di Mariantonietta Losanno
L’amore e le sue sfumature. E le sue conseguenze. Quante forme – più o meno convenzionali – esistono di un sentimento? Zaira Carmona, in Girlfriends and Girlfriends (titolo originale La amiga de mi amiga) le indaga partendo dai legami di amicizia, che si trasformano – adattandosi alle varie circostanze – in rapporti di competizione, di formazione, di realizzazione.
La pellicola (disponibile su Mubi) è – manifestamente – un omaggio a Éric Rohmer; anzi, all’inizio, sarebbe dovuto essere un adattamento de L’ami de mon amie (1987). «I suoi personaggi femminili sono brutali, come se vivessero un’eterna pubertà», ha raccontato la regista, riferendosi al suo modello, in un’intervista per Cineuropa. Girlfriends and Girlfriends racconta, infatti, le dinamiche relazionali di un gruppo di amiche nell’ambiente queer di Barcellona. Un triangolo amoroso diventa facilmente un quadrilatero, prescindendo – in parte – dall’intento di indagare la componente sessuale e soffermandosi (anche) sugli sguardi che cambiano in poche settimane, sulle mancate telefonate che creano meccanismi morbosi di attaccamento, sulle prese di coscienza consapevoli ed inconsapevoli, sui tentativi di trovare una definizione di sé (soprattutto) attraverso le relazioni che si instaurano. Viene, quindi, dato spazio a temi temi impegnati e a grandi – necessarie (!) – banalità. Si insiste sul valore della terapia per comprendere le diverse maniere di amare e di amore, sdoganando l’idea (qualora fosse ancora necessario) che non c’è azione (nella pellicola si parla, in realtà, di fallimento) che ammetta giudizio da parte del terapeuta. Si riflette sul ruolo di un parere esterno – non necessariamente di un professionista – che può chiarire alcuni aspetti (legati a “colpe” e “meriti”) ri-elaborati male.
«Forse è colpa mia: non so amare», dice Zaida Carmona, che è protagonista, regista e co-sceneggiatrice (insieme al regista Marc Ferrer) della pellicola, suggerendo una riflessione su quanto i sentimenti vengano (spesso) confusi e distorti. Sarebbe più corretto, forse, riformulare la frase: «So amare più dell’attaccamento, della paura della solitudine e dell’abitudine». Perché è questo il punto cruciale del racconto, ossia la difficoltà di ammettere di essere dipendenti (a partire dal rapporto con i social network, che vengono mostrati nel loro reale utilizzo odierno) dal proprio partner, al punto da diventare miopi di fronte ai loro bisogni concreti. Non appena Lara, una delle protagoniste dei diversi legami liquidi (quelli raccontati dal sociologo Bauman), esprime il suo bisogno di voler stare da sola, Zaida non l’ascolta, preoccupata per se stessa e per la sua incapacità di gestire il distacco.
Le opere di Rohmer scandiscono il racconto (Le beau mariage, Les nuits de la pleine lune, Le Rayon vert), e la regista – oltre a rendergli omaggio – riprende la sua cifra stilistica, attraversando le mutazioni e le contraddittorietà dei personaggi, facendo attenzione ai luoghi asettici e minimalisti, così come agli ambienti caotici e interattivi. Lasciando libero sfogo alle disquisizioni personali – spesso irragionevoli – agli slanci e alle illusioni. Non si avverte formalità in Girlfriends and Girlfriends (disponibile sulla piattaforma Mubi), opera rivolta – sempre – all’analisi interiore. Alla conoscenza di sé, seppur dolorosa. «Gli amici dei miei amici sono miei amici»: questo è il proverbio da cui parte Rohmer nel suo L’ami de mon amie, introducendo una riflessione sulla complessità dei legami sentimentali, su quanto spesso siano effimeri, illusori, idealizzati. L’unica – ed incontrovertibile – verità è che nulla di ciò che si dà si perde.