ROMA – Abbandonati a se stessi, troppo spesso vittime di disorganizzazione e carenze strutturali che trasformano la loro attività quotidiana di professionisti dell’assistenza in un vero e proprio incubo, in un inferno.
Non è affatto una esagerazione: l’angusta e dimenticata realtà degli infermieri nelle sovraffollatissime carceri italiane rappresenta non solo una priorità da denunciare e raccontare alla collettività, ma soprattutto si sta trasformando in un pericoloso contesto di abusi e violenze che forse ci sono sempre state, ma che ora numeri allarmanti fanno salire alla ribalta.
Il grido di aiuto dei professionisti della salute, impegnati nella presa in carico di un numero decisamente spropositato di detenuti, all’interno di carceri dove di notte un solo infermiere può anche arrivare a dover assistere ben 600 reclusi, ci arriva innanzitutto attraverso preoccupanti fatti di cronaca che abbiamo provato a mettere insieme e che compongono un vero e proprio mosaico dell’orrore.
Ebbene sì, perché senza nessuna distinzione geografica, con le situazioni peggiori in Lombardia, Campania, Puglia e Toscana, attraverso un nostro recente report e con il supporto dei cronisti locali, possiamo contare, solo dallo scorso luglio a oggi, ben 8 gravissime aggressioni fisiche consumate ai danni di infermieri e infermiere, di cui ben 3 perpetrate contro donne indifese.
«La contemporanea drammatica carenza di personale di polizia penitenziaria, esordisce Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, non fa che aggravare la situazione.
Foggia, Bari, Salerno, Avellino, Vibo Valentia, La Spezia, Firenze, Ascoli Piceno: vere e proprie “realtà da terzo mondo”, non c’è dubbio, dove addirittura, in alcuni casi, mancano veri e propri reparti di infermeria, scarseggiano i farmaci e le attrezzature sanitarie e, come accade ad esempio a Bari, sono le vecchie celle ad essere state adattate a luogo di cura.
I numeri, come dicevamo, sono allarmanti: in Campania per una popolazione carceraria di 6471 detenuti abbiamo meno di 200 infermieri, che devono lavorare tra tossicodipendente, casi di profondi disagi psichiatrici e soggetti aggressivi e autolesionisti (in costante aumento sono i tentativi di suicidio).
La situazione non è certo più rosea in Lombardia, dove solo nelle quattro carceri dell’area metropolitana di Milano si contano 3.726 detenuti, a fronte di un solo operatore sanitario, di notte, ogni 600 reclusi (1 ogni 200 negli orari diurni).
La cosa peggiore, ed è doveroso raccontarlo, è che solo da questa estate a oggi abbiamo fatto registrare, e parliamo dei casi denunciati perché non escludiamo il sommerso, la triste vicenda di ben tre infermiere.
Una a Foggia, nel carcere di San Marco in Lamis, lo scorso 16 ottobre, un’altra a Sollicciano, Firenze, lo scorso luglio, un’altra ancora a La Spezia, sempre questa estate, poco prima, ad agosto: ebbene la prima è stata brutalmente presa a pugni mentre tentava di somministrare un farmaco ad un paziente esagitato, la seconda addirittura sarebbe stata oggetto di pesanti attenzioni, rischiano di subire una violenza sessuale, l’altra ancora in Liguria è stata salvata da un agente penitenziario mentre un detenuto provava a strangolarla.
Fino a qualche anno fa, continua De Palma, erano gli infermieri neo laureati al primo incarico ad accettare il difficile lavoro nelle carceri.
Oggi, che più che mai i nostri giovani sono ambitissimi nelle strutture della sanità pubblica e privata, vista anche la carenza di personale, e sono davvero pochi coloro che hanno il coraggio di accettare di ricoprire un ruolo così delicato, laddove mancano strumenti, tutela, e dove una donna prima che una professionista, finisce tristemente e drammaticamente alla mercé di soggetti fuori controllo.
L’infermiere presente all’interno delle carceri opera tra la gestione della sicurezza e il diritto della salute, spesso con elevata complessità assistenziale, in un setting difficile, dove a prescindere dal reato commesso, è fondamentale la presa in carico del paziente.
Si è erroneamente portati a pensare che il ruolo dell’infermiere all’interno delle carceri sia limitato alla mera esecuzione di procedure e interventi standard. Le competenze dell’infermiere sono anche di natura intellettuale, oltre che tecniche avanzate, soprattutto relazionale e di educazione sanitaria, così come recita il profilo professionale D.M. 739/94: “l’assistenza……di natura tecnica, relazionale ed educativa”.
La sfera relazionale è spesso costituita da incontri, scambi, e confronti che l’infermiere intrattiene con la persona bisognosa di cure e la sua famiglia, e richiama la vera essenza e la peculiarità della professione infermieristica che andrebbe, in ogni luogo dove c’è un infermiere, valorizzata, difesa, tutelata con piani mirati che ad oggi sembrano totalmente assenti.
Perché certo, l’infermiere con il massimo impegno e le sue competenze è uno degli attori principali in tema di diritto alla salute dei detenuti, che va garantito, qualunque sia il reato commesso, soprattutto se si tratta di soggetti difficili con patologie psico-fisiche serie.
Ma chi protegge oggi i nostri infermieri e le nostre infermiere?. Tentativi di strangolamento e di violenza sessuale solo negli ultimi 4 mesi! Cosa altro deve accadere?», chiosa De Palma.