di Mariantonietta Losanno
La flessibilità è (decisamente) più sana del porre – e porsi – limiti. Un’educazione (sia culturale che sentimentale) fondata sul controllo, sulla rigidità e sugli schemi dati e non modificabili può trasformarsi in un’esortazione a trasgredire. O persino in un imperativo. Thelma ha ricevuto un’educazione (alle dittature, in stile Dogtooth) rigidamente cristiana; il passaggio all’Università segna, poi, il momento in cui inizia a scoprirsi, scoprendo anche gli altri. Dopo aver subito delle violente crisi (apparentemente epilettiche), conosce Anja, che la aiuta ad acquisire sicurezza in sé stessa e ad integrarsi con i propri coetanei.
Joachim Trier filtra e deforma a modo proprio una sensibilità “gotica”, manipolando gli elementi del suspense-horror. L’atmosfera misteriosa – ai limiti del sovrannaturale – permette alle diverse storie (parallele) di articolarsi. In una di queste c’è Thelma che lotta con i propri pensieri dolorosi da non respingere; in un’altra, poi, ci sono i suoi familiari e i traumi di un passato detentore di orribili segreti. E, ancora, ci sono i resoconti di pulsioni devianti (questa volta in stile De Palma) e di tentativi – per loro natura illusori – di afferrare l’indicibile di ogni istante di vita. «Non so perché ho raccontato questa storia. Avrei potuto benissimo raccontarne un’altra. Anime vive, vedete come si assomigliano tutte», ha scritto Samuel Beckett ne Lo sfrattato. Anime vive, che per accedere alla verità devono liberarsi dalle apparenze. Anime vive e vicine alla natura più selvaggia, più indifferenziata. Tentando una definizione sintetica, Thelma – così come Carrie – è un dramma del terrore a sfondo psicologico. Trier si muove in un sistema dell’eccesso; la protagonista mutua dal fantastico tutti i caratteri pertinenti: mostruosità intesa come trasgressione dell’ordine umano, capacità di ispirare – allo stesso tempo – pietà e orrore, impossibilità sessuale.
Thelma è uno dei ritratti più liberi di Joachim Trier. È un’indagine emotiva – quasi fisica – che si serve di una componente sovrannaturale per costruire un racconto di formazione. È un’ossessione racchiusa tra più incubi, che non manca di sollecitare con ogni mezzo disponibile il “perturbante” o lo “strano” nonostante la stessa realtà sia nondimeno persecutoria quanto la fobia onirica. Trier si occupa molto poco di truccare gli indizi, o di rendere imprevedibile la soluzione dell’“intreccio”, insinuando nel film un apparato significante intriso di simboli persecutori appartenenti al repertorio sessuale. La pulsione sessuale, infatti, si manifesta nelle forme – stravolte e deviate – proprie del fantastico; non solo il voyeurismo, ma anche l’esibizionismo, il feticismo. Thelma diventa, così, una modalità perversa di ostentazione, un’ossessione, un’esibizione che restituisce l’assenza (anche metaforica) di ogni difesa e predispone l’irruzione di un’aggressività distruttiva.
Trier mette in rappresentazione un sistema di fantasie erotiche attribuendo alle immagini una qualità sensuale, al fine di rendere più perturbanti e violente le sequenze “horror”.