– di Francesca Nardi –
Aveva 15 anni e si è tolto la vita ieri, sparandosi un colpo di revolver in bocca. Leo viveva a Senigallia, ma avrebbe potuto essere uno dei tanti ragazzi che si incontrano ovunque, magari uno di quelli che frequentano un qualsiasi istituto scolastico di Caserta…uno di quelli che ti passano accanto con la testa china, frettolosi e la cui esistenza a malapena ti sfiora la mente…uno di quelli che non ricorderai di avere incontrato, prima che cedessero a quella sofferenza perversa ed intraducibile, di cui non hai mai avuto contezza. Leo era uno di quelli che ci sono passati accanto ed è morto l’altro giorno di bullismo… Sopraffatto dalla nostra disattenzione che godrà di infinite giustificazioni da quel colpo di revolver in poi, Leo era diventato uno di quei bersagli di cui, a quanto pare, necessitano con sempre maggiore frequenza, altri ragazzini della sua stessa età, alla cui invulnerabile aridità, troveremo un’altra infinità di giustificazioni…perché sarà attraverso la ostinata e contorta spiegazione a tutti i costi, del nulla, nella sua volutamente ignorata, orrenda corposità, che continueremo ad ingannare noi stessi, accompagnando il più vergognoso dei bluff, con quattro ritmici colpetti consolatori sulle nostre stesse spalle. Gli artefici di quella dimensione di tragico vuoto, in cui era precipitato Leo, erano tre ragazzini ai quali abbiamo persino fornito l’alibi della definizione: bulli, che si divertivano a tormentare Leo, torturandolo non soltanto, con lo sciocchezzaio verbale che avevano in dotazione, ma anche fisicamente, quando forti di numero, negli spogliatoi della palestra lo circondavano e lo colpivano. E dei tre gradassi, pensate…una era una femminuccia…una fragile eterea adolescente, nel cui cuoricino si individueranno mille ed una spiegazione a quel gesto e a quelle parole, che hanno contribuito a scavare il vuoto in cui Leo è precipitato… Al disgusto si aggiunge uno strano senso di repulsione, come se …il terzo elemento, essendo donna, diventasse, nell’immaginario che sembra ritrarsi e rattrappirsi per l’orrore, qualcosa di informe e maleodorante, qualcosa di abnorme. Leo aveva 15 anni e la disperazione in tutta la sua devastante completezza, lo aveva risucchiato come un’idrovora, senza scampo, senza via di fuga, senza appiglio alcuno, cui afferrarsi e magari lasciarvi brandelli di carne e di ossa ma… alla fine, sia pure lacerato e ferito, riuscire a salvarsi dal buio. La disperazione aveva ormai avvolto Leo, inevitabile sudario, dopo essere stata l’unico abbraccio possibile, l’unica dimostrazione di comprensione, muta e morbida come la pace… Eppure… Leo aveva tentato di comunicare, aveva comunicato il suo disagio e ci chiediamo per quale motivo, l’unica risposta sia stata soltanto una bieca, tremenda solitudine…e ci chiediamo se, anche dopo questa ennesima tragedia, così chiara ed uguale a se stessa, tanto da essere, semplicemente, orribile, faremo decollare nuovi convegni, nuovi tavoli di confronto, nuove prediche, nuove teorie “salvafuturo” per chi, grazie ai geniali esperti contemporanei, non sentirà nel tempo, neppure una fitta di rimorso, al ricordo di Leo e così via… con tutta quella serie di inutili e perniciosi rappezzi, quando sarebbe forse sufficiente, per evitare drammi come quello di oggi che, alla prima dimostrazione di infantile crudeltà, l’unica reazione fosse quella di un manrovescio secco e doloroso, seguito da un altrettanto secco ed imperioso monito cui far seguire, dopo il bruciore, una adeguata spiegazione comprensiva di tutte le emozioni possibili. Ci sarebbe stato tutto il tempo poi tra madre e figlio, tra genitore e adolescente di spiegare, dimostrare, conciliare ed educare nella giusta maniera l’istinto e le emozioni…sì… ci sarebbe stato tutto il tempo per sedare, lenir e rendere accettabile il bruciore della punizione…tutto quel tempo che Leo non avrà mai più…