di Mariantonietta Losanno
Christine – che si fa chiamare “Lady Bird” – è una studentessa dell’ultimo anno di un liceo cattolico di Sacramento e disprezza la sua piccola città con tutta te stessa, considerandola uno spazio vitale troppo limitante per le sue ambizioni. Sogna di fuggire lontano in occasione della scelta del college, magari a New York, ma la madre le rema contro: il loro rapporto conflittuale risente delle generazioni differenti a cui appartengono e dei loro percorsi di vita. Lady Bird mostra una presunzione – che nasconde, in realtà, una goffaggine adolescenziale – che la aiuta a sentirsi adeguata e capace di relazionarsi con i suoi coetanei e, soprattutto, con gli adulti. Lotta per imporre le proprie scelte, rifiutando il nome che le è stato dato per usarne uno che si è scelta (come gesto di ribellione e affermazione di se stessa), sfidando sempre la madre che fa doppi turni da infermeria in un ospedale psichiatrico, ma sostenendo, invece il padre disoccupato che soffre di depressione.
Greta Gerwing, al suo debutto da regista, convenziona un’opera sincera, che affronta il periodo adolescenziale senza edulcorare nulla, realizzando molto di più di un semplice racconto di formazione. Quanto è decisiva, per l’affermazione della propria identità, l’adolescenza? Che cosa vuol dire scontrarsi per la prima volta con delle delusioni, accettarle e, addirittura, provare a coglierne degli aspetti “positivi” e costruttivi alla crescita? E, ancora, cosa vuol dire – per una ragazza in un’età in cui nulla è ancora costruito – seguire le proprie passioni, cercare di realizzare i propri sogni? Ma, soprattutto, come ci si riesce ad amare, ad accettarsi senza piacersi? Tutte domande complesse, che non possono trovare una risposta esaustiva: non ci sono scorciatoie, nessuno (e in questo caso è importante sottolineare che non dipende, a parte casi eccezionali, da genitori più o meno “bravi”) può alleviare le sofferenze e renderle più tollerabili. Ci sono tempi e reazioni da rispettare. Improvvisamente, però, senza capire bene come e perché, ci si riconcilia con la propria identità rifiutata, con quelle radici che si ignorava di amare, con quel corpo che tanto si criticava e che presentava solo difetti. Semplicemente, si cresce, cambiando prospettiva: si inizia ad avere la facoltà di gestire le emozioni, accettando le delusioni e, qualora sia possibile, prevenirle. Lo spettatore accompagna Lady Bird – quasi tenendole la mano – fino al punto in cui diventerà capace di essere Christine: non si avverte l’ombra della retorica né la presenza di sentimentalismi consolatori. Quando sarà pronta, Lady Bird/Christine smetterà di prendersela con se stessa, con il suo nome e il suo luogo di nascita e si renderà conto di essere già la versione migliore di se stessa: continuando ad affannarsi per raggiungere la vita che vorrebbe, si è solo distratta non rendendosi conto che non c’è bisogno di fingere di essere di più, credendo di essere migliore.
La cosa più importante che Christine acquisisce è, paradossalmente, la gratitudine. Fra amori sbagliati, frequentazioni sbagliate e amicizie preziose ma, purtroppo, date per scontate, Lady Bird imparerà ad essere grata. Inizierà, abbandonando i risentimenti, ad apprezzare i panorami, la semplicità delle cose e dei rapporti; riuscirà a rompere il muro di silenzio che la separa da sua madre, imparando a comunicare. Sia Sacramento che il suo nome di battesimo rappresentavano, per Lady Bird, un ostacolo, come se le impedissero di diventare più brava, più intelligente, più sicura di sé: scoprirà, poi, che quello che riteneva un impedimento per il realizzarsi del suo sogno è, invece, la base da cui partire. Tutti abbiamo bisogno di un luogo sicuro, e non per forza deve essere una “New York” (ossia un posto che, idealizzandolo, sembra essere molto più grande di quello che è): ci si può ritrovare anche in una realtà più piccola e semplice.
“Lady Bird” è un film che richiede attenzione: non bisogna lasciarsi trarre in inganno dalla semplicità del genere, che può indurre a guardare con sufficienza un’opera che, in realtà, fornisce molti spunti di riflessione. Ed è proprio questo che vuole insegnare: fare attenzione. Ai sentimenti degli altri, alle motivazioni dei loro gesti, alle loro reazioni. È così che si cresce: con cura, attenzione e misura. Greta Gerwing mette in scena un’opera dissacrante – capace di mettere a tacere alcuni perbenismi – ed efficace, molto lontana dall’idea di un “teen movie”.