CASERTA, AL BUIO E PRIGIONIERA DEL CALDO ROVENTE

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  d anna disegno piccolo 150x150 CASERTA, AL BUIO E PRIGIONIERA DEL CALDO ROVENTE 

  –   di Vincenzo D’Anna*   –                                                                   

«In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque». Così recita il primo libro della Genesi. Evidentemente il riferimento biblico alle acque si riferisce a quelle che alimentano…l’acquedotto Carolino che dalle falde del monte Taburno, nel Beneventano, arriva fin nel cuore della Reggia di Caserta!! Un’opera imponente, progettata dal grande architetto Luigi Vanvitelli, cui re Carlo di Borbone affidò, nel 1752, il compito di costruire una residenza reale che testimoniasse la grandezza e il potere del regno di Napoli. Scherzi a parte: non abbiamo ovviamente precisi riferimenti storici che collegano le fresche acque dalla cascata vanvitelliana e quelle del libro dei libri!! Tuttavia l’accostamento è venuto alla mente in questi giorni di calura africana per il semplice fatto che migliaia di Casertani sono improvvisamente diventati preda dell’afa asfissiante a causa del blocco di tutti gli impianti elettrici da cui dipendono i condizionatori. Il classico “black out” che ha condannato all’arsura centinaia e centinaia di famiglie in Terra di Lavoro. Scarni, tardivi e a dir poco insufficienti, in tal senso, i comunicati dell’Enel, l’ex ente di Stato nazionalizzato alla fine degli anni Sessanta dai primi governi di centrosinistra. Ma d’altronde, cos’altro attendersi da un carrozzone gestito, per decenni, da esponenti del partito socialista, considerato uno dei più capienti serbatoi clientelari con decine di migliaia di addetti al lavoro assunti per compiacere i vari politici di turno? Certo, parliamo di parecchio tempo fa. Perché, come tanti di quei mastodontici apparati, a distanza di anni, anche l’Enel si è tramutata in una società per azioni sia pure partecipata dal Ministero dell’Economia. Una privatizzazione fatta all’italiana, ossia riducendo i servizi non produttivi e il personale in esubero, senza però raggiungere quell’efficienza che pure ci si auspicava (fatto salvo l’aggancio al libero mercato per determinare le tariffe elettriche). Sia quel che sia, la storia dell’ente elettrico ci insegna che oggi il Belpaese acquista energia, a prezzi maggiorati, da società private d’Oltralpe, tra le quali spiccano quelle di Carlo De Benedetti, tessera “numero uno” del Pd di Veltroni in tasca e ben noto “bucaniere” della finanza, il quale continua a produrre elettricità con centrali a carbone nel silenzio dei “compagni di merenda” della sinistra verde fuori e rossa dentro. Soppresso, a mezzo dell’irresponsabile politica allarmistica fatta dagli ambientalisti nostrani, il nucleare, abbiamo per anni coltivato l’idea che un giorno non tanto lontano, avremmo raggiunto la sufficienza della produzione energetica con le cosiddette alternative “green”. Una pioggia di centinaia di milioni di incentivi si è infatti riversata su svariate aziende para-ambientaliste (guarda caso quasi tutte schierate con i verdi e la sinistra di governo) nel mentre si continuava a.…comprare energia dai paesi confinanti!! Energia, si badi bene, prodotta non solo nelle centrali a carbone di proprietà di Carlo De Benedetti, ma anche in quelle nucleari presenti non troppo lontano dai confini!! Assurdo, dire di  no al nucleare in casa, però poi acquistare energia prodotta dal nucleare appena  fuori casa. Qual è la conseguenza di queste scelte? Semplice: la produzione di beni come l’acciaio e l’alluminio che necessitano di alte quantità di energia elettrica per essere lavorati, è miseramente fallita e l’Italia ne paga ancora oggi le conseguenze economiche. Le paga nel Sulcis (alluminio) a Bagnoli, Terni e Taranto (per l’acciaio) con migliaia di posti di lavoro andati in fumo, perdite per milioni di euro ed aree industriali dismesse ed in preda all’abbandono. Ne consegue che la politica energetica nello Stivale è ancora deficitaria in termini di produzione rispetto alle reali necessità dell’utenza. Se nei pressi di Capua vanno in fiamme chilometri di cavi questo è dovuto al sovraccarico di richieste di energia ed alla vetustà delle opere elettriche accessorie. La Campania brilla per l’arretratezza della propria rete elettrica e questo fenomeno si accentua perché la siccità ha creato, nel sottosuolo, ove giacciono il cavidotto, un prosciugamento del terreno e quindi del fisiologico effetto refrigerante garantito dall’umidità. Quindi, per quanti siano gli sforzi degli addetti ai lavori (circa cinquecento persone all’opera) il problema resterà in futuro non risolvibile con i rappezzi e le soluzioni parziali applicati ai giorni nostri. Ai governi che si sono riempiti la bocca con la cosiddetta “transizione ecologica ed energetica”, agli enti locali (Regione e grandi Comuni) è mai venuto in mente di mettere mano al finanziamento di una nuova rete elettrica? Per strade, piazze, fontane, stadi, palestre, scuole ed asili (per lo più vuoti per carenza di nascite) tutti i soldi che vuoi, anche quelli del PNRR, pur di ingraziarsi i sindaci amici. Non da meno il governo pensa al Ponte sullo Stretto. A chi importa, invece, che la rete idrica della Puglia disperda il 60% dell’acqua e che quella elettrica della Campania sprizzi…scintille da tutti i pori, ricordando, per vetustà, i tempi biblici!? A nessuno!! Risultato: da Capua fino al confine con il Sannio, i cittadini sono costretti a soffrire la calura. Soffrono i vecchi, i malati ed i fragili costretti in case roventi!! C’è qualcuno che abbia inscenato una protesta, ventagli in mano e primi cittadini in testa? Nessuno, ma hai visto mai?

*già parlamentare

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