di Mariantonietta Losanno
La giovane Marion sottrae quarantamila dollari alla ditta presso la quale lavora, a Phoenix, Arizona, e scappa a San Francisco, dove conta di riunirsi al suo amante Sam, che esita a divorziare dalla moglie ricca. Per strada, sotto la pioggia, si ferma in un motel deserto; un giovane l’accoglie, e mostra evidenti segni di disturbi psichici. Marion sente la voce autoritaria della madre del giovane, e poco dopo viene accoltellata sotto la doccia. Accorre spaventato il giovane – Norman – e fa sparire il corpo. A Phoenix Lila, la sorella di Marion, mette in allarme Sam, mentre sta già indagando un detective incaricato di rintracciare i quarantamila dollari. Si verrà a scoprire che, in realtà, la madre di Norman è morta dieci anni prima: chi è l’assassino e a chi appartiene la voce autoritaria della donna?
L’impatto con il cinema di Hitchcock provoca immediatamente lo scatenarsi di un “corto-circuito” dal momento in cui l’immagine, pur dichiarando di non appartenere alla realtà, ci si avvicina pericolosamente dilatando nello stesso tempo lo spazio dei temi proposti dal suo essere cinema: i temi della finzione, del doppio cinematografico, della costruzione di intrighi, ecc. Il primo rapporto che si instaura, allora, è quello relativo ad un “gioco”, perché solo il perdersi in un labirinto di migliaia fotogrammi soddisferà il piacere di una completa adesione. Bisogna accettare di lasciarsi invadere dal potere delle immagini. Immagini d’amore, come quella del lunghissimo bacio tra Alicia Hubermann e Devlin in “Notorious” (1946); e di morte, come quella straziante di Marion Crane sotto la doccia di “Psyco”; di paura come quella di Melania Daniels assediata dagli uccelli; di infinita tristezza nello sguardo di Emmanuel Balestrero rivolge alla moglie dopo che la sua innocenza è stata riconosciuta (“Il ladro”, 1956) o di curiosità in L.B. Jefferies ne “La finestra sul cortile” (1954). Tutto è perfettamente calibrato: gli intrighi nella loro sintesi di mistero, amore, odio, morte e inseguimenti; gli scenari utilizzati e la macchina da presa oculata ed esperta che non si concede nessuna sbavatura; il montaggio rigoroso è perfettamente funzionale alla narrazione. Il cinema di Hitchcock realizza, dunque, l’idea del cinema come messa in scena e spettacolo attuando modalità che non concedono nulla all’estemporaneo e al gratuito: non è mai stato girato un solo piano che fosse superfluo. Anche il più “insignificante”, in fin dei conti, serve sempre all’intrigo. La messa in scena costituisce il luogo privilegiato in cui Hitchcock realizza la propria riflessione e nello stesso tempo si offre come oggetto della riflessione stessa, venendo ad assumere un duplice ruolo.
La cosa paradossale è che di solito gli spettatori pretendono dal cinema di vedere cose straordinarie. Invece Hitchcock, affinché il pubblico apprezzi l’anormalità nel suo pieno valore, la mostra nel suo più completo realismo. È più importante ottenere una “vera” suspense. Ogni certezza si nega generando il dubbio, l’imprevisto, il mistero, mentre il paradosso impone la sua logica. Dietro il volto di Norman si cela un dramma psicologico e Marion svela il gioco delle finzioni perdendo la propria vita. Il disordine dell’imprevisto sconvolge gli schemi della struttura consueta: chiunque può trasformarsi in un qualcosa di irriconoscibile, in un alter ego inimmaginato, o può impazzire vivendo la paranoia del senso di colpa. Se non esiste pace per chi entra nell’universo hitchcockiano, il passaggio metodico, all’interno del racconto, da sequenze di armonia a sequenze di disarmonia, è quello che segna lo scatenarsi del dubbio e della paura. La suspense è il modo più persuasivo per investire lo spettatore, per vincere le sue certezze, per dominarlo: il pubblico viene inserito nell’azione, partecipando così al film. “Psyco” è un capolavoro in pieno stile Hitchcock, è un viaggio nei meandri della psiche, tra alienazione, sconforto e solitudine.
Anthony Perkins (Norman Bates) ha realizzato l’interpretazione migliore di tutta la vita: il suo personaggio timido e impacciato nasconde uno psicopatico ossessivo e con disturbi di personalità. Hitchcock non passerà mai. Nonostante gli anni, i nuovi strumenti e le nuove tecnologie, le sue pellicole resteranno sempre impresse nella mente. Norman Bates è la follia, la perdita di lucidità, la paranoia assoluta: tutti questi aspetti ci vengono spiegati proprio da uno psichiatra che, alla fine del film, spiega i motivi dei suoi comportamenti e lascia un’impronta ancora più forte, di stampo psicoanalitico. Hitchcock non offre molte strade: arrendersi e misurarsi con la propria “vigliaccheria” o accettare il rischio fino in fondo e vivere personalmente ogni avventura al limite della perdizione.