GARANTE DEI DISABILI: “MALATTIE RARE, BENE IL PIANO NAZIONALE, MA TROPPE DIFFERENZE TRA NORD E SUD”

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paolo colombo 300x171 GARANTE DEI DISABILI: MALATTIE RARE, BENE IL PIANO NAZIONALE, MA TROPPE DIFFERENZE TRA NORD E SUDCASERTA – Un’eccellenza “a due velocità”: così appare l’Italia, rispetto alla presa in carico delle malattie rare, nel IX Rapporto “MonitoRare” sulla condizione delle persone con malattia rara in Italia. Il rapporto è stato presentato dalla Federazione Uniamo, che dal 2015 raccoglie e aggrega tutti i dati disponibili tra gli attori in gioco per dare vita a un documento che offra una visione globale del sistema malattie rare, partendo dal punto di vista del paziente. Dalla lettura del documento emergono punti di forza e criticità del sistema italiano, eccellenza in Europa che viaggia però, appunto, a due velocità. Abbiamo un ambizioso Piano Nazionale Malattie Rare, arrivato dopo tre anni di lavoro e che ora necessita di essere attuato. Abbiamo una legge dedicata (Disposizioni per la cura delle malattie rare e per il sostegno della ricerca e della produzione di farmaci orfani), uno screening neonatale esteso (a fine 2022 attivo in tutte le Regioni/Province Autonome, ma ancora non aggiornato: la SMA non è stata ancora inclusa nel panel. Abbiamo 8,4 milioni di dosi di farmaci orfani erogate, pari allo 0,03% del consumo farmaceutico totale: una spesa molto contenuta. Aumenta poi il numero di farmaci per le malattie rare compresi nell’elenco della Legge n. 648/1996 (dai 31 del 2018 ai 45 del 2022), dei corsi ECM dedicati alle malattie rare (da 49 nel 2021 a 74 nel 2022) e del peso degli studi clinici autorizzati sulle malattie rare sul totale delle sperimentazioni cliniche (dal 31,5% del 2018 al 35,3% del 2022)”.
E poi ci sono le criticità. I problemi più sentiti dalla comunità delle persone con malattia rara – circa 2 milioni di persone – e delle loro famiglie sono quelli che impattano sulla zona grigia che esiste fra assistenza sanitaria e supporto sociale (la separazione delle competenze tra Ministero della Salute e Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con fondi non integrabili ma soprattutto con una mancanza di interscambi strutturati che non aiuta la costruzione di una rete di supporto) e quelli causati dalle disomogeneità territoriali, che creano una sempre più profonda spaccatura tra Nord e Sud (7 Regioni/PPAA non hanno alcun centro partecipante alle ERNs e 2/3 degli ospedali che partecipano ad almeno una ERN si trova nelle regioni settentrionali), alimentando il fenomeno della mobilità sanitaria, con tutte le sue conseguenti
implicazioni sanitarie, sociali etiche ed economiche per i pazienti. Tanto che la stima della mobilità sui dati dei RRM è pari al 15% nella popolazione complessiva e arriva a superare al 17,8% nei minori. E restano, ancora, i grandi temi irrisolti: il percorso diagnostico è ancora
troppo lungo (di media servono 4 anni per arrivare ad una diagnosi); le terapie restano insufficienti (ad oggi sono disponibili solo per il 5% delle patologie) e i tempi per divenire disponibili troppo dilatati; necessità di sviluppare una presa in carico “olistica” che comprenda tutto il percorso della persona e includa, sempre, il supporto psicologico; l’inclusione scolastica e l’inserimento lavorativo delle persone con malattia rara e, più in generale, con disabilità ancora lontani dall’essere realmente garantiti; l’urgenza di avere una formazione adeguata per tutti gli attori in gioco, dai clinici ai rappresentanti dei pazienti fino ad arrivare a quelli delle Istituzioni; la garanzia di un l’accesso omogeneo a cure palliative di qualità, slegandole dall’accezione comune legata ad un fine vita.
Il bilancio, insomma, è positivo e negativo al tempo stesso: Molto è stato fatto, molto altro rimane ancora da fare. Nel registro della Campania, in cui sono inseriti circa 30 mila pazienti circa il 20 per cento sono pazienti che provengono da fuori regione. Un dato epidemiologico largamente sottostimato; molti casi sono diagnosticati con notevole ritardo, fino a 10 o addirittura venti anni per patologie che solo in età adulta vengono ricondotte a un deficit genetico che, se riconosciuto precocemente dopo la nascita con lo screening neonatale, hanno spesso cure efficaci e che in alcuni casi portano alla completa guarigione. Attualmente lo screening neonatale è regolato dalla Legge 167 del 2016 e ampliato nel 2020 con un emendamento specifico che prevede l’allargamento a un’altra decina di malattie rare più comuni come la Gaucher, Mucopolisaccaridosi, Pompe, Fabri, Sma e altre ma ad oggi non è ancora approdato a un regolamento attuativo nonostante il gruppo di lavoro istituito dal Ministero abbia consegnato a maggio 2021 il dossier SMA completo con un parere positivo.
I lavori del gruppo ministeriale sono stati completati anche per altre patologie e molte Regioni, tra cui la Campania, hanno già provveduto all’ampliamento del panel. Proprio in Campania con un progetto ad hoc lo screening è stato allargato a più riprese per altre 5 patologie e sono numerosi i casi strappati a un destino di invalidità e trattati con successo grazie allo screening.
L’auspicio è che il Ministero proceda con i dovuti atti a garantire che tutti i bambini abbiano gli stessi diritti. Bastano alcune gocce di sangue, raccolte mediante una puntura sul tallone del neonato tra le 48 e le 72 ore dalla nascita. Sul fronte degli screening neonatali sono intanto le 35 malattie più adatte ad essere inserite nei pannelli europei. A individuarle è stato un nuovo algoritmo che tiene conto di diversi criteri che tiene conto delle caratteristiche e gravità delle patologie, esistenza di un test diagnostico e disponibilità di un trattamento. Fondamentale anche la formazione.