– di Francesca Nardi –
Una società ferma, senza emozioni…una società di pietra, arida, che ha superato il torrente in cui corrono e si attorcigliano le emozioni, in cui scorrono i silenzi balsamici tra le passioni e le battaglie del cuore…una società che ha sopperito alle assenze, al vuoto grigio dei sentimenti e all’incapacità di sentire, permeando di ipocrisia ogni segno della sua esistenza in vita, tenendo insieme, troppo spesso, i lembi del nulla con la violenza. Una società che oggi, dinanzi alle orrende vicende degli ultimi giorni, ci costringe a riprendere il discorso dove l’avevamo lasciato, nell’errata ed illusoria convinzione che una colta e diversa sensibilità, avesse ormai permeato il nostro piccolo mondo, scalzando, di pari passo con la sua naturale evoluzione, grumi di violenza residua e grettezza. Eravamo rimasti alla riflessione consapevole su una società in decadenza, che ci obbligava a tener conto delle emozioni, delle passioni, dei moti dell’anima, ma soprattutto della loro pericolosa deriva e funesta possibile trasformazione. E con le illusioni, proprie di chi sa di non essere ancora pronto, siamo passati oltre, naufragando quasi inconsapevolmente nei flutti di una indistinta, vaga, nebulosa, urticante stagione di passaggio. A fare il resto e a tradurlo nel nulla, sono state le nostre pulsioni irriconoscibili, le nostre patetiche giustificazioni e quel certo non so che, parente stretto di un disgustoso vittimismo, che, alla fine della giostra, è ciò che indigna più di tutto il resto. Sullo schermo, a richiamarci all’ordine delle cose, la voce narrante dell’orrore palpabile, infiltrante e pernicioso, che racconta di una ragazza incinta di sette mesi, uccisa a coltellate da uno sconosciuto, che viveva con lei e con lei aveva concepito un figlio. Dietro il volto dello sconosciuto di turno, si intravedono i volti dei mille sconosciuti, che hanno ucciso le mille donne, che saranno fonte di ispirazione per chi riprenderà a disquisire sul femminicidio e sul sessismo, filosofeggiando su quell’orrore che ognuno di noi, in concorso di colpa, ha contribuito a disegnare, ciascuno per la propria inconsapevole, piccola parte. L’ignoranza di noi stessi e del nostro profondo, ci qualifica e condanna. Nessuno di noi ricorda la combinazione d’accesso al mondo degli altri…e forse… neanche al mondo di un figlio, un involucro che si chiuderà su di lui negli anni e diventerà impenetrabile…ed anche quando le circostanze ci indurranno a chiamarlo “mostro”, noi saremo consapevoli a metà, perché l’altra metà sarà soltanto una egoistica presa di distanza dall’orrore. Procediamo ingannando noi stessi e schiumando rabbia ogni qualvolta ci scontriamo con i piccoli, grandi inciampi dell’esistenza. Ciascuno per la sua parte, contribuisce alla violenza incontrollata dell’altro. Una violenza che si libera gradatamente in virtù della nostra indifferenza. Violenza genera violenza, è vero…ma vi siete mai chiesti, quanta violenza generi, l’esistenza concreta e reale di quella dimensione parallela, in cui si decidono i nostri destini, le nostre carriere, il nostro futuro?, quell’anticamera virtuale in cui il potere alimenta se stesso, favorendo il proliferare di una società ignorante e presuntuosa, la cui crescita ed affermazione, affrancata opportunamente del merito, è studiata a tavolino e che al primo segno di contrarietà diventerà violenta, semplicemente perché disabituata alla difficoltà e al sacrifico e soprattutto al controllo… Vi siete mai chiesti, quanta violenza generi l’atteggiamento del politico che inganna, alleggerendo virtualmente ed in prospettiva, il bisogno dell’elettore, disabituando quest’ultimo alla riflessione, al dubbio, alla analisi, determinando l’inconsapevolezza delle sue scelte, provocando la delusione del giorno dopo, la rabbia del mese che verrà e la frustrazione che diventa esistenziale, per avere creduto ad un mucchio di volgari fandonie e non essersi attrezzato in tempo, per sopperire almeno in parte al disagio? I semi della rabbia fermentano inconsapevolmente nel tempo, in un tempo imponderabile ed incalcolabile che potrebbe essere…adesso. Hasta la vista!