– di Vincenzo D’Anna* –
Un corpo per l’estate è l’ultimo epitaffio all’edonismo, il grido di battaglia della bellezza per giovani e meno giovani. Niente compromessi sull’immagine da immortalare e poi affidare ai social. Un bell’aspetto non basta: il traguardo da tagliare, infatti, è la perfezione. E poco conta raggiungerlo attraverso le manipolazioni fotografiche del fotoshop. Ciò che conta è apparire. Una smania che attraversa trasversalmente tutti, giovani e meno giovani, donne, uomini e ragazze. Una corsa irrefrenabile. La parola d’ordine è una e una sola: ottenere la bellezza assoluta del proprio corpo. Ed una volta realizzata, via a postare lo scatto dei sogni nell’interspazio del web. Insomma scomparse le rughe, rivitalizzato lo sguardo, bandita l’adipe, esecrati i peli, rifilate le sopracciglia, anche per i maschi la cui cifra di riferimento è l’aspetto efebico, ci si trasforma in vere e proprie star di celluloide. Tutti eternamente giovani neanche fossero stati calati nelle acque dello Stige, il fiume sacro dei greci, come fu per piè veloce Achille, e come questi stupendi ed immortali. Un’ubriacatura generale, un delirio diffuso, un inno all’eterna bellezza che diventa la colonna sonora di un’intera generazione, dai cocchi di mamma alle attempate signore. La stessa moda uniforma l’aspetto, influenza radicalmente i gusti e mischia i capi l’abbigliamento maschili e femminili. E che dire delle tinture di capelli ormai appannaggio anche degli uomini, incuranti dei prezzi che i più rinomati parrucchieri e stilisti della criniera esigono dai loro clienti? Dietro tutto questo ginepraio di mode uniformanti, una società liquida ed un’umanità uniformata non bada più a spese nonostante i morsi della crisi. Il celebre detto “feste, farina e forca” ha sostituito il ben più noto “liberté, egalité, fraternité” in una generazione che pensa più alla prova costume che alla prova dell’esame di maturità, ancorché questi sia stato ormai ridotto all’osso. I sociologi ed i sondaggisti sudano le proverbiali sette camice per potersi raccapezzare, individuare un minimo comun denominatore che possa tenere coesa una società malferma ed una Nazione inebriata fino allo sballo. Tuttavia, nulla sembra preoccupare i depositari del nostro futuro, gli eredi di generazioni di risparmiatori, di gente che si è inventata cento mestieri per tirare a campare. Le “griffe” e l’ultimo modello di smartphone, le macchine rilucenti e gli scooter di ogni foggia e cilindrata, i monopattini elettrici e le vacanze last minute, hanno soppiantato l’epoca dell’impegno politico e sociale. Insomma, è questo il segno dei tempi che stiamo vivendo. Che l’alba del Ventunesimo secolo, come quelle che l’hanno preceduta, avesse segnato profondi stravolgimenti nei costumi e nella struttura sociale, era più che prevedibile. Nei due secoli passati, d’altronde, a determinare un cambiamento profondo ci avevano pensato l’epopea napoleonica, con lo stravolgimento degli “ancien regime” e degli Stati sovrani e poi, nel secolo successivo, la mattanza della Prima Guerra Mondiale. Per questo nuovo secolo almeno non si è sparso sangue bensì…silicone. Eppure la dissoluzione dell’esistente è apparsa ancora più profonda. Ad essere cambiati non sono stati gli Stati ed i loro confini e nemmeno i regimi politici, le innovazioni economiche e le conquiste sociali. Nossignore. Sono mutate la mentalità dei singoli individui, ubriacati dalla libertà senza sicurezza e dagli agi e dalle comodità di vita. Sembra di vivere un nuovo umanesimo il cui tratto distintivo, però, è la leggerezza dell’essere. D’altronde, la nostra è una società tutta impostata sul consumismo, senza retaggio di valori e vincoli. Una vita all’insegna della velocità che, in quanto tale, rende difficile il ragionamento e brucia, sull’altare della moda e delle mutevoli esigenze, ogni aderenza alle tradizioni del passato. Se l’avanzamento tecnologico aumenta il grado di libertà e moltiplica le interconnessioni tra gli individui, se la globalizzazione economica rende collegati, tra loro, modelli sociali un tempo incomparabili, non ci si può scandalizzare che tutto venga desiderato e reso desueto in un arco di tempo minimale. Quello che invece non era prevedibile era lo svuotamento del corpo sociale da tutto ciò che ha un valore a vantaggio di tutto quello che ha un prezzo. Parimenti inaccettabile è la cultura dell’apparire su quella dell’essere, la propensione a spogliarsi di quello che si è veramente per poter essere quello che meglio appare. Impastati in questo stato di cose, vengono travolti i valori umani, si disprezza il mostrarsi non conformi al modello di perfezione fisica. Dobbiamo interrogarci se tale stato di cose ci porterà a scartare i diversi e gli imperfetti, emarginandoli sempre più dal consesso sociale. Si è liberi perché fallibili, quindi anche la libertà di essere meno appariscenti. Sarà bene non dimenticarlo mai.