“MADRE!”: UNA PERFETTA MANIPOLAZIONE CINEMATOGRAFICA

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di Mariantonietta Losanno 

Il tema dell’invasione dello spazio domestico da parte di estranei è stato già ampiamente studiato (“Uno sconosciuto alla porta”, “Funny Games”, “Knock, Knock”), ma Darren Aronofsky non ha bisogno di attingere da altre opere: la sua cifra autoriale è chiara ed evidente e la sua personalità “sopra le righe” – per usare un eufemismo – è stata dimostrata sin dal suo primo lungometraggio. Nessun compromesso, nessun filtro: quello di Aronofsky è un cinema di manipolazione, capace di alterare e distorcere le immagini creando una vera e propria realtà parallela priva di riferimenti logici. In fondo, il cinema opera una sorta di manipolazione già a monte, nel senso che il film stesso è un tacito accordo – che prevede lo slittamento dal piano della realtà a quello della realtà filmica – tra lo spettatore e il regista; può accadere però che, oltre alla volontà di controllare le reazioni del pubblico e di stimolarne lo spirito critico ed emozionale, la linea di confine tra un’opera che suggerisce e provoca determinate risposte e un film che mira soltanto a mettere in atto una manipolazione possa diventare estremamente sottile. In “Madre!”, pellicola infinitamente allegorica, Aronofsky conduce il gioco, non solo “soggiogando” lo spettatore, ma aggredendolo anche con una violenza esasperata. 

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Jennifer Lawrence e Javier Bardem sono una coppia apparentemente felice: lui è uno scrittore (momentaneamente in crisi di ispirazione), lei si occupa invece di risistemare la loro casa, devastata da un incendio. Lui è l’artista e Lei la sua musa. Sono abituati a vivere in isolamento, fino a quando degli sconosciuti bussano alla loro porta e invadono totalmente i loro spazi. Da questo momento in poi, è difficile descrivere quello che accade: dall’Eden si passa al caos estremo, tutto è estremamente surreale. Aronofsky crea un’allegoria dopo l’altra per parlare dei rapporti di coppia, di arte, di poesia, di vite finite che rinascono dalla cenere, di distruzione e odio. “Madre!” si impone con una rabbia violenta e sanguinaria raccontando una maternità agognata – ma dolorosa – che ricorda “Rosemary’s baby”: il regista costruisce una ragnatela demoniaca attraverso lo sguardo di Lei rappresentandola nella sua incapacità di sottrarsi all’egoismo (creativo ma pur sempre egoismo) e al desiderio di possesso di Lui. Aronofsky trascina lo spettatore in un vortice di follia solo apparentemente illogica; in realtà, il regista è perfettamente consapevole di mettere in scena uno spazio intimo per poi “violentarlo” costantemente con incursioni esterne. E, forse, non è un caso che sia il corpo femminile ad essere deturpato: è Lei che viene sacrificata affinché il narcisismo di Lui trovi libero sfogo e gli consenta di ritrovare l’ispirazione. La macchina da presa segue ossessivamente lo sguardo della protagonista, restituendo allo spettatore una visione filtrata e non oggettiva: si vede solo ciò che lei vede, si sente solo ciò che lei sente. Questa soluzione registica consente, però, allo spettatore di sentire in modo tangibile le angosce di questa giovane sposa e di entrare in un’empatia profonda con Lei. 

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Il film è senza colonna sonora: ci sono solo i rumori disturbanti, le urla e la disperazione. “Madre!” conferma la maturità registica di Aronofsky e la sua capacità di provocare in modo intelligente (un’abilità riscontrabile anche in Lars Von Trier, Yorgos Lanthimos, David Lynch) e si presenta come un’opera “arrogante” in cui l’ego del regista tende quasi a sopraffarlo. L’intento è quello di far riflettere (come in “π – Il teorema del delirio”, “Requiem for a dream”, “Il cigno nero”) e mettere ogni certezza in discussione; ed è per questo che anche i dissensi sono per il regista una sorta di “ricompensa”. Ci sono molte letture possibili, ed è proprio questa la ricchezza della storia: il film ha “vari strati” ed è certamente possibile che alcune persone non vorranno un’esperienza invasiva di questo tipo. Bisogna essere predisposti: c’è un fascino pericoloso in “Madre!”, un sadismo che pervade ma intriga, un’espressione di un egocentrismo assoluto che ignora ogni regola per potersi esprimere senza limiti. 

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Quello di Aronofsky è un cinema in cui si muovono personaggi spinti dalle proprie ossessioni verso il compimento di un destino di sconfitta e distruzione. È proprio l’ossessione la componente onnipresente nella sua filmografia: c’è chi non vorrà lasciarsi trasportare da questo “sogno delirante”, ma rappresenterebbe una dimostrazione di coraggio o di debolezza? L’importanza della pellicola risiede proprio nel fatto di presentarsi come un’esperienza visiva estrema ma capace di adattarsi ad infinite interpretazioni. Forse “Madre!” è un film sull’amore in tutte le sue possibili declinazioni (sia sacre che profane), o forse è la rappresentazione di un delirio, o ancora un’opera intrisa di riferimenti biblici. Ci si trova di fronte ad una pellicola che sa di essere profonda ed audace (ed è una consapevolezza che scaturisce dalla presunzione del regista): la scelta sta solo nel decidere se proteggersi o lasciarsi “colpire”. All’interno di una casa c’è un insieme infinito di cose (nascita, crescita, distruzione, odio, rinascita): sta allo spettatore decidere quale sia la più congeniale.