NAPOLI – “Tutto è finto, ma niente è falso”… Una massima che al teatro sembra andare a pennello. Il confine tra vero, falso, finto, verosimile, fa parte dell’eredità di giganti come Jean-Baptiste Poquelin, in arte Molière: per lui “il confine tra la rappresentazione teatrale e la vita come teatro, anche vissuto nella realtà quotidiana, è stato davvero sottile” scrive Enzo Decaro nelle note di regia de “L’Avaro Immaginario”.
Tratto da Molière/Luigi De Filippo, il testo viene adattato e messo in scena da Decaro, che lo interpreta con Nunzia Schiano e sei attori della Compagnia Luigi De Filippo; le musiche sono di Nino Rota, tratte da “Le Molière immaginarie”, mentre quelle di scena si ispirano a villanelle e a canzoni popolari del 600 napoletano.
Prodotto da I due della città del sole, “L’Avaro Immaginario” debutta in prima nazionale il 30 giugno nella Villa Floridiana di Napoli, nell’ambito della XVI edizione del Campania Teatro Festival. Dopo la presentazione napoletana il lavoro, tra ottobre e dicembre, girerà nei maggiori teatri italiani.
Come se avesse tra le mani una macchina del tempo, Decaro porta il pubblico indietro nei secoli, a quell’era leggendaria che è stato il Seicento. E, se non bastasse, lo incrocia con gli innesti del teatro napoletano di De Filippo. In sette quadri, un prologo e un epilogo lungo un atto unico, l’attore e regista napoletano ci porta in viaggio nel mondo di Molière in primo luogo, ma non soltanto… È anche un percorso in un secolo pieno di guerre, epidemie, grandi tragedie e anche di profonde intuizioni e illuminazioni che non riguardano solo “quel” tempo.
“Il progetto – scrive Decaro – nasce soprattutto da una curiosità ‘artistica’, a sua volta originata dalla constatazione che, a un certo punto della loro carriera, i De Filippo (Peppino e Luigi in particolare) hanno sentito l’esigenza di confrontarsi con il teatro di Molière e il suo genio innovativo, rimasto forse nel suo genere ancor oggi ineguagliato e vivissimo. A riprova, il fatto che, dopo oltre quattro secoli, in occasione della recente ricorrenza del quattrocentenario dalla nascita, si son tenute ovunque celebrazioni, studi e ricerche dedicate al suo teatro e alla sua mai tramontata “comédie humaine”. In particolare, “L’ Avaro” e “Il Malato Immaginario” sono stati i due titoli a cui, una generazione dopo l’altra, i De Filippo, padre e figlio, hanno dedicato seppur con differenti approcci la loro attenzione, sia teatrale che umana”.
“L’Avaro immaginario” è soprattutto il viaggio, reale e immaginario, di Oreste Bruno, da Nola, e la sua famiglia, che è poi anche la sua Compagnia viaggiante di teatranti: è la tipica “carretta dei comici” tanto cara sia a Peppino che a Luigi De Filippo. È il tragitto verso Parigi, verso il teatro, verso Molière. Ma anche una fuga: dalla peste, da una terribile epidemia che ha costretto i Nostri a cimentarsi in un avventuroso viaggio verso un sogno, una speranza o solo la salvezza. Lungo il percorso, quando “la Compagnia” arriva nei pressi di un centro abitato, di un mercato o di un assembramento di persone, ecco che il “carretto viaggiante” diventa palcoscenico e “si fa il Teatro”. E col “teatro” si riesce anche a mangiare, quasi sempre. Infatti, grazie agli stratagemmi di tutti i componenti della famiglia teatrale, si rimedia il pasto quotidiano o qualche misera offerta in monete o, più spesso, qualche pezzo di animale già cucinato offerto come compenso della esibizione sul palco-carretto, manco a dirlo, delle opere di Molière (L’Avaro e il Malato Immaginario sono “i cavalli di battaglia” di cui vengono proposti i momenti salienti, opportunamente adattati al luogo e agli astanti).
Gli incontri durante il cammino, sorprendenti ma non tutti piacevoli, l’avvicinamento anche fisico a Parigi, al teatro di Molière, la “corrispondenza” che il capocomico invia quotidianamente all’illustre “collega”, la forte connessione tra il mondo culturale e teatrale della Napoli di quel tempo (con Pulcinella che diventa Scaramouche) con quella francese, di Molière ma forse ancor più di Corneille (che si celerebbe sotto mentite spoglie dietro alcune delle sue opere maggiori), la pesante eredità del pensiero di uno zio prete di Oreste Bruno, Filippo detto poi Giordano, scomparso da alcuni decenni ma di cui per fortuna non si ricorda più nessuno, e la morte in scena dello stesso Molière poco prima del loro arrivo a Parigi, renderanno davvero unico il viaggio di tutta la “Compagnia di famiglia” commedianti d’arte ma soprattutto persone “umane”, proprio come la grande commedia del teatro.