“MUR MURS”, AGNÈS VARDA: SOGNI COLLETTIVI DI UNA VISIONE PERSONALE 

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di Mariantonietta Losanno

%name “MUR MURS”, AGNÈS VARDA: SOGNI COLLETTIVI DI UNA VISIONE PERSONALE Muri vivi, che respirano, che parlano, che mormorano. Che raccontano la storia di una città e della sua gente. Che abbelliscono, protestano, piangono, ascoltano. Agnès Varda non solo osserva – e commenta – ogni cosa dalla più piccola alla più grande. Fa sì anche che tutto diventi enorme e poi si rimpicciolisca. Non per forza considerando come conseguenza immediata la diminuzione di volume. I “suoi” (perché è una delle sue abilità appropriarsi di quello che osserva) muri possono raggiungere dimensioni elevate e poi ridursi, non per poi ridursi. Si può trovare il proprio posto tra il “molto grande” e il “molto piccolo”, stando anche al centro dei due estremi, o al limite di uno o dell’altro.

Muri, dipinti o sogni collettivi di una visione personale. Alla portata di tutti (come una specie di lingua volgare visiva) e per tutti; opere che rallentano il tempo, processano la realtà mantenendone viva la complessità. Opere che sanno sintetizzare senza sintetizzare, interpretare senza interpretare, assemblare onirico e irrazionale. Un’arte potente, che lascia spazio, che non si adagia mai troppo nel suo involucro di significato; un’arte costruita da persone che decidono di portare il proprio lavoro alla gente e non in un museo, che danno prova di “esistere” firmando ciò che è loro. Agnès Varda indaga dimostrando (ancora e sempre) di volersi mettere in scena, avvicinandosi e toccando personaggi, storie e paesaggi; cercando una bellezza “semplice” perché trovata – o ri-trovata, a seconda dei casi – senza intellettualismi, ma con la sola (!) passione per la scoperta dell’altro. Anche lo spettatore, allora, “entra nel muro” e ne diventa parte per sempre. Facendolo, accetta che quest’arte cambi (con il tempo i murales sbiadiscono o persino si cancellano) e che assuma un’altra forma. Accetta anche che quest’arte veneri la realtà dissacrandola. La natura effimera dei murales, infatti, si unisce alla loro capacità di preservare la memoria attraverso le immagini e di creare un’intimità che non esige necessariamente un’identificazione psicologica. Ne viene fuori uno stile “assoluto”, vivo, incontaminato da altre dinamiche (che non indagheremo) associate al capitale.

%name “MUR MURS”, AGNÈS VARDA: SOGNI COLLETTIVI DI UNA VISIONE PERSONALE Agnès Varda (ci) dimostra come sia possibile celebrare la permanenza nell’impermanenza, celebrando l’aspetto provvisorio di un’arte che si sviluppa su qualcosa che (contrariamente?) è stabile e – soprattutto – visibile: un muro. Come è possibile non riconoscersi in qualcosa di così tanto reale e irreale? In qualcosa che (ci) libera dal bisogno che un ricordo richiami un fatto accaduto realmente invece di un (altro) fatto che è solamente platonico, ma vero – vivo – per sempre; in qualcosa – ancora – che riesce a riconfigurare e revisionare chi siamo attraverso qualcosa che è altro da noi, spesso lontano, grande, irraggiungibile. Ma anche nascosto, invisibile, silenzioso. E ancora ingombrante, invadente, eccedente. L’unicità di Varda risiede nella suo esplorare sentimenti e vissuti sabotando le gerarchie tra ragione e pulsioni. Incontrare gli altri e le loro storie è l’occasione per re-interpretare il proprio vissuto, in una maniera inedita, vitale, giocosa, seria, complessa. Agnès Varda ricompone, raccoglie, riposiziona, trasforma; si ripete, si moltiplica, si espande. Così facendo, permette allo spettatore di prendere posizione – acquisendo spazio – e di ascoltarsi con concentrazione, sottraendosi allo stordimento indotto dall’assolutizzazione del presente. Mettendo il tempo alla prova del tempo.