ESTATE DI CLASSICI – “IL COLTELLO NELL’ACQUA”, ROMAN POLAŃSKI: ALLE SOGLIE DELLA FUGA

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di Mariantonietta Losanno 

%name ESTATE DI CLASSICI   “IL COLTELLO NELL’ACQUA”, ROMAN POLAŃSKI: ALLE SOGLIE DELLA FUGALa comicità è grottesca quando nasce dalla consapevolezza che il tragico governa l’universo ma è privo di ogni significato. È un umorismo amaro quello che caratterizza Il coltello dell’acqua, esordio alla regia di Roman Polański, successivo – però – al primo vero film, Rower (La bicicletta), cortometraggio (sognante) ambientato nel dopoguerra. 

Bisogna assuefarsi alle acque stagnanti e infide de Il coltello nell’acqua. Abituarsi al ritmo, adattarsi al movimento, disperdersi. Prima di salpare, però, bisogna, innanzitutto, prendere consapevolezza degli gli spazi – comprendendo l’esatta misura – essenziali alla disamina del rapporto tra i personaggi. Prima un’auto, in cui c’è una donna che viene “ripresa” dal suo compagno perché «non diventerà mai una buona guidatrice», anche se lei, prontamente, dice di esserlo già. Dagli spazi stretti della macchina (che non è, in questo caso, strumento di liberazione tramite la fuga), ci si sposta a quelli più ampi (?) di una barca, che veleggia sul lago di Masuria. A bordo ci sono il giornalista  Andrzej, la moglie Krystyna, silenziosa e inquieta, e un giovane autostoppista incontrato per caso. Tradizione vuole che sia l’ospite (inatteso) a mettere in crisi il rapporto tra i due coniugi. A poco a poco, però, le dinamiche del triangolo sentimentale lasciano spazio al vuoto che si annida dietro i silenzi tesi dei tre e lo spazio che li separa, percorso dall’obiettivo in rapida panoramica da poppa a prua, che si dilata nell’indifferenza fino a diventare distanza siderale. 

Litigare e insultare – come fanno i due coniugi – è (forse?) un’attitudine meno disperata del vivere rassegnati l’uno a fianco dell’altro. Polański si focalizza su una coppia già “morta”, tenuta insieme dalla forza dell’abitudine. Il vincolo affettivo si paralizza per trasformarsi in un freddo rapporto di dominazione che costringe Krystyna al ruolo di oppressa. Andrzej, seduto al timone della barca per gran parte del film, guida – deviando spesso dal percorso – la moglie verso gli squallidi lidi del perbenismo insensato. Il giovane intruso sembra prescelto dal destino per dissacrare il rito di un matrimonio incancrenito dagli agi borghesi. Krystyna rimane testimone passiva, sullo sfondo della narrazione, ma al tempo stesso sembra autocompiacersi del ruolo di affascinante trofeo promesso al vincitore dello scontro esistenziale. I due uomini, infatti, si sfidano; per farlo, si servono delle armi taglienti della parola, che servono a conquistare l’ammirazione della donna. Il coltello aiuta a far “sentire tranquilli”, ad affrontare la vita, ma la vera lotta è tra due volontà morali differenti (chissà se Polański abbia tratto spunto da una delle tragedie di Jean Racine), due concezioni filosofiche contrapposte con leale fermezza. Andrzej deride la goffa spontaneità del giovane, del tutto ignaro delle arti marinare; si fa beffe della sua ingenua vitalità, lo umilia dall’alto della sua superiorità fisica, morale ed economica. Dal canto suo, però, il giovane non accetta di diventare la vittima predestinata del tragico weekend; reagisce al “superborghese”, dimostrando il coraggio testardo di chi non vuole rientrare nei ranghi e sa rischiare fino in fondo. Risponde alla tracotanza di Andrzej e alle sue piatte conoscenze tecniche da dizionario enciclopedico con impulsività e inesperienza, maliziosamente e impavidamente. 

La natura assolve, ne Il coltello nell’acqua, un ruolo strutturale che va al di là della semplice ambientazione scenografica, fino ad assurgere al livello di vettore tragico fondamentale. Il paesaggio non rispecchia solo lo stato d’animo dei partecipanti, ma diventa anche fattore determinante della drammaturgia polańskiana e sua principale fonte di ispirazione. La pioggia inclemente, ad esempio, costringe i tre personaggi sotto coperta, dove l’angoscia claustrofobica e lo spazio sempre più limitato accentuano la nevrosi in cui restano progressivamente afferrati. È nelle profondità irraggiungibili delle acque, poi, che resta sepolto – per sempre – il coltello. 

%name ESTATE DI CLASSICI   “IL COLTELLO NELL’ACQUA”, ROMAN POLAŃSKI: ALLE SOGLIE DELLA FUGA«È necessario un coltello per attraversare la vita». Ma solo se dotato di lama. E se diventasse, poi, anche un modo per specchiarsi e riconoscere i propri ideali sbiaditi fino all’inconsistenza? Non resta che scegliere se disprezzare il coltello o se stessi. Non resta che aggrapparsi all’ultimo valore ideale in cui credere, anche se annegato.