– di Vincenzo D’Anna* –
Dopo i recenti fatti di cronaca, purtroppo più giudiziaria che politica, che hanno coinvolto il consigliere regionale Giovanni Zannini ed il presidente della Provincia di Caserta (nonché sindaco di Pignataro Maggiore), Giorgio Magliocca, sono arrivate le dimissioni di quest’ultimo. Dalle indagini, dalle ispezioni e dalle perquisizioni ancora in corso stanno emergendo scenari inquietanti. Abbiamo già scritto sulle cause generali prime e vere dello scadimento e del cupio dissolvi della vita politica casertana, frutto del qualunquismo, del solipsismo e dell’improvvisazione. La scomparsa dei partiti, il fiorire di liste civiche al posto di compagini qualificate ed identificabili come espressione delle forze politiche in campo, ha dato vita a composizioni di maggioranze eterogenee ed improvvisate dalle quali hanno preso vita esecutivi vulnerabili alle infiltrazioni di tipo affaristico-clientelare ed a pratiche di basso conio che con la politica hanno poco o niente a che vedere. Il filosofo Hegel soleva affermare: “ciò che è reale è razionale e viceversa”. Quello che sta accadendo, in buona sostanza, è frutto di una realtà para politica che ha una propria ratio nella pratica quotidiana dell’agire amministrativo del ceto dirigente. Prima di appurare colpe ed emettere condanne che espongano i soggetti interessati alla gogna mediatica, bisogna ragionare sugli epifenomeni, sulle ragioni che sono causa dei guasti. Laddove finisce l’agire politico, hanno termine la prassi e la correttezza istituzionale ed incomincia il sentiero del malaffare nel quale restano coinvolti non solo i politici “invischiati” ma anche il mondo imprenditoriale e gli stessi elettori che, plaudenti, hanno concesso fiducia e consenso ai protagonisti ed al loro modo di amministrare. In parole povere, ai clienti che di mestiere fanno gli elettori, ai questuanti che ne affollano le anticamere, a quelli che, come Gertrude la celebre “monaca di Monza” di manzoniana memoria, hanno preso i voti ma non ne hanno fatto un buon uso. Un intreccio tra eletti ed elettori, tra chi chiede e chi concede, che come un nodo gordiano, andrebbe reciso con la spada del ritorno alle urne più che con i tentavi di far finta che si tratti di episodi legati al soggetto che ha deviato. E tuttavia, pur prevedendo che ulteriori sviluppi siano alle porte, portando altro clamore di cronaca e sconcerto nell’opinione pubblica, le dimissioni di Giorgio Magliocca valgono anche come disdoro per i suoi dante causa politici. Se per quanto concerne Zannini si sa che è un sodale ed ascaro del governatore Vincenzo De Luca, nel caso del presidente della Provincia si stenta a decifrare chi siano i suoi veri riferimenti politici per i tanti cambi di posizione che questi ha consumato nel centrodestra a tall punto che oggi c’è chi lo vorrebbe addirittura accasato nel centosinistra proprio per il tramite di Zannini (!!), al quale deve, in qualche modo, la riconferma alla presidenza della Provincia. Una situazione fluida e confusa senza collocazione politica certa, tipica dei voltagabbana, ossia coloro che orientano il proprio agire oltre gli steccati di un convincimento politico certo, radicato ed indisponibile ai cambiamenti. Laddove i limiti etici e le differenze politiche vengono cancellati, tutto diventa sacrificabile, pur di mantenere la posizione di vertice. Ecco allora che si giunge ad una collocazione anfotera buona per tutte le tipologie di maggioranza. Se questo dovesse essere allora bisognerà dire che in quelle ipotizzate condotte illecite la politica non c’entra nulla, perché questa non può pagare lo scotto che non le appartiene e il tutto finisce per dipanarsi all’interno di un circuito affaristico che è potuto diventare tale proprio per le ambiguità politiche e per la perdita di qualsiasi qualificazione sia morale che ideale, tipica di chi non deve dar conto più a nessuno se non ai suoi mallevadori. Le dimissioni sono quindi non più un atto politico riparatore, un doveroso passo indietro per non ledere gli interessi della forza politica della quale si è espressione diretta. Si tratta tutto al più di una cautela personale per evitare che si possa considerare ancora valida, da parte degli inquirenti, la possibilità di reiterazione del reato ipotizzato a carico del soggetto inquisito. In parole povere che si possano decidere a carico della persona coinvolta i rigori degli arresti in carcere. Una legittima, quanto avvocatesca, decisione prudenziale per l’indagato ma che connota e qualifica diversamente il gesto del dimissionario. Questi agisce non per liberare le istituzioni e il partito di turno dall’imbarazzo di una situazione indecorosa quanto per liberare se stesso dal pericolo di maggiori rigori inerenti i provvedimenti di natura cautelare. La sensazione è che ancor altro dovrà avvenire!!
*già parlamentare