IL MILITE IGNOTO

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di Vincenzo D’Anna*

E’ passato pressoché sotto silenzio il centenario della sepoltura del Milite Ignoto presso il Vittoriano, meglio conosciuto come “Altare della Patria”, a Roma. Stiamo parlando del complesso monumentale in granito bianco che troneggia in piazza Venezia all’ingresso di via dei Fori Imperiali. Scarne le notizie che la stampa ha dedicato al centenario della traslazione delle spoglie del caduto senza nome presso il sacello che lo custodisce in memoria dei seicentomila morti italiani nella prima guerra mondiale (del 1915-1918). Fu Maria Bergamas, la madre di un soldato scomparso durante il conflitto, rappresentante di tutte le madri e le spose che avevano perso un congiunto, a scegliere tra undici salme di soldati la cui identità era rimasta sconosciuta. Accadde ad Aquileia, città in provincia di Udine non lontana dal grande cimitero di Redipuglia, ove riposano le spoglie mortali di coloro che immolarono la vita per la nostra Patria. Chiunque abbia visitato quel luogo ha patito la commozione innanzi ai gradoni composti dai loculi con su la scritta “Presente“. Pur lontani da ogni retorica guerresca, convinti che la guerra sia un immane carnaio, qualunque possa essere stato il suo esito, un moto di profonda commozione assale l’anima di chi visita quei luoghi che assumono, nel silenzio assordante, un’aura di sacralità e di devozione verso i fratelli italiani che non ci sono più. I nomi scolpiti nel freddo granito richiamano alla mente la provenienza di questi morti. Dal Sud al Nord della Penisola ogni angolo di terra ebbe ad offrire un grande contributo di sangue e di giovani vite spezzate. La pietas prende il sopravvento su ogni alta considerazione. E tuttavia l’ottusità del genere umano, la sete di potere, il cinico calcolo della ragion di Stato, i conflitti etnici e religiosi, hanno rinnovato, nelle epoche storiche successive, la deflagrazione di altri cruenti conflitti. Alcuni di questi necessitati dal dover liberare i popoli dalla tirannia e dalla malvagità, dalla privazione della dignità e della libertà. Non tutte le guerre hanno alla base motivazioni abiette ma tutte producono morte e desolazione. Un monito che è ben presente nella nostra Costituzione laddove è scritto che si ripudia la guerra come strumento per risolvere i conflitti tra le nazioni. Un ripudio che ha ben presente quello che Hanna Arendt definì la banalità del male, intendendo dire che anche gli uomini miti e comuni, se inseriti in un contesto ideologico violento, avvelenati dalla propaganda di un regime tirannico, possono essere capaci di gesti malvagi ed inumani. Non furono pochi i piccoli borghesi che, dismessi gli abiti dei bravi cittadini, divennero aguzzini senza pietà nei campi di sterminio o sui campi di battaglia. Furono uomini normali e forse insignificanti a rastrellare donne, vecchi e bambini per fucilarli in nome di una malintesa idea di grandezza della propria patria. Questi sono i frutti dei nazionalismi e delle ideologie totalizzanti che piegano la collettività e la rendono serva delle ideologie. Non distinguere tra l’idolatria della guerra ed il ricordo di quanti vi si dovettero immolare è un grave errore che spesso i pacifisti commettono. Non sono pochi coloro i quali confondono il ricordo dei soldati caduti per l’adempimento di un dovere, per la condivisione di una causa ritenuta giusta, ancorché perseguita con un mezzo crudele ed ingiusto, con la celebrazione dell’evento militare o peggio ancora con l’esaltazione delle armi e degli strumenti di morte che connotano ogni evento bellico. Gli italiani che poco conoscono la loro storia se non nell’iconografia della propaganda che di questa spesso viene fatta, non hanno mai sviluppato il senso della Patria intesa come comune vincolo di valori e di ricordi. Se così non fosse la celebrazione dell’omaggio reso a quel soldato senza nome, elevato a testimone di migliaia di altri soldati, del dolore delle famiglie falcidiate, oltre che dell’orgoglio per aver redento le terre italiane dal tallone Austro Ungarico, non si sarebbe sopita, se non cancellata, nella loro memoria. Se oggi milioni di italiani possono vivere nelle terre dei loro avi, parlare la loro lingua, professare la loro religione, essere legati alle loro tradizioni ed al modo di vivere, se oggi tanti di noi possiamo essere solidali nella gioia delle date fauste ed affranti in quelle infauste, lo si deve a quel soldato che dorme dietro quella bianca pietra. E se questi buoni sentimenti fatti non di retorica patriottarda, bolsa e ridondante, ma del comune sentire di milioni di persone, potessero essere ancora insegnati nelle scuole come monito ed esempio, anche la società caotica ed edonistica nella quale viviamo sarebbe migliore. Non c’è bisogno d’essere un lodatore dei tempi passati per rilevare che nell’epoca in cui si assegnano prezzi a ciascuna cosa e valore a poche altre, inchinarsi innanzi a quella tomba non è un esercizio inutile.

*già parlamentare