– di Vincenzo D’Anna* –
Imperversa la polemica politica sull’opportunità di consentire ai presidenti delle giunte regionali, I cosidetti, “governatori”, la possibilità di essere tali per un terzo mandato elettorale. In sintesi: di potersi candidare ed essere rieletti pur avendo ricoperto la carica già per due volte. Non è affare da poco, sia sotto il profilo politico sia sotto quello amministrativo, trattandosi di poter occupare, per la terza volta, un centro di potere di grande rilevanza gestionale e quindi di sfruttare tale incarico anche ai fini del successo della coalizione di partito che si apparenta col presidente uscente. La polemica ha, ineluttabilmente, trascinato nella querelle anche i costituzionalisti, ossia quegli studiosi che trattano la complessa materia giuridica legata alla piena e coerente applicazione della carta costituzionale, la madre di tutte le leggi e la fonte di tutte le prerogative civili e politiche di cui godono i cittadini del Belpaese. Senza addentrarci in disquisizioni di natura giuridica scarsamente comprensibili al comune lettore, tenteremo comunque di semplificare un po’ le cose. Secondo alcuni, ciò che è definito da una legge statale non necessita di ulteriori specifiche regolazioni regionali per essere applicato. Quindi il divieto al terzo mandato sarebbe immediatamente vincolante anche in quelle regioni i cui statuti abbiano optato per l’elezione a suffragio universale e diretto del presidente della Giunta.
Secondo altri, invece, il principio statale rimarrebbe improduttivo di effetti
finché non sia stato recepito dalla legislazione elettorale regionale, continuando in tale circostanza, ad applicarsi la disciplina statale preesistente, ossia quella che consentirebbe la possibilità del terzo mandato per i governatori. Ed è a questa seconda tesi interpretativa che si appella il presidente della Campania Vincenzo De Luca per rimanere al suo posto dopo due mandati. Come è tipico del “personaggio” costruito in collaborazione con Maurizio Crozza, il comico che lo imita in televisione, i toni con i quali lo “sceriffo” dà per scontata la tesi del terzo mandato sono categorici ed imperativi. Una sfida bella e propria, la sua, lanciata contro tutti coloro che, a qualsiasi titolo ed in qualsiasi veste, si sono pronunciati per la validità di quel limite. Il lessico, come tale, è colorito ed impietoso verso i contraddittori secondo l’abituale cliché espositivo dell’inquilino di palazzo Santa Lucia, il quale non mostra dubbio alcuno sulla questione. Anzi ne fa argomento di sfida anche verso le istituzioni parlamentari e governative che intendono far valere il divieto. Tra queste spicca finanche la commissione parlamentare che ha bocciato a larghissima maggioranza l’emendamento presentato dalla Lega di Salvini confermativo per la terza rielezione dei presidenti di Regione. Ma chi indossa i panni del rivoluzionario, del politico intemerato, del fine dicitore di improperi verso il capo del governo, è quello del suo stesso partito (ammesso che De Luca abbia un partito!!) di appartenenza, che poco si cura delle decisioni parlamentari, non potendo coltivare il bene del dubbio che è caratteristica degli intelligenti e dei tolleranti. Un vecchio aforisma recita che “i cretini non sono coloro che non hanno idee ma quelli che credono indefettibili tutte le idee che hanno”. Se questo si attagli al governatore della Campania non ci interessa. Ci interessa invece capire fin dove egli spinga la protervia che il personaggio gli obbliga di sfoggiare secondo il copione del “guerriero” che non teme scontri. Tuttavia la questione va sviscerata e certamente dovrà essere valutata nelle sedi giurisdizionali (i tribunali) competenti e nella stessa corte costituzionale che, in verità, già ebbe ad esprimersi sul tema. La suprema Corte aveva infatti emesso un giudizio, a suo tempo, in altra materia (edilizia) che molti ritenevano ondivago, oppure poco chiaro. In tal caso era stato stabilito che leggi nazionali potevano trovare applicazione, ancorché non ci fosse stato un recepimento delle medesime leggi da parte delle Regioni, in materie assegnate dallo Stato alle Regioni stesse, in virtù della modifica del titolo V della Costituzione. In parole povere le leggi nazionali sarebbero vigenti anche nelle materie assegnate agli enti locali. Insomma: uno scontro in punto di diritto tra l’autonomia concessa alle Regioni su determinate materie e la potestà di intervento dello Stato sulle materie stesse. Per dirla brevemente: il delegante (lo Stato) non perde le proprie prerogative innanzi al delegato (la regione). Altri invece ritengono che l’autonomia concessa contempli che le Regioni debbano ratificare le leggi statali sulle materie delegate. Di tutto questo poco si cura il governatore campano, che punta a creare il caso ed il caos politico, rinforzando l’immagine di risoluta determinazione del proprio agire. Insomma se debba prevalere l’indirizzo del Parlamento e dunque dello Stato oppure le bizzose volontà di un novello Dioscuro, nativo di Ruvo del Monte.