L’IMPERIALISMO CINESE

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di Vincenzo D’Anna*

E’ storia vecchia quella delle “parole d’ordine” che la sinistra italiana lancia per bocca dei suoi fiancheggiatori “acculturati”. In genere intellettuali, storici, economisti, filosofi e giornalisti che, imperterriti, sono passati dall’esaltazione delle benemerenze del marxismo alla sua falsa abiura, in favore di un statalismo che ne rappresenta la continuazione sia pure sotto altra forma. Idee, queste, partorite nei salotti “radical chic” nostrani dai quali, poi, si sono diramate sottoforma di libri, editoriali, articoli e programmi tv portati avanti con faziosità ed acrimonia, da intrattenitori loro affini per idealità. In origine la grancassa di questo modo di pensare fu “tele Kabul”, famosa terza rete Rai. Un autentico crocevia di iniziative, poi, via via, diffusesi anche su altri canali. L’apoteosi di quello stile fu raggiunta nel periodo coinciso con l’ascesa al potere di Silvio Berlusconi il “tycoon” italiano della tv privata. Quest’ultimo, avendo portato in politica anche la potenza delle sue reti televisive, fu contrastato in nome della democrazia e della libertà d’informazione, quindi con una condotta faziosa ed antagonista, a prescindere dal merito delle questioni. Fu così che tutto il sistema dell’informazione e del dibattito politico fu radicalmente modificato in ragione di una “par condicio” che invece tutto era tranne che pari condizione di obiettività e di stile. Anzi il sistema si incancrenì ulteriormente, propalando scandalo e discredito a buon mercato nel momento in cui il Cavaliere e non pochi elementi politici del suo ambito, furono travolti dalle ben note vicende e da attacchi giudiziari. E’ stata questa la spirale entro la quale si è mossa l’azione politica negli ultimi lustri del secolo scorso ed i primi di quello attuale: un discredito morale e personale che ha trasformato in condanna definitiva ogni atto giudiziario, attraverso il sapiente utilizzo della macchina del fango. Un’era opaca e maleodorante, quella della lotta tra le diverse aree politiche contendenti, che ha devastato la credibilità della politica stessa e delle sue istituzioni, fino a trasformarsi in pregiudizio e stereotipo negativo presso la pubblica opinione. Un brodo di cultura perché allignasse il rancore sociale e la promessa portata della più sgangherata delle pseudo rivoluzioni sociali quale fu quella della premiata ditta Grillo & Casaleggio e di tutto il Movimento Cinque Stelle. Se non si evidenzia anche questa lunga fase opaca della nostra politica, non si riesce a comprendere fino in fondo come talune parole d’ordine, inserite abilmente nel sistema della “comunicazione”, abbiano poi trasformato in verità di comodo taluni opinioni, relegando le altre tra quelle di più basso conio. In politica estera il fenomeno è ancora più evidente e si traduce nell’esaltazione della figura, delle idee e delle opere di taluni leader politici stranieri ritenuti affini se non organici alla sinistra. E’ accaduto spesso, infatti, che la nostra sinistra, amante delle icone politiche, abbia santificato e proposto a modello personalità come George Mitterrand in Francia, Tony Blair in Inghilterra, Barak Obama negli Stati Uniti, Luis Zapatero in Spagna, Alexis Tsipras in Grecia, Hu Hintao e XI Jinping in Cina relegando, all’opposto, nei panni dei reprobi, nemici del progresso e della libertà, i loro diretti rivali. Le politiche dei primi erano dunque da propagandare come salvifiche, quelle dei secondi da ritenersi riprovevoli e sbagliate. Un gioco nel quale, i detentori della doppia morale di giudizio, hanno finito con l’eccellere. Si prenda, ad esempio, la posizione di contrarietà, a prescindere, emersa nei confronti della politica americana di Donald Trump e quella, invece, in favore del suo successore alla Casa Bianca, Joe Biden. E che dire dell’accondiscendenza verso i Cinesi ed il loro capitalismo di Stato? Un regime liberticida che non ha scrupolo alcuno verso l’enorme sfruttamento dell’ambiente e degli esseri umani. Una potenza economico finanziaria armata fino ai denti, che avanza per contendere agli Usa, guidati dal nuovo e malfermo presidente, il ruolo di prima potenza mondiale. In questi giorni a Pechino si sono festeggiati i cento anni della fondazione del partito comunista cinese con grande spolvero di mezzi civili e militari. Non una parola, non un rigo sono stati proferiti o scritti nel ricordare la tirannide sanguinaria che, l’applicazione del marxismo nel Paese della Grande Muraglia, ha determinato provocando alcune decine di milioni di morti. Eradicando la cosiddetta borghesia con i lager e lo sterminio per fame. Non un cenno a quello che possiamo senz’altro definire “imperialismo cinese”. Niente. Tutto cancellato dai “maître a penser” nostrani ai quali evidentemente non conviene rivangare le tragedie di un credo a loro stessi appartenuto. Se in Italia oggi siamo nelle mani degli sprovveduti è anche colpa dei silenzi più che della stoltezza delle parole.

*già parlamentare