di Mariantonietta Losanno
Essere scorretti va – e fa – bene: Anders Thomas Jensen sa come giocare sulle provocazioni senza strafare. Grottesco, surreale, antidogmatico (nonostante l’origine), Le mele di Adamo è una bella sorpresa in un panorama produttivo, quale quello scandinavo, che cominciava ad essere un po’ lezioso nella sua riproposizione di temi e forme vontrieriane. Il regista dosa gli elementi, non suggerendo riflessioni sui massimi sistemi che potrebbero essere delicate; su cosa, ad esempio, è o non è la fede, o il Male – nella sua banalità, di cui ha tanto parlato Hannah Arendt – e il Bene. Non si accanisce, né impone punti di vista o idee. Punta sull’inventiva, la stessa che lo ha aiutato a non “ingabbiarsi” all’interno di una categoria definita (anche se, forse, commedia nera è quella che si addice di più), mantenendo in vita la curiosità dello spettatore, agendo in direzione opposta rispetto alle aspettative. Oltre la Fede, poi, la Storia. In un mondo senza memoria (i neonazisti non sono forse individui fomentati da una società che della memoria corta fa un vanto?) Adam è il “primo” a cercare di cambiare. Sia pur in assenza di Eva, le mele restano una tentazione che, in quanto tale, va vinta per poter andar avanti. A fargli da spalla, poi, c’è Ivan, un pastore a suo modo “terribile” pronto all’estremo sacrificio pur di salvare le sue pecore.
Prendere alla sprovvista o prendere in giro? Anders Thomas Jensen non conosce bene la differenza tra i due concetti. E le parole sono importanti, così come le idee, alcune – forse – persino intoccabili, come la Fede. Scherzare (schernire?) può irritare lo spettatore che può non accettare le regole del gioco. L’ironia pungente si può trasformare in un cinismo fine a se stesso, espressione di un autocompiacimento. Cosa resta, allora, di fondo?
È tutta una questione di equilibrio (labile) tra ciò che può stupire e ciò che può innervosire. Il regista, poi, è “a suo agio” con le provocazioni: ha scritto, infatti, tre film Dogma, movimento cinematografico creato nel 1995 dai registi danesi Lars von Trier e Thomas Vinterberg, il cui manifesto sembrava voler indisporre a partire dal nome, Voto di castità. I personaggi de Le mele di Adamo sembrano essere stati caratterizzati con l’intento di ridicolarizzarne i tratti, come se fosse il principio di una barzelletta: un pastore, un nazista, un fondamentalista. La difficoltà di inquadrare il genere e di ricondurlo ad una specifica categoria, poi, rendono la fruizione della pellicola ancora più confusa e, per certi versi, persino scorretta. Una scorrettezza che viene proprio dall’incapacità di definire gli intenti e di portare avanti una riflessione che non ceda alla furbizia. È meglio che il Bene e il Male restino dove devono restare, senza metterli in discussione per un puro sfizio personale.