“L’Italia ha vietato la pesca del dattero sin dal 1998 mentre, dal 2006, il divieto è stato esteso a tutta l’Unione europea. Ora, però, è giunto il momento, non più rinviabile, di inasprire le pene per chi devasta l’habitat marino. I procedimenti penali, purtroppo, tendono a definirsi per motivi sociali verso l’ammenda più bassa pari ad appena 2.000 euro mentre le misure accessorie previste dalla norma non trovano pienamente applicazione, dato che le attività vengono svolte con piccoli battelli pneumatici da diporto di scarso valore e da persone non iscritte nei registri dei pescatori professionali”. Lo dichiara il deputato Giuseppe L’Abbate, componente del MoVimento 5 Stelle della commissione Agricoltura della Camera. “Presenterò – prosegue L’Abbate – un emendamento al Decreto-legge sui reati alimentari per aumentare il potere deterrente della norma e dare manforte al lavoro, egregio, delle Capitanerie di Porto che con controlli serrati ha fatto sì che il fenomeno diminuisse nell’ultimo triennio”.
Il tema è sempre più attuale dopo gli ultimi fatti di cronaca che hanno evidenziato la devastazione della parte sommersa dei faraglioni di Capri. L’inchiesta della Guardia di Finanza ha portato all’emissione di 19 ordinanze cautelari, tra arresti e obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, di due gruppi operanti a Napoli e Capri e lungo la costa vesuviana. La Lithophaga lithopjaga è una specie protetta che per il raggiungimento del proprio habitat ideale impiega anche trent’anni e per la cui raccolta vengono utilizzati martello, scalpello e pinze, frantumando le rocce marine e compromettendo l’intero biosistema. Il divieto di pesca del dattero di mare è disciplinato dal Decreto Legislativo n. 4 del gennaio 2012 che prevede una sanzione penale con arresto da due mesi a due anni ovvero ammenda da 2.000 a 12.000 euro.