MONDI LONTANI SHORT FILM FESTIVAL “SPRING EDITION”

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di Mariantonietta Losanno 

Dopo i primi tre anni lo Scario Short Film Festival cambia nome: nasce il Mondi Lontani Short Film Festival. Un nome che suggerisce coraggio, ostinazione e tanta fantasia; che abbraccia un’idea di eterogeneità capace di oltrepassare confini geografici e emotivi. Che stimola, entusiasma: attraversare “mondi lontani” significa (anche) accettare – e ospitare – tutte le sfaccettature di se stessi; significa esplorare – attraversando generi, stili e forme di narrazione – opere che bilanciano sintesi, approfondimento e tecnica senza dover cedere all’approssimazione. 

Tra i tre cortometraggi dell’edizione primaverile, uno verrà selezionato per il concorso annuale che si terrà nel comune di San Giovanni a Piro (SA). Entriamo, allora, in quei “mondi lontani” (o “Mondi Lontanissimi”, album del 1985 di Franco Battiato), senza tempo né spazio. Che si presentano a volte come mondi “reali” altre come mondi “onirici”. “Mondi Lontani Short Film Festival” si pone l’obiettivo di portare nel territorio campano opere d’arte provenienti da ogni parte del mondo; l’organizzazione dimostra – per il quarto anno – di voler osare permettendo al pubblico di misurarsi con un cinema “libero”, che offre soluzioni illimitate e che “concentra” senza sottrarre. Un Festival che si distingue per originalità, creatività e concretezza. 

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1: “Gas Station”, Olga Torrico (Italia, 10′)

Alice “precipita” nel suo passato, si concede il lusso di ricordare – attraverso immagini e flussi di parole – il suo rapporto con la musica. Si sofferma a riflettere sulle diverse direzioni che la vita può prendere e si domanda “dove si trova” adesso, quale strada sta percorrendo. Pensa alla musica, che tante volte ha saputo salvarla e ora le fa paura; prova a “perdonarsi” per essere scappata e per non essere stata capace di ascoltarsi di più. È proprio una stazione di servizio il luogo della “redenzione”: Alice incontra il suo vecchio insegnante di musica e si domanda qual è oggi la sua aspirazione, cos’è che la rende libera di esprimersi, cosa le “accende” qualcosa. È ancora la musica, ancora il suo flauto; in quei frammenti di ricordi si percepisce la necessità di (ri)definire la sua personalità “ascoltandosi”, sentendo il suo cuore che batte. Individua, allora, cos’è che ha perduto (“Mi sento di aver perso qualcosa, ma non so cosa”) e decide di non vendere più il suo flauto. Comprende che non si tratta “solo” di suonare uno strumento, ma di conoscere se stessa attraverso la musica; di analizzarsi, di affrontare quello da cui vorrebbe fuggire, di esporsi. È per sentire quel cuore che batte che è giusto ritornare su quei sentimenti e su quelle fragilità. 

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2: “Le buone maniere”, Valerio Vestoso (Italia, 19′)

Mimmo Savarese è stato il più importante cronista sportivo della sua generazione. Gli viene proposta una bizzarra offerta di lavoro: è l’occasione per vendicare il suo passato, ma è anche il “trionfo dell’abbrutimento”. Torna, allora, a parlare, a descrivere, a raccontare. Sono state proprio le parole ad accompagnare il suo percorso di vita, e l’hanno “aiutato” proprio quando sembrava non avesse più la forza di proferirne alcuna. È quello che riesce a fare meglio: sente il bisogno di soffermarsi sui dettagli, di fare una telecronaca “costante” e su qualsiasi tema, situazione, contesto. Gli viene chiesto di “adattare” quella capacità di raccontare le partite come se fossero “favole”, “sogni”, per diventare un “telecronista della camorra”. Per Mimmo è un’occasione per vendicare il suo trauma, per “farsi giustizia”; decide di farlo, però, con le “buone maniere”, attraverso l’esercizio delle parole. Non si sente “l’emozione del grilletto”, ma ogni sillaba è un “colpo”, un’arma molto più pericolosa da cui è impossibile difendersi.

3: “This is the last time I’m doing this”, Sorina Gajewski (Germania, 19′)

Matthias e Cosmo hanno qualcosa da dire alla madre di lui, Gunde, durante una festa in famiglia. Non trovano l’occasione, oppure non la creano. I problemi di rabbia e incomunicabilità sono troppo più forti di una promessa fatta alla propria compagna; Cosmo non riesce ad avvicinarsi a sua madre, ha paura anche a sfiorarla, a starle vicino. Provano ad abbracciarsi, ma allo spettatore viene negata la possibilità di assistere; la macchina da presa non si sofferma sulle loro espressioni durante quell’abbraccio, per dare loro spazio ma anche per paura di esplorare quelle sensazioni. Tutto resta irrisolto, inespresso, incompreso. E da tutto questo scaturisce altra rabbia, ancora più indomabile, che causa conseguenze più gravi. Ci si sfiora, senza mai toccarsi, si comunica senza mai parlare.