di Mariantonietta Losanno
Tre soli personaggi, segreti, bugie e paure: il primo lungometraggio di Manfredi Lucibello ha il sapore di un noir (troppo) teatrale. Due donne si incontrano, una fugge di notte pensando di essere inseguita e l’altra l’accoglie e la porta nella propria casa. L’incontro, però, non è stato casuale.
Per tutta la prima parte del film lo spettatore non viene a conoscenza di molto dettagli: la narrazione è confusa, frammentata e molto esasperata. Solo successivamente, scopriamo che Sara (Benedetta Porcaroli, conosciuta per la serie TV “Tutto può succedere”, “Baby” e per il film “Perfetti Sconosciuti”) ha diciassette anni e, forse per noia, si prostituisce su internet. Non si conoscono le motivazioni né si scopre molto sulla sua vita: Sara sembra un’anima (già) persa, priva di punti di riferimento e che vuole sperimentare la ricchezza e il potere. Una sua amica – che lei ha convinto a fare il suo stesso “lavoro” – è rimasta coinvolta in una vicenda pericolosa: durante un festino organizzato in onore di un magnate dell’industria si doveva firmare un accordo multimilionario, ma qualcosa è andato storto. La donna che la aiuta, invece, è Veronica (Barbara Bobulova) l’avvocato di uno tra più influenti industriali d’Italia, Federico (Alessio Boni). È il suo unico cliente e a lui deve tutto: deve difenderlo non solo nella professione, ma anche nella vita privata. È apprensiva, quasi materna, sia nei confronti di Sara che del suo cliente. Federico compare visivamente molto tardi, è quasi una voce più che una presenza. Una voce fuori campo, che ascoltiamo principalmente attraverso conversazioni telefoniche: il suo personaggio entrerà in scena solo in seguito. Ed è proprio la sua voce a caratterizzarlo, sembra nascondere una storia complicata, anche questa non approfondita. “Tutte le mie notti” è l’incontro di tre personaggi e tre debolezze: storie che si incastrano, si avvicinano e si allontanano. Storie che sono legate insieme, oltre che dalla fragilità, dai segreti e dalle bugie. Lo spettatore rimane sempre in attesa, però, di un colpo di scena o di una soluzione finale che dia coerenza a tutta la narrazione. “Tutte le mie notti” non emerge, manca di troppe cose: è un dramma da camera che poteva osare molto di più. Il risultato è approssimativo e frettoloso, soprattutto per il finale.
Una storia che poteva spingersi oltre, creando spunti di riflessioni più interessanti: ci sono troppe ridondanze – soprattutto per le inquadrature cupe – e poco approfondiamento psicologico dei personaggi. Con il progredire della storia, poi, tutto sembra contraddirsi: quella che doveva apparire come un salvataggio si rivela quasi come un rapimento e il potenziale di una storia misteriosa ed enigmatica si perde. Una bella idea di partenza quella di “Tutte le mie notti”, film prodotto dai Manetti Bros, che ha tentato di ispirarsi alla bellezza sofisticata delle opere di Roman Polański e Dario Argento, ma che ha perso di vista l’obiettivo arronzando dettagli fondamentali.
Di esempi di cinema di suggestioni e atmosfere, con protagonisti pochi personaggi e in cui svolgono un ruolo essenziale luoghi, tempi e colori ce ne sono tanti: si poteva fare di più. I tre attori – provenienti da esperienze e modalità di recitazione molto diverse – mantengono in piedi l’impalcatura di uno script prevedibile che poteva puntare proprio sulle differenze dei tre personaggi per mostrarsi più originale. Più di tre quarti del film si svolge nella stessa location, creando una situazione più oppressiva che intrigante; i dialoghi sono spesso poco credibili, surreali ed eccessivamente teatrali; l’illuminazione è tutta in chiave basse, dato che l’ambientazione è quasi prevalentemente notturna. Nonostante la durata di neanche novanta minuti si ha la sensazione di essere saturi troppo presto.