di Mariantonietta Losanno
Una bambina racconta: “La mia storia comincia alla vigilia della migrazione della mia famiglia al Nord. Comincia prima della mia nascita”. Le sue parole risuonano mentre si iniziano ad immaginare volti e forme. Daughters of the Dust(disponibile sulla piattaforma Mubi) è, infatti, prima di tutto un film in cui è essenziale sentire. Appartenere, aggrapparsi, stringere. È tangibile – e per certi versi doloroso – il legame con la propria terra, ed è forte l’idea che siano le radici a dare una definizione di noi stessi, senza le quali non sapremmo più come riconoscerci.
La storia è quella di una famiglia afroamericana gullah che, agli inizi del Novecento, abbandona l’isola natia per iniziare una nuova vita negli Stati Uniti, con la paura di perdere la propria cultura. E così che, allora, inizia una sorta di processo di resistenza per tenere salde le proprie radici, per evitare che si possano sfaldare. Come affrontare questo processo, andando incontro al rischio che nel passaggio da un luogo ad un altro si possano perdere delle parti essenziali non solo di sé ma anche dei propri antenati? Venendo guidati dalle anime antiche, depositarie della cultura e dei valori da preservare e trasportare. Invocando, quindi, “forze maggiori” che possano aiutare ad affrontare il viaggio e l’abbandono. Julie Dash, produttrice cinematografica statunitense, autrice e membro di L.A. Rebellion, con il suo primo film da regista su una donna Afro-Americana, prende per mano lo spettatore accompagnandolo e fornendogli dei punti di riferimento. Le cose che hanno il potere di preservare ricordi e tradizioni sono solo e soltanto il rispetto e la protezione: rispetto per la famiglia e i propri antenati e protezione di coloro che amiamo. In questo modo, i colori e le forme del passato rimangono nitidi e si mantengono in vita il legame e la connessione tra coloro che vanno e coloro che rimangono. Quasi come se diventassero un unico corpo, un collegamento tra il prima e l’ora, tra il passato e la storia del futuro.
“Mi presero per mano anime”, non nuvole. Daughters of the Dust (Mubi) è un atto di fiducia, una promessa da fare a se stessi e ai propri familiari. Bisogna continuare a muoversi, affinché tutto cambi, ma ricordando e rievocando, onorando le anime antiche che possono guidare il nostro viaggio da un mondo all’altro. Lasciando dei segni sulla terra che possano essere riconoscibili in eterno. Spostarsi, così, può voler dire anche trovarsi in un altro luogo da cui è possibile osservare la propria famiglia, proteggendola ancora e per sempre. “Invoca gli antichi africani, giungeranno da te quando meno te lo aspetti. Il loro abbraccio sarà lieve e soffice, come un vento caldo e dolce. Lascia che le anime antiche ti entrino nel cuore, che ti accarezzino con le mani del tempo”: Julie Dash parla attraverso i suoi personaggi, infondendo loro coraggio e infondendolo anche allo spettatore, che lotta insieme ad un popolo che non può morire. Devono essere le memorie a mantenerlo vivo: bisogna pronunciare i nomi, ascoltarli, riconoscersi.
Daughters of the Dust è un’azione di responsabilità, una lotta, una speranza. In qualunque posto ci si ritrovi – obbligati o meno a starci – è essenziale portare con sé tutto quello che ci ha guidato, ispirato e protetto. Senza mai dire addio.