Anche coloro che hanno ricevuto un’educazione adeguata, devono continuamente re-interrogarsi circa questi significati per preparare e ri-esercitare la propria disponibilità operativa imparando a mantenere sempre le “giuste misure” senza mai eccedere in un senso come nell’altro, soprattutto senza mai scordarsi di stabilire prima di tutto un contatto empatico, con l’alunno disabile come con quello “normodotato”.
L’empatia è un modo per entrare in contatto con altre persone che per cercare di comprendere lo stato d’animo. In altre parole, l’empatia consiste nel trovare un modo per connettersi ed essere in grado di dire: “Voglio capire come ti senti questo e farti sapere che non sei solo” . Tuttavia l’empatia non è la stessa cosa della simpatia. Quando si è comprensivi, si potrebbe provare pena per gli studenti. “Essere empatici – sostiene, per esempio, Amanda Morin – non significa abbassare le aspettative, perché si può convalidare e provare empatia per gli studenti, mantenendoli allo stesso tempo a standard elevati. Nei momenti in cui ti connetti con gli studenti in modo empatico, puoi rafforzare la tua convinzione nella loro capacità di avere successo.” L’empatia potrebbe non riguardare il dispiacere, ma i sentimenti, risulta importante riconoscere le emozioni. È naturale essere frustrati o turbati. Anche quello che sta succedendo agli studenti ha un impatto emotivo sul docente. L’empatia dovrebbe essere un elemento imprescindibile per quanto concerne la persona disabile. Dentro la situazione della disabilità purtroppo gli errori operativi sono all’ordine del giorno (non solo nella prassi scolastica ma anche a livello istituzionale extrascolastico) dal momento che familiari, insegnanti ed operatori tendono a mettere in secondo piano la crescita della persona al fine di privilegiare l’incremento delle competenze; l’educazione empatica viene più volte posposta a tutto vantaggio dell’elemento prestazionale, il fatto drammatico consiste nel non rendersi conto di come il gioco del rimandare e del temporeggiare conduca alle soglie di un’età che vede tanti giochi disgraziatamente già conclusi, con la configurazione stabile di una personalità malamente formata. In sostanza, il “prendersi cura” viene sempre prima dell’istruire e per riuscire a “prendersi cura” è importante la “dimensione umana”. Il processo di socializzazione/integrazione che avviene a scuola costituisce la prima vera esperienza di inclusione sociale per il bambino, adolescente in seguito. Per questo, la società deve garantire a tutti gli alunni con o senza disabilità, la sicurezza dell’inserimento in un programma che possa dirsi idoneo, da realizzarsi in continuità (a scuola prima, altrove poi) ed eventualmente, a contatto con professionisti qualificati che curino soprattutto l’empatia. Attraverso i risultati ottenuti tramite l’empatia è possibile, per esempio, arrivare a conoscere il grado di inserimento di un alunno disabile nel gruppo-classe e rilevare se lo stesso alunno viva una situazione conflittuale di emarginazione e fattiva esclusione al di là di ciò che possano presentare le apparenze. Ugualmente l’utilizzo di tecniche come quella appena citata può dare luogo ad una concezione finalmente diversa in ordine all’agire dell’insegnante in classe; emerge la figura di un insegnante che non si limita alla trasmissione delle conoscenze disciplinari, ma l’azione si ‘espande’ verso altre dimensioni fondamentali dell’esistenza degli allievi. Per instaurare un clima di serenità in classe uno dei metodi più efficaci è l’uso dei neuroni specchio, ovvero quei neuroni responsabili del processo empatico. Dato dalla volontà di comprendere sia le parole che i sentimenti dell’interlocutore, l’ascolto empatico è una delle caratteristiche fondamentali dell’insegnante moderno, soprattutto del docente di sostegno. Esso infatti permette di dar vita alle tre componenti fondamentali della capacità empatica, ovvero l’empatia cognitiva (intuire quello che l’altra persona pensa e comprendere a fondo il suo punto di vista senza però badare particolarmente alle sue emozioni); l’empatia affettiva (vivere le stesse emozioni dell’altro); la preoccupazione empatica (autentica compassione e desiderio di prodigarsi per l’altro in modo da contribuire al suo benessere). L’empatia è dunque alla base della natura del cosiddetto “insegnate affettivo”: grazie alla capacità di immedesimarsi e comprendere le emozioni ed i sentimenti altrui in modo immediato ed istintivo anche senza far ricorso alla comunicazione verbale, l’empatia è un fondamento cruciale per rendere solide anche altre emozioni, come l’amore e l’amicizia ed è fondamento per il rispetto e la solidarietà. Per sviluppare un sentimento così interpersonale è necessario passare per un livello intrapersonale, più intimo, volto al la conoscenza del sé, delle proprie emozioni e capacità, che tenda a sviluppare quella competenza emotiva sociale basilare per riuscire a prendere consapevolezza dei sentimenti, delle esigenze e degli interessi altrui.
Verissimo!!!
Proprio qualche GG fa un’ insegnante di sostegno supplente con tono saccente dopo che io le dissi che non mi andava bene come si stesse lavorando mi ha risposto ” io sono l insegnante e faccio ciò che voglio” eh niente per fortuna è tornata la nostra meravigliosa insegnante dopo un mese di assenza ♥️
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