La collaborazione è alla base di ogni rapporto lavorativo, sociale, emotivo. Nella scuola ancor di più è una condizione necessaria tra insegnante di sostegno e insegnante titolare: il primo media la cultura dell’alunno disabile, il secondo bada ad integrare con il resto della classe verso il raggiungimento di una reale situazione di osmosi in mutualità. Occorre “insegnare” alla scuola come intervenire fruttuosamente, per questo è di fondamentale importanza arrivare a conferirle la necessaria “libertà di movimento”. C’è grande necessità di creare spazi entro cui coltivare dinamiche relazionali il più possibile aperte, tramite discussione, giochi, oltre che confronto inteso in senso generale. Capita spesso che l’alunno disabile si ritrovi in una situazione di pressoché completo isolamento, tutto si muove attorno a lui ma nessuno bada veramente ad implicarlo, spesso anche a causa di una eccessiva protezione che lo avviluppa. La parola collaborazione resta solo una parola ma di concreto non si attua alcun processo in classe o fuori. E’ questa una grave contraddizione in termini, giacché nessuno arriva a conoscere a fondo un comportamento o un contenuto, se non è lasciato libero di entrare nel merito e sperimentare il comportamento stesso, interagendo con gli altri e per questo la scuola deve influire anche sulla vita che avviene all’esterno delle proprie mura. Un insegnante che si trattiene in modo impermeabile rispetto a ciò che gli avviene attorno non potrà svolgere appieno il proprio mandato educativo, occorre senta un bisogno incessante di confronto con tutti gli altri interlocutori importanti: genitori, educatori extrascolastici, clinici, terapeuti etc. e si mostrerà sempre poco collaborativo. Se i punti di forza rimangono puntualmente disattesi, i conseguenti atteggiamenti educativi si mostrano in modo debole, contraddittorio, inefficace e che la socializzazione/inclusione della persona con disabilità, anziché attuarsi efficacemente, rimanga soltanto una vacua speranza, spesso invocata quanto rimandata sine die, senza che venga mai declinata nella pratica della vita quotidiana. C’è ancora la visione limitata di chi bandisce e giudica il disabile nella posizione di eterno “diverso”: spesso si parla di “diversità” del disabile in modo eufemistico, ma altrettanto spesso, specie tra le mura scolastiche, il disabile è vissuto davvero come “alieno” rispetto a tutto ciò che invece dovrebbe rappresentare la condizione di cosiddetta “normalità”. Ma la normalità esiste solo se ciascuna persona nel mondo della scuola facesse veramente la propria parte e se collaborasse nell’esclusivo interesse degli alunni disabili. Nessun uomo è “diverso” giacché tutti condividiamo le medesime istanze, gli stessi limiti, desideri ed organizzazione psichica di fondo. D’altro lato si sentono spesso dichiarazioni secondo cui “tutti siamo uguali”, ma anche questo nasconde presupposti di sicura ipocrisia ed è soprattutto, clamorosamente falso: individui che possiedono spiccate qualità di un certo tipo non possono dirsi “uguali” a chi invece non le possiede ne le può quindi sfruttare all’interno della società. Certamente le dichiarazioni di “uguaglianza” in questo senso non servono a livellare le differenze interpersonali che non possono affatto ne devono essere negate, ma sinceramente, ciò che deve essere proclamato è che tutti, in quanto viventi, possediamo gli stessi inalienabili diritti fondamentali. Questo ne deriva la necessità di cercare di vivere da persone autentiche, educatori ed insegnanti autentici, veri e senza veli, nel riconoscere la medesima autenticità anche a tutti coloro che si incontrano nel mondo della scuola, a maggior ragione quando si sia chiamati ad intessere una relazione di stampo educativo, si presenta la necessità da parte dell’adulto educatore o insegnante, di essere presenza, discreta ma concreta, disponibile, generosa, paziente. Presenza che fa una reale collaborazione perché di fatto la crea, ogni giorno per e con i ragazzi.
Professionalità insegnante significa certamente possedere non solo conoscenze in ordine ai contenuti della disciplina che si intende trasmettere, oltre che strategie didattiche adeguate, ma significa soprattutto essere costantemente consapevoli di quanto si è e si fa, si opera e delle giustificazioni che sospingono ad agire in un certo modo anziché in un altro.
La scuola dovrebbe esaltare i ponti di forza dei ragazzi e lavorare sui punti di debolezza. Esaltando i punti di forza di uno studente, non solo indurrebbe lo studente a lavorare meglio, ma ciò rappresenterebbe tanto, soprattutto per gli studenti fragili, i quali si sentirebbero più integrati nel gruppo classe.
Grazie mille di questo articolo, Dottoressa.
Mi auguro che ci siano sempre più insegnanti di sostegno che siano appassionati del proprio lavoro poiché hanno affidati dei gioielli molto delicati.
Sempre molto esaustiva.
Grazie Maria Rosaria
Cara amica mia hai ragione sotto tutti i punti di vista ma la realtà è ancora molto lontana dalla tua e dalla mia visione dell’inclusione e dell’educazione. Un abbraccio affettuoso.
La collaborazione tra tutte le figure professionali che ruotano intorno ai bambini e’ sempre fondamentale. Purtroppo non è facile trovare l’armonia e il confronto e molto spesso la chiusura da parte di alcuni professionisti compromette la realizzazione di un clima sereno e accogliente. Quando però si ha la possibilità di trovare disponibilità, professionalità, empatia e collaborazione i risultati sono soddisfacenti per tutti e vedere la gioia negli occhi dei bambini resta quello che di più bello ci sia ! Grazie dottoressa che con i suoi articoli tocca le reali difficoltà che si incontrano sia nell’ambiente familiare che in quello lavorativo.
Come sempre diretta e vera!!!
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