ROMA – La crisi della professione infermieristica, in Italia, negli ultimi anni ha raggiunto livelli allarmanti, come dimostrato dal drastico calo delle iscrizioni ai corsi di laurea.
Con un vertiginoso picco al ribasso di oltre il 50%, dal 2010 al 2024 siamo infatti passati dalla cifra di 46.281 a quella di 21.250, la situazione è particolarmente preoccupante, soprattutto nel Sud Italia, dove, nuovi dati alla mano forniteci dalle Università, si registrano le diminuzioni più significative rispetto al passato e dove il calo supera il 15%.
Al Nord, oltre alla crisi delle iscrizioni, si somma il problema del costo della vita che rende difficile, per molte famiglie, mantenere i figli nelle grandi città.
Il calo di iscrizioni è diffuso in tutte le regioni, con picchi particolarmente allarmanti nelle Marche (-17%), in Campania (-16%) e nelle piccole realtà come il Molise e l’Umbria, che vedono riduzioni superiori al 20%.
Il crollo generale di domande crea inoltre uno squilibrio tra posti disponibili e candidati, con il rischio di un deficit quantitativo e qualitativo nella formazione degli infermieri, oltre che il palese rischio, da qui ai prossimi 30 anni, che quello che oggi è un pericoloso dimezzamento delle iscrizioni si trasformi in un drammatico “numero zero”.
«Davvero la professione infermieristica, senza ricambi generazionali rischia di sparire? Non è certo una esagerazione, commenta Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, questo non è affatto catastrofismo, bensì si tratta di previsioni in linea con una regressione che, se non arginata con azioni mirate, ci condurrà verso un labirinto senza uscita.
Questa crisi ha radici profonde e complesse. La percezione di un lavoro poco gratificante, sia a livello economico che professionale, è uno dei fattori principali di una sanità allo sbando. Le condizioni di lavoro, tra turni estenuanti, salari insufficienti e crescenti episodi di violenza nei reparti, scoraggiano i giovani dal considerare la carriera infermieristica. A questo si aggiunge la crescente difficoltà a rendere la professione attraente anche in termini di opportunità di crescita e specializzazione.
Il problema non riguarda solo le lauree triennali, ma anche i percorsi magistrali, essenziali per formare figure specializzate e dirigenziali in un contesto sanitario sempre più complesso e segnato dall’invecchiamento della popolazione e dall’aumento delle patologie croniche.
Il calo del 10% delle iscrizioni alle lauree magistrali per infermieri è infatti un dato che deve condurci ad una ulteriore approfondita disamina, dice ancora De Palma.
Il rischio è quello di una vera e propria spaccatura, tra professioni evolute da una parte, che si contano sulle dita di una mano visti i numeri attuali, e che necessitano comunque di un inserimento graduale e mirato, e di una riorganizzazione del Sistema Salute alla radice, per avere la speranza di poter “crescere ed evolvere”, e un segmento sempre meno qualificato dall’altra, vedi la discutibile e paradossale scelta di creare un’assistente infermiere, un ibrido jolly che non è un professionista sanitario, per noi una scelta unicamente dettata dalle esigenze di tappare le falle e di cercare una pericolosa e tortuosa scorciatoia, con ulteriori gravi conseguenze sulla qualità dell’assistenza.
La mancanza di un ricambio generazionale rischia di portare la professione infermieristica verso un collasso, continua De Palma nella sua analisi. La carenza di personale, con oltre 220mila unità mancanti rispetto agli standard europei, è un segnale dell’estrema gravità della situazione.
L’alto tasso di abbandono volontario, con circa 8mila infermieri che lasciano il lavoro ogni anno, principalmente per cercare migliori opportunità all’estero, aggrava ulteriormente il problema.
Del resto i nostri professionisti sono stanchi e logorati, e sono arrivati ad un punto di non ritorno. Ce lo racconta la triste attualità quotidiana.
Più assunzioni, per una migliore distribuzione dei turni; aumento dei salari; meno difficoltà nel conciliare lavoro e vita privata. Sono solo alcune delle rivendicazioni dei nostri infermieri che appena ieri si sono ritrovati in un sit-in davanti all’ospedale San Martino di Oristano. E’ solo uno dei tanti casi italiani. La protesta è stata l’occasione per annunciare una mobilitazione nelle prossime settimane.
Oltre a uno stipendio tra i più bassi d’Europa, la professione soffre per le carenze del sistema sanitario e i continui tagli. I lavoratori sono costretti a turni massacranti, con colleghi che sanno quando inizieranno l’orario di lavoro ma non quando torneranno a casa. E una volta terminato il turno di servizio , subentra la paranoia, ovvero il terrore di aver fatto qualche errore o non aver potuto assistere in maniera ottimale i tanti, troppi pazienti a loro affidati.
Per affrontare questa crisi, afferma De Palma, occorre un ripensamento profondo del sistema sanitario, con investimenti significativi per migliorare le condizioni economiche e lavorative degli infermieri.
La richiesta di noi del Nursing Up al Governo, avanzata più volte pubblicamente, è quella di stanziare risorse aggiuntive per un totale di 653 milioni di euro, per aumentare le indennità di specificità infermieristica e migliorare le condizioni di lavoro di infermieri e professioni sanitarie ex legge 43/2006.
Inoltre abbiamo pianificato una manifestazione il 20 novembre prossimo, in collaborazione con alcuni sindacati dei medici, per far sentire la nostra voce e ottenere il riconoscimento del valore e dell’impatto del lavoro infermieristico nel Servizio Sanitario Nazionale.
La professione infermieristica in Italia sta attraversando un periodo critico e solo un intervento tempestivo e strutturato potrà evitare il tracollo, garantendo un futuro sostenibile per il sistema sanitario e per la professione stessa», conclude De Palma.