– di Vincenzo D’Anna* –
Un popolo che non conosce il proprio passato, non ha alcun futuro. Una nazione dove la scuola non insegna più nulla, a cominciare dalla Storia, votata com’è all’accoglienza ed alla parificazione sociale più che alla didattica, è necessariamente abitata da un popolo di contemporanei che non hanno né ascendenti né discenti. E’ questo il triste retaggio culturale dei tempi che corrono nel Belpaese, sorte peraltro comune anche a molte altri Stati europei. L’Occidente è ormai popolato da cittadini ignari ed ignavi, votati all’arrendevolezza caratteriale conseguente ad uno stile di vita comodo ed opulento, cinici quanto basta, edonisti e narcisisti anche oltre. Eppure, a furia di essere dimenticata ed inascoltata, la Storia si ripete, soprattutto nelle tragedie, e per quanto abbiano fatto il progresso tecnologico e merceologico e l’avanzare della scienza in ogni campo dello scibile umano, l’umanità per certi versi è ancora vittima di tragiche pulsioni, somigliando tremendamente, a quella che combatteva con le fionde e con le clave. Certo i governi occidentali, più di altri hanno raggiunto un sufficiente grado di civiltà che ha allontanato la guerra dai contesti europei ove prevale la diplomazia sulle armi. Peraltro questi ultimi si danno da fare per aiutare e schierarsi contro i violenti e gli aggressori soccorrendo in vario modo le vittime, come accaduto con l’Ucraina invasa dall’esercito di Putin e condannando apertamente il massacro che Hamas ha proditoriamente e premeditatamente compiuto in terra d’Israele. Manca però all’appello il popolo, la gran parte della comunità civile, in particolare i giovani, quelli, cioè, che hanno ereditato, senza merito alcuno, pace, libertà, diritti civili, benessere e progresso. Insomma, per dirla con altre parole, l’opinione pubblica appare piuttosto distante dalle passioni in difesa dei valori che connotano gli Stati nei quali vive agiatamente, estranea e disincantata per poter prendere parte alla difesa dei valori distintivi dell’Occidente. Tanto apatici da pensare che la conquista di condizioni di civiltà, tolleranza e benessere sia caduta dal cielo, non conquistata con il sangue versato in ben due conflitti mondiali. Eppure questi ultimi, nel secolo scorso, si sono combattuti, dal 1914 al 1918, contro l’assolutismo degli imperi centrali (austro-ungarico e prussiano), e dal 1939 al 1945, contro le dittature (militarismo giapponese, nazismo e fascismo). Di quelle immani tragedie sono rimasti i documenti e le pagine, sbiadite ed ignorate, della storia patria, che non suscitano né emozioni né particolare apprezzamento negli animi delle generazioni che sono venute in seguito. L’oblio e la mancata conoscenza della Storia del cosiddetto “secolo breve”, sono arrivati a cancellare finanche le ragioni ed i torti dei contendenti fino a sfociare in una comoda retorica pacifista, come se i milioni di caduti di quelle guerre avessero immolato le loro vite per futili motivi e senza alcuna ragione meritevole di apprezzamento. E’ diffusa pertanto l’idea che non siano esistiti motivazione etiche, ragioni o torti, in quei tragici eventi e che tutto in fondo si possa ottenere sventolando una bandiera arcobaleno, recitando il mantra degli slogan dietro ad un corteo. Qualunquismo a basso costo che coltiva il retro pensiero che nessuno debba mai sacrificarsi per alcun ideale, che i tiranni si possano ammansire con le parole a patto che tutti restino, comodamente, con le loro comodità di vita: la pancia piena ed i piedi al caldo. Un esempio classico lo abbiamo ritrovato nell’indagine svolta recentemente presso i giovani studenti allorquando Putin ha attaccato proditoriamente Kiev. La grande maggioranza degli interpellati ha risposto che nel caso in cui una simile tragedia fosse toccata all’Italia, essi non avrebbero alzato un dito per difenderla!! Risposte scellerate, indotte sia dall’ignoranza della Storia sia dall’imbecillità, nel senso etimologico del termine. La pace è certo migliore della guerra e la diplomazia è sempre da preferire alle armi, ma questo assunto assiomatico non è un comodo riparo per l’assenza dell’amor di Patria ed il disimpegno acritico di chi professa quella comoda posizione. Allora celebrare la ricorrenza del “4 novembre”, l’unità della nazione, le forze armate che la difendono, ha significato anche rispettare l’identità etnica e culturale ed i principi fondativi attraverso i quali si è sviluppata e ancora si sviluppa la vita civile di tutti noi. Onorare coloro che si sono immolati, nel momento estremo del pericolo, per garantire queste prerogative non è solo doveroso e commemorativo, ma contempla il rispetto di quello che siamo oggi come comunità nazionale e l’identità stessa del nostro essere italiani. Ci furono ragazzi che, appena 18enni, furono chiamati a fare argine sul Piave per salvare la nostra gente e le nostre terre dall’invasore. Non ebbero altra scelta ed obbedirono. Molti non tornarono più a casa: onoriamoli. Senza se e senza ma.