“PETITE MAMAN”: COME CI (RI)GUARDANO I BAMBINI

0

di Mariantonietta Losanno 

Il rapporto madre-figlia diventa lo spunto per evidenziare la divergenza tra lo sguardo degli altri su di sé e la propria consapevolezza identitaria. Céline Sciamma dirige un “piccolo” film che sa misurarsi con i “grandi”; che mantiene uno sguardo “infantile”, che riguarda, cioè, l’infanzia, ma non immaturo. Un film che “accarezza” temi come la paura della perdita e dell’abbandono, i percorsi di formazione, il dialogo in famiglia, il lutto.

La pellicola è stata realizzata durante il primo lockdown in Francia: un tempo che rendeva necessaria la riflessione sulle conseguenze del vivere giorni di clausura. Non si tratta, però, di un racconto sulla pandemia; “Petite maman” è un’opera che “sfrutta” la possibilità di realizzare un “piccolo” film (in termini di tempo e di budget) per “immaginare”. Creando, cioè, uno scenario ipotizzato partendo da un punto di “fine”. 

%name “PETITE MAMAN”: COME CI (RI)GUARDANO I BAMBINI

Nelly ha otto anni e ha appena perso sua nonna. Va a stare insieme ai suoi genitori nella casa di famiglia, e sua madre Marion, rivivendo dei ricordi, le racconta della sua infanzia vissuta lì e di una capanna di legno che aveva costruito nel bosco circostante. Improvvisamente la madre parte lasciandola con suo padre e Nelly incontra, girovagando nel bosco, una bambina di nome Marion che sta costruendo proprio una capanna. 

%name “PETITE MAMAN”: COME CI (RI)GUARDANO I BAMBINI

Le parole chiave del racconto intimista di Céline Sciamma sono costruire e svuotare: due parole che sembrano contraddirsi a vicenda, ma che – lasciando da parte la parte più razionale del proprio io – trovano un equilibrio coesistendo. Nelly (ri)costruisce insieme a sua madre i ricordi della sua infanzia; ricorda la sua capanna di legno (che un tempo è stata, appunto, costruita) e nello stesso tempo in cui (ri)costruiscono, svuotano anche la casa e gli stessi ricordi dalla malinconia e dal dolore. Tutto il film “gioca” (per utilizzare un linguaggio da bambini) sull’idea che mentre qualcosa prende forma (costruendosi), qualcos’altro la perde (svuotandosi). Nelly lega con Marion: insieme giocano, cucinano, ridono, costruiscono la loro capanna di legno. Nel frattempo, però, la casa che sua madre costruì quando era piccola è come se “crollasse”, ma solo per lasciare spazio ad un’altra: quella che costruisce Nelly. Céline Sciamma parla del tempo, della memoria e della ricerca della propria identità; celebra l’arte della sintesi (il film dura poco più di un’ora) che non vuole, però, trascurare o abbozzare nulla; si concentra su temi complessi senza esasperarli. Parla, ad esempio, dell’idea di perdita da un punto di vista “nuovo”, non solo quello di una bambina di otto anni, ma anche quello “precedente” alla perdita; si concentra, cioè, su cosa significhi accettare una perdita o un abbandono quando ancora non si sono verificati. Riflette, allora, su quel dolore precedente, su quel timore non ancora concretizzato che, probabilmente, fa ancora più paura di quello reale; su una sofferenza ancora “astratta” ma fin troppo reale perché non ancora definita. 

%name “PETITE MAMAN”: COME CI (RI)GUARDANO I BAMBINI

Si costruisce, poi, il rapporto anche tra Nelly e Marion, anzi, più di un rapporto. Si confrontano alla pari, da coetanee, e poi di nuovo tra madre e figlia. Il dialogo tra coetanee, però, essendo privo di barriere o di banali – e forse in gran parte scorrette – consuetudini “gerarchiche” in cui è quasi sempre la madre ad avere un ruolo più “forte”, è più libero e spontaneo. Céline Sciamma parla dei vuoti da riempire e dei rapporti che si costruiscono quotidianamente; si sofferma sulla percezione degli “addii” in un’età infantile. “Petite maman” muovendosi tra la magia di “Big Fish” di Tim Burton (o quella de “La città incantata” di Miyazaki a cui la regista, in un’intervista, ha raccontato di ispirarsi) e la resistenza al dolore di “Amour” di Michael Haneke, si esprime con incisività e trova compiutezza in soli settanta minuti.

%name “PETITE MAMAN”: COME CI (RI)GUARDANO I BAMBINI

“Petite maman” è un’opera di “realismo magico”: un film che “attraversa” il confine tra reale ed immaginario e quello generazionale, per parlare al pubblico in modo “puro”, senza filtri. Un’opera che elude la morte grazie alla potenza dell’immaginazione che andrebbe sviluppata anche in età adulta e che ci permette di avere milioni di possibilità e altrettanti scenari possibili. Grazie all’immaginazione (intesa come creatività, fantasia e capacità di ragionamento che va “oltre” i limiti ), infatti, nessuno scompare davvero: basta un oggetto, un sapore o un odore per sentire vicino chi non c’è più. E per imparare a conoscere chi è andato via – senza, per questo, avere abbandonato – anche dopo, attraverso i ricordi, i luoghi o le cose. “Il mio sogno è che di fronte a “Petite maman” ci sia una sala piena di adulti e bambini. La riflessione che faccio sulla durata riguarda anche l’impatto: è vero, è un film breve, ma è estremamente concentrato, dura ventiquattro ore, comprende anche la notte e i sogni”, ha spiegato la regista in un’intervista. 

Quello di Céline Sciamma è un cinema che sa suggerire domande ma che non impone risposte: se a otto anni tutti noi avessimo incontrato la propria madre a otto anni, sarebbe nata un’amicizia? Si sarebbe creato un rapporto fraterno? Come sarebbe evoluto il rapporto con una “piccola mamma”?