel vicolo dietro ‘a chianca”, “Mi dissero che l’ingravidò”, “Disgraziato con tre bambini e una moglie”, “Si vedono ogni fine settimana in un albergo, vergogna”. Quando invece il poveretto aveva solo aiutato quella donna a cercare il suo portafoglio smarrito. Lei, infatti, aveva chiesto a lui sperando che razzolando per le strade con la sua scopa potesse essere incappato in quel piccolo bauletto arancione. Il commissario conosceva bene la vera dinamica dei fatti, perché dopo aver cercato per tutte le strade della cittadina, le due vittime si erano recate da lui per sporgere denuncia. Lo spazzino alla fine dopo aver fatto il suo lavoro e un’opera buona dovette pure sorbirsi le urla di sua moglie che, scettica, lo esiliò a dormire sul divano. “Mischino…curnutu e vastuniatu!” si ritrovò a pensare il mattino dopo l’accaduto; quando, prendendo al volo un caffè al bancone della pasticceria Bonocore, tante lingue spadaccine si preparavano ad affilarsi per la battaglia del pettegolezzo, usando come acciaino una genovese alla ricotta. “Che menti genialmente subdole, quanto potenziale sprecato!” sussurrava ancora a sé stesso uscendo con passo svelto da quel covo di avvoltoi. Comunque, anche se Biagio non avesse messo piede in quest’episodio, non avrebbe mai creduto alle voci di corridoio. Non c’è da fidarsi. Ecco perché il suo mantra era diventato: meno si parla, meno si sbaglia.

 Nell’ufficio dalle pareti bianche e blu, tutti erano sconvolti, perché nessuno poteva immaginare che un uomo così libertino come lui potesse essere stato sposato. Persino il quadretto con la fotografia di Mattarella che sembrava lo stesse giudicando, riusciva a metterlo a disagio. In realtà era stato un matrimonio veloce e spontaneo, da lui nominato “take away”, preso con la leggerezza di una gioventù che ti porta a fare sciocchezze. Aveva messo la fede al dito proprio in quegli anni trascorsi fuori dal suo paese. La bella Roma, vivace di giorno e magica di notte, l’aveva appunto come stregato. Sarà stata la sua grandezza, rispetto al piccolo paesotto da cui proveniva; oppure la magnificenza artistica che la ritraeva ad ogni scorcio sotto una luce sempre nuova e sempre migliore, rispetto alla gretta Pintaverza la cui la massima aspirazione artistica poteva essere, (dopo la chiesa per carità), la panchina tra i due storici alberi di gelso a piazza Carmine. Lui stesso non sapeva spiegarselo e si giustificava così quando a volte ci pensava distrattamente. Nonostante tutto si rese conto che era stato solo guidato dal brivido della trasgressione, di provare qualcosa di nuovo, di immergersi totalmente in una nuova vita. Poco dopo affrontò uno dei primi passi transitori dalla bella età verso la maturità: comprese che l’amore vero non svanisce dopo appena un mese; che l’amore vero non è tutto rose e fiori, lancio del bouquet e taglio della torta, ma soprattutto difficoltà e imperfezioni.

Non lo sapeva come fu. Ma una sera come un’altra, mentre guardavano un film assieme sul divano, uno di quelli americani che capitano su quei canali poco noti che sfogli per caso col telecomando, ebbe come una rivelazione mistica. Il velo cotonato dell’inconsapevolezza, ricamato da fili intrecciati di monotonia, staticità e flemma, scivolò via di colpo. Spalancò gli occhi e in un istante gli piombò addosso la consapevolezza di come la sua vita sarebbe stata da quel momento a seguire. Un flash di fotogrammi si proiettavano nella sua mente. Gli sembrava tutto già scritto, tutto già compiuto, tutto già vissuto. Realizzò che tutto gli era precipitosamente scivolato dalle mani, agendo d’impulso. Si ritrovò allora a chiedersi: “Sono contento di ciò che ho? Voglio trascorrere il mio tempo in questa casa? Con mia moglie? Con questo lavoro? In questa città sconosciuta? È questo che voglio dalla mia vita?”. Un senso di angoscia lo assalì e lo sentì accumularsi proprio al centro del suo petto. Si sentì sopraffatto. Involontariamente per liberarsi da queste sensazioni scattò in piedi come una molla. Ebbe come un déjà-vu: una volta, infatti, gli era capitato di fare un tuffo in mare da una scogliera e, dimenticandosi di prendere bene il fiato, nella risalita da quell’abisso d’acqua che lo sormontava pesantemente, lo spingeva dispettoso giù e si opponeva al suo disperato tentativo di prendere aria, si sentì morire. Ma quando tutto sembrava perduto, nonostante una considerevole bevuta d’acqua salata, riuscì a riempire i suoi polmoni di ossigeno. E così aveva fatto anche quella sera: si confidò sinceramente con sua moglie che all’inizio fu sconvolta da tale rivelazione, ma poi si ritrovò ad ammettere che infondo anche lei non era più convinta dell’immagine di un futuro insieme che ora galleggiava a mezz’aria tra le loro teste, cullato dal suono dei titoli di coda di quel film americano che ormai era finito.

Dunque di comune accordo firmarono le carte del divorzio, dopo appena un anno e cinque mesi. Rimasero comunque in buoni rapporti, niente ostilità, niente rancori. Non l’ha più vista da allora, con precisione dopo averle dato l’ultimo abbraccio prima di arrivare all’aeroporto di Fiumicino per fare ritorno in trinacria. Saranno stati almeno 15 anni.

Mentre con la sua mente fantasticava e navigava quel mare di ricordi, cullato dalla dolce brezza della nostalgia, Maggicarpe gli scuoteva l’avambraccio bruscamente riportandolo sulla terra ferma della realtà.

-“Oh Mangiacapre che passasti? Per poco non mi staccavi il braccio!”

– “Sempre Maggicarpe commissario, mi scusasse ma voi non rispondevate al mio richiamo.”

– “Hai ragione, ma sono solo stanco dopo tutta questa burocrazia, i fatti, le date, i rapporti…Invece tu cosa mi volevi dire? Novità?”

– “Solo una commissario, seguita da una cattiva notizia…”

– “Mii ma perché non parli subito, quanta suspense, fai sempre il melodrammatico. Avanti!”

– “Nella tasca destra dei pantaloni della signorina, anzi signora, c’era la busta di un biglietto”

– “E che diceva il biglietto?”

– “E no commissario, ho detto solo la busta del biglietto, ma di quest’ultimo tracce non ce ne sono…anzi l’unica traccia che c’è è…”

– “Ci risiamo, sputa sto mozzico!”

– “L’unica traccia porta a voi commissario: sulla busta c’era scritto -A Biagio-”