LA TOGA DI LORSIGNORI

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di Vincenzo D’Anna*

Spero che l’afa di questi giorni, le scalmane popolari per i successi della Nazionale e la ritrovata libertà di movimento post Covid, non abbiano completamente distratto il popolo italiano da alcuni fatti di per se stessi gravi. Parliamo dell’ormai nota vicenda che ha visto sul banco degli imputati una parte rappresentativa della classe togata, messa a nudo dalla vicenda dell’ex giudice Luca Palamara. Un vero e proprio vaso di Pandora, che l’ex segretario dell’Anm (Associazione Nazionale Magistrsti) e componente del Consiglio Superiore della Magistratura, ha scoperchiato. Da quell’ipotetico contenitore sono fuoriusciti intrallazzi e pratiche di potere da sempre supposti ma mai documentati prima d’ora. Ai lettori distratti sarà bene riepilogare un po’ come sono andati i fatti. Un nucleo qualificato di magistrati ha brigato per creare un connubio tra potere giudiziario ed una determinata area politica, quella contigua ai Pd, per orientare scelte e designazioni ai vertici di importanti Procure. Un gruppo esoterico di soggetti che per anni ha collocato in posti di grande responsabilità, visibilità e potere decisionale magistrati di quella determinata area politica. Tranne Palamara e qualche altro componente della cricca, in pochi sono finiti sotto inchiesta. Alla vicenda, infatti, è stata posta la sordina e il tutto è stato fatto passare come una parentesi determinata da soggetti deviati più che un vero e proprio sistema di potere. Successivamente un avvocato siciliano, Pietro Amara, stranamente arrestato sia pure per altre vicende, ha rivelato ad un pm milanese, Paolo Storari, l’esistenza di una vera e propria loggia di magistrati, avvocati e politici per manipolare processi ed indagini. La loggia si riuniva in Piazza Ungheria a Roma, per decidere quali azioni concordare per indirizzare indagini, aprirle o chiuderle a secondo dei casi. Lo stesso pm Storari è finito sotto inchiesta per rivelazioni di segreto d’ufficio, per aver consegnato il fascicolo del caso Amara a Piercamillo D’Avigo, ex pm di “Mani pulite” e componente del Csm. Un caso che, stranamente si era arenato, nelle mani del procuratore capo di Milano Francesco Greco, anch’egli ex pm di quel pool. Palamara, in un libro di successo, il Sistema, scritto a quattro mani con il giornalista Alessandro Sallustri, ha rivelato ulteriori particolari della vicenda che lo vede coinvolto, creando altro scalpore. Questo, in estrema sintesi il contesto finora emerso e che, è opinione comune, non abbia ancora dato tutte le risposte e rivelato tutti i protagonisti della storia. Molte cose, infatti, sono ancora da rivelare, a partire dalla pubblicazione completa delle registrazioni, che gli inquirenti hanno finora secretato, riguardanti le intercettazioni dei colloqui intercorsi tra Palamara e molti alti magistrati. Insomma, scalpore di stampa a parte, la vicenda viene, ancora una volta, rallentata e taciuta, affinché le cose cadano nel dimenticatoio. È noto, tuttavia, che il diavolo fa buone pentole ma senza adeguati coperchi. Ecco realizzarsi un ulteriore tentativo affinché non emergano altri nomi eccellenti. Innanzi alla commissione Antimafia, presieduta dal grillino senatore Nicola Morra, un petulante professore di Filosofia finito alla presidenza della più importante commissione bicamerale, per le bizzarrie del Manuale Cencelli, arriva l’ora dell’audizione di Palamara. Quest’ultimo rivela aspetti interessanti, ovvero su quale basi fu indicato il nominativo del procuratore capo di Palermo. Tra i criteri pare ci siano stati quelli di scegliere il magistrato più vicino all’allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano, un togato non proprio convinto assertore di dover proseguire sulla linea di indagine relativa alla trattativa tra Stato e Mafia, che crea personali imbarazzi al allora inquilino del Quirinale.Criteri che nulla avevano a che fare con i requisiti che avrebbero dovuto orientare la delicata scelta. Ecco allora un ulteriore colpo di scena che riguarda un altro ex alto magistrato: Pietro Grasso. Questi già procuratore nazionale antimafia e presidente del Senato, divenuto leader di Leu, il partito della Sinistra antagonista, comincia un duro ostruzionismo per impedire l’audizione di Palamara e quindi le eventuali ulteriori rivelazioni di quest’ultimo. Insomma un atteggiamento molto strano da parte di una delle icone della lotta alla mafia che la sinistra ci ha propinato come depositario di una nuova morale politica. Che Grasso fosse un ambizioso lo si sapeva già, che puntasse ad ulteriori cariche di prestigio pure lo si sapeva, anche alla luce di una conduzione scarsa e debole dei lavori del Senato. Da presidente dell’Aula di Palazzo Madama egli ha infatti condotto un’azione molto indulgente nei confronti del M5S. Qualche maligno ha ipotizzato che quella gestione, senza nerbo e partigiana, servisse a raccattare le simpatie ed i voti dei 5 Stelle per scalare il più altro dei colli Romani: il Quirinale. Fallito politicamente come leader politico, Grasso finisce col dare manforte a coloro che intendono occultare la verità la responsabilità de questa riguarda i propri ex colleghi e la Rocura di Palermo. Insomma lorsignori in toga.

*gia parlamentare