Il “modello sociale della disabilità” (social model of disability) è uno strumento della ricerca che comprende la disabilità come risultato di fattori sociali: la base concettuale è la distinzione tra “menomazione” (condizione fisica dell’individuo) e “disa-bilità” imposta dalla collettività. Il Centre for Disability Studies della Università di Leeds in Gran Bretagna usufruisce e divulga il modello sociale della disabilità.
Nonostante l’espressione “modello sociale di disabilità” sia entrata per la prima volta nel campo politico e sociale nel 1981, le sue basi teoriche sono sicuramente radicate nelle scuotimenti politiche della metà del XX secolo e nella politicizzazione della disabilità da parte di scrittori disabili e di propagandisti nei primi anni ’60. Spesso citato come “la grande idea” del movimento delle persone con disabilità, il pensiero ispirato al modello sociale della disabilità ha giocato un ruolo importantissimo nel coinvolgimento dell’attivismo dei disabili e, più recentemente, nello sviluppo politico nel Regno Unito e in svariati paesi nel mondo. Ad ogni modo, nonostante l’apparente successo, esiste ancora un diffuso equivoco su cosa sia effettivamente il modello sociale e su cosa rappresenti. In questo articolo provo a chiarire alcuni aspetti: in primis per capire il significato degli effetti del pensiero ispirato al modello sociale, è importante ricordare che fino a poco tempo fa, la disabilità veniva considerata quasi esclusivamente come un problema medico del singolo individuo o come una “tragedia personale”. Nonostante sia dimostrato, sotto l’aspetto antropologico, che la risposta della società alle persone con menomazioni o con problemi di salute di lungo periodo, muta radialmente a seconda del tempo, della cultura e dei luoghi, questo è il punto di vista che ha dominato la società occidentale almeno dal XVIII secolo. In conseguenza di ciò le persone con disabilità sono state, nel tempo, tenute a distanza dai “normali” o “persone ordinarie”, perché ponevano apertamente in discussione valori unanimemente accettati, quali “sfortunato, inutile, diverso, oppresso e malato”.
Il metodo clinico personalistico alla disabilità è comunemente associato con la “Classificazione Internazionale di Menomazioni, Disabilità ed Handicap” (“International Classification of Impairment, Disability and Handi-cap”, di seguito ICIDH) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La ICIDH venne sviluppata negli anni ‘70 da un gruppo di sociologi coordinati da Philip Wood. L’ intenzione era quella di spiegare alcune idee e la terminologia che venivano usati in riferimento alla disabilità, al fine di semplificare lo studio e le scelte politiche in quest’area di fiorente importanza. In conseguenza dei danni della seconda guerra mondiale molti Stati avevano prodotto politiche assistenziali per persone “malate ed invalide”, ma in ragione della crescente prosperità e dei progressi della medicina, il numero delle persone con disabilità era cresciuto in misura essenziale. Per tale motivo, la necessità di una ricerca che fosse accurata e che producesse risultati confrontabili, si è intensificata sia a livello nazionale che internazionale. Concepita quale supplemento della già esistente “Classificazione Internazionale delle Malattie” dell’OMS, la Classificazione Internazionale di Menomazioni, Disabilità ed Handicap propone una distinzione tripartita tra Menomazione, Disabilità, e Handicap che oggi hanno lasciato spazio a nuove terminologie come diversamente abile e persona con abilità differenti o bisogni specifici.
Argomento molto interessante spiegato con minuziosa precisione.
Grazie dottoressa per il tuo proficuo impegno.
Articolo analitico e chiaro.
Grazie mille
Argomentazioni espresse, come sempre del resto,con dovizia e precisione di particolari.
Riesci ad aprire nuovi orizzonti con ampliamento delle prospettive.
Ad maiora semper
Dottoressa, come sempre, ha trattato un argomento molto importante in maniera esaustiva. Complimenti e grazie.
Articolo interessante come sempre illuminante. Grazie dottoressa
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