di Mariantonietta Losanno
C’è lo spazio aperto dei grandi orizzonti, del cielo, del mare e lo spazio chiuso e delimitato della casa, lo spazio dell’intimità, quello in cui la nostra esperienza trova la propria dimora, il “guscio” entro cui riparare e ritrovarsi. Il quartiere popolare Guadagna di Palermo è la cornice in cui si sviluppa la riflessione di Laura D’Angeli e Giusi Restifo.
Giusi Restifo – classe 1998 – nasce a Rocca di Caprileone (ME). Si diploma in Audio, video e Multimedia all’Accademia di Belle Arti di Palermo nel 2020. Nello stesso anno è assistente alla regia in La notte di Agostino il topo, diretto da Marco Battaglia e Umberto de Paola con Melino Imparato. Laura D’Angeli – classe 1995 – è nata e cresciuta a San Benedetto del Tronto. Ha studiato Lettere moderne a Bologna e Film and media studies presso l’Università di Copenaghen. Ha co-diretto il documentario Diciotto (2020). Ha lavorato come assistente alla programmazione per la Cineteca di Bologna e ha svolto un lavoro di ricerca d’archivio nel contesto della Biennale Cinema College ASAC di Venezia. Attualmente, studia regia documentaria presso il Centro Sperimentale di Cinematografia – Sede di Palermo e collabora con la rivista filmidee.
Come si cresce in un luogo in cui non si ha diritto a stabilità ma solo ad abitazioni provvisorie? Come è possibile stabilire un equilibrio tra quello che viene definito come “casa” e quello che viene identificato come “fuori”? Come coesistono – cioè – il nascondiglio e il mondo, l’interno e l’esterno, il concreto e l’astratto, questo e quello, il qui e l’altrove, il sé e gli altri?
Il Centro Arcobaleno ospita famiglie rom, bambini, migranti, persone agli arresti domiciliari. Ciro è la guida – il custode – di questo spazio; aiuta, cioè, Valentino e Gabriele – tra gli altri – ad immaginare (prima di poter creare) un futuro, un lavoro, una possibilità. «Da grande voglio fare il cantante», dice uno, «Ti sta bene», risponde l’altro. Come un vestito che si adatta perfettamente alle esigenze del corpo. Un corpo che, nel caso dei due fratelli, è ancora in cerca della sua voce. Il calcio aiuta a rafforzare un’idea di appartenenza – di casa – e insegna ad abitare gli spazi, ad individuare delle radici. La casa è tutto. È uno strumento di analisi, che fornisce – al contempo – raffigurazioni disperse e un corpus di immagini. Un punto di partenza, un primo mo(n)do dell’essere, uno spazio di memorie. Si può, però, avere realmente coscienza di questi concetti quando si è così piccoli, così incapaci di concepire il fluire delle cose? «Nei nostri occhi è l’acqua che sogna», dice Gaston Bachelard ne L’eau et les rêves (1942). E sono proprio l’acqua, la luce e gli spazi gli elementi essenziali della messa in scena delle due registe, una originaria di San Benedetto del Tronto, l’altra di Rocca di Caprileone. L’acqua, che rappresenta l’occhio con cui osserviamo: le immagini che guardiamo, cioè, sono anche quelle che ci guardano. Che ci correggono. Che ci avvisano che ogni errore è una mancanza di realizzazione.