ROMA – «Quanti sono gli studenti affetti da problemi di disabilità in Italia, molti dei quali, nei casi più gravi, necessiterebbero di assistenza quotidiana infermieristica?
I numeri dell’Istat (aggiornati all’anno scolastico 2021-2022) ci dicono che sono 316mila: nei casi più gravi le Asl e le Regioni non garantiscono sufficiente assistenza diretta da parte di infermieri all’interno degli istituti, costringendo molte famiglie a rinunciare addirittura alle presenza a scuola dei loro figli, lasciandoli a casa per poter gestire quei delicati percorsi di cura che nelle aule scolastiche sono assai carenti, fatta eccezione di alcuni casi rari, e ciò avviene in territori dalle politiche per così dire lungimiranti.
Chi deve svolgere questo delicato compito nel nostro Paese a tutela degli studenti disabili con patologie gravi e acute?
A chi spetta la doverosa tutela dei nostri alunni più fragili, in alcuni casi affetti da malattie croniche incurabili? Troppo spesso accade, in assenza di infermieri, la cui presenza, lo sappiamo, è già estremamente precaria nella sanità pubblica, che i ragazzi e le ragazze affetti da disabilità gravi debbano affidarsi, non hanno alternative, alle cure di insegnanti o addirittura ai loro genitori, per interventi quotidiani che sono prettamente di competenza infermieristica?. Il personale nelle scuole c’è, è innegabile, ma nelle situazioni più delicate potrebbe non essere sufficiente.
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Da anni, il nostro sindacato suggerisce che, nella palese difficoltà di affidare gli alunni disabili con gravi patologie alle cure di professionisti già impegnati ogni giorno in una sanità pubblica claudicante, alle prese con una voragine strutturale di personale di non poco conto, la figura degli infermieri di famiglia possa rappresentare la chiave di volta.
Da tempo immemore, ben prima di una legge che doveva portare in dote, da Nord a Sud, 9600 infermieri di famiglia, sindacati come il nostro urlano a gran voce che sul modello britannico, l’infermiere di famiglia non è solo il perno dell’assistenza domiciliare, ma anche è una figura fondamentale per le scuole, nell’ambito dei percorsi di cura dei bambini e dei ragazzi disabili, e per avviare proficui progetti di educazione alla salute.
La realtà ci pare abbastanza chiara e ahimè desolante, continua De Palma.
Occorre un piano organico e risolutivo per garantire un’assistenza infermieristica nelle scuole per gli studenti disabili affetti dalle patologie più gravi e per supportare le figure che già ci sono nelle scuole.
Il modus operandi è di diretta competenza delle Asl e del SSR, ma naturalmente la carenza strutturale di personale, come detto, e naturalmente una politica sanitaria fin troppo frammentaria da Regione a Regione, mina già alla radice iniziative che alla fine stentano a decollare.
Le differenze sono notevoli tra le varie regioni e anche all’interno delle stesse possono variare molto tra una Asl e l’altra, tra distretti diversi della stessa Asl e tra comuni diversi.
Non è tutto buio pesto, sia chiaro, ma è troppo poco quello che viene garantito agli alunni con gravi patologie. In Italia abbiamo alcune Asl che, per fortuna, nella programmazione dei propri servizi di assistenza, prevedono regolarmente risorse destinate all’assistenza a scuola di bambini e ragazzi con elevati bisogni sanitari.
Ce ne sono molte altre, purtroppo, che negano la propria competenza ad erogare servizi di questo tipo. In generale, abbiamo notato che le richieste di assistenza di tipo infermieristico a scuola rivolte alle disabilità più gravi sono più spesso negate nelle regioni del centro-nord. (Dati fonte Redattore Sociale).
Certo, lo abbiamo detto, ci sono gli insegnanti di sostegno e gli assistenti sanitari, e poi ci sono i genitori con il loro cuore, la loro forza d’animo, il loro amore, ma tutto questo non basta. La domanda è doverosa: nei casi più gravi tutto questo è sufficiente per tutelare la loro salute e garantire loro il diritto allo studio in presenza?
Il quadro è delicatissimo Le disabilità sono tante e complesse quindi le esigenze possono essere le più varie. Fra quelle di tipo sanitario che più spesso incontriamo vi sono la gestione della nutrizione artificiale con sondino naso-gastrico o Peg, l’aspirazione delle secrezioni in trachea, la gestione di cateteri e di crisi epilettiche.
Vi sono esigenze di tipo sanitario che gioco forza devono essere affidate a personale infermieristico.
Cosa fa allora la politica? Brancola nel buio e naturalmente deve darsi una scossa.
Un caso emblematico è quello della Regione Lazio: ci sono i fondi, sono stati erogati ben 30 milioni di euro per l’assistenza ai disabili, ma mancano incredibilmente le graduatorie per assumere personale specializzato da parte dei 250 istituti della Regione.
Cosa ne è allora dell’infermiere di famiglia in Italia che potrebbe svolgere questo compito? Il programma ufficiale con cui è partita la Regione Veneto, unica e sola in Italia, è sì ammirevole, ma è un triste caso isolato.
L’Agenas, nel dettare le linee guida della figura dell’infermiere di famiglia ha indicato che ne occorre 1 ogni 2500 abitanti (la legge ne prevedeva inizialmente 1 ogni 3mila).
E’ palese che mentre l’Europa corre veloce verso il rilancio della sanità territoriale, l’Italia arranca con appena 3mila professionisti di famiglia/comunità inseriti nelle nostre Regioni a fronte di un fabbisogno di 25mila unità, secondo gli standard indicati dal nuovo Pnrr.
Più volte abbiamo voluto provare a comprendere in che modo le Regioni stanno inserendo questo professionista, il cui ruolo è garantito da una legge, quella del 17 luglio 2020 n. 77, che ne sancisce il riconoscimento ufficiale. Quali passi avanti sono stati compiuti da allora? Dove sono i 9600 infermieri che la legge chiese di inserire alle Regioni da Nord a Sud?
La risposta, anche rispetto a quanto sta accadendo negli altri paesi europei, è ahimè estremamente negativa, e delinea ancora una volta un quadro desolante, con l’Italia che arranca rispetto ad altre nazioni, soprattutto in tema di rilancio di quella sanità di prossimità, che non può certo avvenire senza il concreto inserimento dell’infermiere di famiglia in strutture e con percorsi organizzativi idonei ad accogliere e valorizzare le sue competenze, le capacità che offre al servizio verso la collettività, certamente non solo legate, come detto, all’assistenza domiciliare.
Secondo Agenas i dati degli infermieri di famiglia che già operano in Italia sono addirittura inferiori ai 3mila indicati da una stima approssimativa delle aziende sanitarie: secondo Agenas ci sono solo 1380 infermieri di famiglia attivi in Italia, coordinati da un fragile piano Asl/Regioni. Un castello di sabbia, pronto a crollare al primo soffio di vento. Le conseguenze per gli anziani, per i malati cronici, e per gli studenti affetti da gravi disabilità, rischiano di essere pesantissime», conclude De Palma.